È stato uno dei più importanti compositori francesi del Novecento Henri Dutilleux, figura preminente tra quelle di Olivier Messiaen e di Pierre Boulez. Il 22 maggio scorso si è spento alla veneranda età di 97 anni. Poco noto ed eseguito in Italia, era considerato oltralpe (e oltreoceano) alla stregua di un classico, per il suo stile personale, teso alla modernità ma indipendente sia dalle convenzioni accademiche sia da quelle dell’avanguardia, erede della tradizione francese e debussyana, per la sua particolarissima sintesi di seduzioni armoniche e timbriche e di rigore formale.
Nato ad Angers il 22 gennaio del 1916, ricevette una solida formazione in famiglia, a contatto costante col mondo dell’arte e della musica (il bisnonno paterno, Constant Dutilleux, era pittore e amico di Camille Corot; il nonno materno, Julien Koszul, era compositore, organista, direttore del conservatorio di Roubaix, e intimo amico di Gabriel Fauré). A 15 anni entrò al conservatorio di Douai, dove studiò pianoforte, armonia e contrappunto sotto la guida di Victor Gallois, poi in quello di Parigi, dove fu allievo dei fratelli Noël e Jean Gallon (per l’armonia e per la fuga) e di Henri Büsser (per la composizione). Ma al Conservatorie di Parigi trasse grande profitto anche dalle lezioni di storia della musica di Maurice Emmanuel e dagli studi di organo con Marcel Dupré. Nel 1938 vinse il Prix de Rome con la cantata L’anneau du Roi (a 22 anni, come Debussy), e iniziò il suo soggiorno a Roma alla fine del gennaio del 1939. Ma vi restò solo pochi mesi, anziché per i previsti quattro anni, perché le vicende belliche lo richiamarono al servizio militare. Fu in carica come sottufficiale per un anno, ma senza mai combattere, e rientrato a Parigi nel 1942 onorò i suoi impegni col Prix de Rome scrivendo alcune pagine orchestrali, lavorò come accompagnatore nelle classi di canto del Conservatorio, come direttore del coro dell’Opéra (nel 1942 si occupò, malvolentieri, della preparazione dell’opera Palestrina di Hans Pfitzner), e fu nominato direttore dei programmi musicali della ORTF, dove restò in carica per quasi vent’anni.
Una personale scrittura polifonica
Le prime composizioni di Dutilleux (si tratta soprattutto di lavori per strumenti a fiato, come Sarabande et Cortège per fagotto e pianoforte, la Sonatine per flauto e pianoforte, la Sonata per oboe e pianoforte, Choral, Cadence et Fugato per trombone e pianoforte) mostrano l’influenza di Bartók, del Groupe des Six, e soprattutto di Maurice Ravel, grande ispiratore negli anni di apprendistato. A metà degli anni Quaranta il compositore cominciò a definire un proprio stile, caratterizzato da un’articolata scrittura polifonica e da un originale trattamento armonico, denominato «libera continuità tonale». Lavoro emblematico di questa svolta è la Sonata per pianoforte, eseguita per la prima volta nel 1948 da Geneviève Joy, la pianista che Dutilleux aveva sposato due anni prima: un lavoro «dal pianismo sensuale, non troppo asciutto», nel quale il compositore si affranca dai modelli raveliani e comincia a ricercare nuove possibilità di sviluppi ed elaborazioni del materiale tematico, capaci di generare forme ampie e articolate. In quegli anni di ricerca, Dutilleux fece anche alcune importanti incursioni nel mondo della musica per il teatro (compose le musiche di scena per La princesse d’Élide e per Monsieur de Pourceaugnac, due comédie-ballet di Molière), scrisse musiche per radiodrammi (Le général Dourakine, Le roman de Renart, Numance, Petite lumière et l’Ourse) e per il cinema (per Le café du Cadran, per Le crime des justes, per il film L’Amour d’une femme di Jean Grémillon), e compose un balletto di grande successo, Le Loup (1953), per la compagnia di Roland Petit, una partitura ricca di colori, di contrasti, di umori, che fondeva originalmente insieme ritmi stravinskijani e armonie raveliane, e che rivelava la grande maestria di Dutilleux nella scrittura orchestrale. Non a caso i capolavori degli anni Cinquanta sono le due Sinfonie, composte rispettivamente nel 1951 e nel 1959. La prima, eseguita dall’Orchestre national de France sotto la direzione di Roger Désormière, appare da un lato legata ai modelli formali di Honegger e Jolivet, ma dall’altro scompagina gli equilibri classici, adottando per esempio nel primo movimento la struttura della passacaglia e giocando sulla contrapposizione tra piccoli gruppi strumentali e la massa dell’orchestra, come in un concerto grosso. Anche nella seconda, intitolata «Le Double», diretta a Boston da Charles Münch, Dutilleux cerca una dimensione concertante, ma in maniera ancora più radicale, contrapponendo due orchestre in un raffinatissimo gioco di specchi e di sottili metamorfosi timbriche. Queste scelte, già in quegli anni, valsero al compositore lo statuto di “indipendente”, di musicista capace di trovare un equilibrio tra tradizione e modernità, tra libertà e rigore, tra la chiarezza tecnica e una grande fantasia inventiva, capace di grandi seduzioni e di straordinaria forza evocativa.
Avanguardie radicali e lavoro artigianale
Negli anni Sessanta il linguaggio musicale di Dutilleux si arricchì di stimoli nuovi: di elementi tratti da Messiaen, di alcuni principi seriali, di spunti presi dalle avanguardie più radicali, come le fasce microtonali, i suoni elettronici, i cluster. Ma rimase la cura maniacale per il dettaglio, il lavoro artigianale lungamente meditato, la naturale inclinazione al perfezionismo, che spiega anche l’esiguo numero di composizioni che compaiono nel catalogo del compositore francese. Elementi centrali nella ricerca compositiva di Dutilleux sono il timbro e il principio della variazione: filtrato dallo studio dell’opera di Debussy, il timbro si fonde con strutture poliarmoniche e poliritmiche, determinando una materia sonora estremamente malleabile, e acquistando sovente funzioni tematiche. I processi legati alla variazione permettono poi a Dutilleux di manipolare in continuazione i materiali messi in gioco, creando un percorso ininterrotto di metamorfosi. Ne è uno straordinario esempio Métaboles, capolavoro orchestrale commissionato nel 1965 da George Szell per l’Orchestra di Cleveland: il titolo rimanda alla figura retorica delle variazioni di struttura nel testo, e più in generale alle metamorfosi in natura, ai processi di crescita organica, che suggeriscono un processo formale basato sulla graduale trasformazione di una cellula musicale nell’arco dei cinque movimenti in cui si articola il pezzo, collegati senza soluzione di continuità. Grande ammiratore di Proust, Dutilleux ha sempre lavorato sulla percezione del tempo, e uno dei cardini della sua poetica musicale è proprio l’organizzazione del tempo musicale, dove i problemi della costruzione formale, compreso il gioco dei frammenti sempre variati, si legano ai percorsi della memoria, alle nozioni di prefigurazione (préfiguration) e di ricordo (souvenir). Si ascoltino ad esempio Tout un mond lontain, concerto per violoncello e orchestra, scritto nel 1970 per Mstislav Rostropovich, e il quartetto per archi Ainsi la nuit, composto tra il 1976 e il 1977, ed eseguito per la prima volta dal quartetto Parrenin, il 6 gennaio 1977. La fitta rete di rimandi tematici e di metamorfosi timbriche che lega insieme i cinque movimenti di Tout un mond lontain (Enigme, Régard, Houles, Miroir, Hymne), genera una musica insieme trascinante e ipnotica, che trasuda di sensazioni esotiche e di atmosfere sensuali, e che spiega il titolo tratto da un verso di Baudelaire (dalla Chevelure dei Fleurs du Mal), che evoca «l’Asia languida, l’Africa cocente, un mondo lontano, assente, quasi defunto». Lo stesso tipo di costruzione ritorna nel quartetto Ainsi la nuit, col suo percorso articolato, armonicamente vario, l’ordito strumentale pieno di rimandi tematici, dove «tutto si trasforma insensibilmente in una sorta di visione notturna», in una specie di misteriosa sequenza di campi sonori, sospesi tra un sentimento di spiritualità e una dimensione cosmica. Dutilleux aveva cominciato ad abbozzare una serie di frammenti isolati, senza legami tra loro, concepiti come studi, come esercizi per prendere familiarità col genere del quartetto. Negli Entretiens avec Claude Glayman il compositore ricordava le difficoltà incontrate nel suo primo approccio con la scrittura quartettistica, così lontana da quella orchestrale («si tratta, a priori, di un materiale molto più sottile, più fragile. Ogni suono è da inventare»), e sottolineava il carattere totalmente sperimentale di quel pezzo: «Il mio scopo era prima di tutto quello di affrontare il genere scrivendo degli studi rigorosi, sulle diverse possibilità di emissione del suono: uno studio sui pizzicati, altri sui suoni armonici, sulle differenze di dinamica, sull’opposizione dei registri». Poi gli schizzi hanno preso la forma di sette movimenti (Nocturne, Miroir d’espace, Litanies, Litanies 2, Constellations, Nocturne 2, Temps suspendu), successivamente collegati con delle brevi Parenthèses («importanti per il ruolo organico loro affidato. In esse si trovano allusioni a ciò che segue o che precede – allusioni che hanno la funzione di punti di riferimento»), come fili tesi tra i vari frammenti, che riprendevano in parte l’idea debussyana degli sviluppi interrotti, generando un fittissimo reticolo di nessi armonici e tematici. La sezione introduttiva (Libre et souple), ad esempio, prende avvio da un accordo costruito dalla sovrapposizione di tre quinte (do#-sol#, fa-do, sol-re), un accordo chiave che non solo ritorna altre volte nella stessa sezione, ma che acquista un ruolo fondamentale nell’architettura dell’intero pezzo, riaffiorando in Litanies, nella Parenthèse 4, e all’inizio di Temps suspendu.
La notte stellata di Van Gogh
Partitura dal carattere «mistico e cosmico» è invece quella di Timbres, Espace, Mouvement, lavoro orchestrale del 1978, commissionato dalla National Symphony Orchestra, e ispirato a un celebre dipinto di Vincent van Gogh, La notte stellata. La «vertiginosa impressione di spazio e di vuoto» che suscitò in Dutilleux questo quadro, lo spaesamento dato dalla distanza tra la chiesa e i cipressi in primo piano e la volta celeste, gli suggerì un colore orchestrale particolarissimo, basato su un organico privo di violini e di viole. I due movimenti, dai titoli “astronomici” (Nebuleuse e Constellations) e collegati da un interludio, giocano su una netta polarizzazione dei timbri, su una folta presenza dei fiati e delle percussioni, su numerose emergenze solistiche, sulla repentina alternanza di momenti statici e fiammate sonore, su un effetto di spazializzazione del suono, ottenuto disponendo i dodici violoncelli a semicerchio intorno al direttore d’orchestra (e dietro, in sequenza, le file dei legni, degli ottoni e delle percussioni). Culmine della sperimentazione di Dutilleux sulle ampie forme costruite con movimenti collegati da interludi e da “parentesi” è L’Arbre des Songes, ampio lavoro per violino e orchestra, scritto nel 1985 per Isaac Stern, che rappresenta anche un ritorno al genere del concerto 15 anni dopo Tout un mond lontain. La forma è basata su un intenso sviluppo tematico, che abbraccia i quattro movimenti (Librement, Vif, Lent, Large et animé), con motivi che perdono progressivamente i propri contorni, si trasformano in continuazione, generando un reticolo di arborescenze e di ramificazioni. La morfologia musicale di questo pezzo si ispira proprio alle forme vegetali, prendendo a modello lo sviluppo dell’albero in natura: «In questo lavoro tutto cresce come in un albero, per la costante moltiplicazione dei suoi rami. È l’essenza lirica dell’albero. Questa immagine simbolica, come la nozione del ciclo delle stagioni, ha ispirato la mia scelta del titolo L’arbre des songes». Del tutto diversa, insolita in Dutilleux, è invece la struttura formale di Mystère de l’Instant, lavoro per orchestra d’archi, cimbalom e percussioni, composto nel 1989, e una delle ultime commissioni di Paul Sacher per l’Orchestra da camera di Basilea. Qui Dutilleux rinuncia alla densità sintattica, quasi proustiana, delle forme precedenti, e sceglie una soluzione di tipo paratattico, organizzando il tempo musicale come una successione di istantanee sonore, raggruppate in tre parti (Appels, rumeurs; Litanies; Soliloque): istantanee dalle dimensioni diverse, che fissano ciascuna una tipologia di materia sonora, senza alcun nesso tematico o timbrico tra una sezione e l’altra, se non le sei note ricavate dalle lettere del nome Sacher.
I misteri e la magia della composizione
Compositore insieme timido e generoso, dotato di un istintivo sense of humour, refrattario a qualsiasi forma di autocelebrazione, nonostante la grandissima fama internazionale conquistata nel tempo, Dutilleux si è sempre tenuto lontano dai dogmi dell’avanguardia, ma è stato anche capace di rinnovarsi incessantemente. Per lui comporre non è mai stata una routine, era semmai qualcosa di sacro, «con la sua parte di mistero e di magia», capace di fare emergere la sua voce più intima e profonda, e di cogliere anche i lati oscuri e più drammatici della storia contemporanea. In un dittico per clavicembalo, contrabbasso e percussioni composto tra il 1985 e il 1990 col titolo Les Citations, Dutilleux ha reso omaggio ad alcuni compositori e musicisti a lui cari, con una serie di riferimenti incrociati: cita un frammento del Peter Grimes di Britten per festeggiare (nel 1985) i 75 anni di Peter Pears (che era stato il primo interprete di quell’opera), e poi un tema attribuito a Clement Janequin per celebrare (nel 1990) il cinquantesimo anniversario della morte del compositore e organista Jehan Alain, morto eroicamente in guerra all’età di 29 anni (Alain aveva utilizzato quel tema di Janequin in una sua composizione per organo). Dutilleux ha voluto anche ritrarre la storia del XX secolo nei cinque episodi di The Shadows of Time, capolavoro sinfonico del 1997, commissionato dalla Boston Symphony Orchestra, e diretto per la prima volta da Seiji Ozawa. In un brulicare di timbri e esplosioni di violenza, ogni movimento mostra un proprio carattere descrittivo, con lo strano ticchettio delle percussioni e le grandi masse di ottoni del primo movimento (Les heures), con le movenze aeree e grottesche di Ariel maléfique (ispirato a Milton), con le caleidoscopiche progressioni timbriche di Vagues de lumière, con le screziature jazz del finale (Dominante bleue?), con il penetrante movimento centrale (Mémoire des ombres) dove le voci bianche evocano le vittime dei campi di concentramento intonando un agghiacciante refrain «perché noi?».
L’ode al dio Shiva
Henri Dutilleux ha svolto un’intensa attività didattica, prima all’École normale de Musique di Parigi (a partire dal 1961), quindi al Conservatoire National Supérieur (dal 1970), infine alla Juilliard School di New York. Ma anche la sua casa dell’île Saint-Louis era sempre aperta ai “pellegrinaggi” di giovani compositori (delle tendenze più disparate), che si recavano da lui per sottoporre i propri lavori al suo occhio analitico, al suo giudizio infallibile, e per averne preziosi suggerimenti. Dutilleux ha trovato anche devoti seguaci tra i grandi interpreti, che sono stati dedicatari e primi esecutori dei suoi lavori: solisti come i già citati Mstislav Rostropovich e Isaac Stern, ma anche Anne-Sophie Mutter e Renée Fleming, direttori come Roger Désormière, Charles Munch, George Szell, e poi Kurt Masur, Charles Dutoit, Simon Rattle e Esa-Pekka Salonen, che lo considerava come uno dei più grandi compositori del nostro tempo: «La sua musica funziona a ogni livello: ha un impatto potente e immediato sia dal punto di vista emotivo che sonoro; ma ci sono anche strati di espressione e dettagli che si manifestano lentamente». Per Anne-Sophie Mutter, Dutilleux ha composto nel 2001 un nuovo concerto per violino e orchestra, intitolato Sur le même accord, accolto con grande entusiasmo alla sua prima esecuzione, nell’aprile del 2002 alla Royal Festival Hall di Londra, con Kurt Masur sul podio della London Philharmonic Orchestra. Movimento unico, articolato in diverse sezioni contrastanti, questo concerto è imperniato su un sol (la nota più grave del violino) e su un onnipresente accordo di sei suoni, manipolato in vario modo e sottoposto a continui giochi combinatori e variazioni, che permettono di creare aggregati armonici sempre diversi, e di fare interagire il violino con varie parti solistiche che emergono periodicamente dall’orchestra. Le ultime composizioni del maestro francese sono due cicli vocali, Correspondances (2003) e Le Temps l’horloge (composto tra il 2006 e il 2009), che rappresentano anche il suo testamento spirituale. Scritta su commissione dei Berliner Philharmoniker, dedicata a Dawn Upshaw e Simon Rattle, successivamente rimaneggiata con l’aggiunta di un nuovo finale scritto per il soprano Barbara Hannigan, Correspondances prende ancora il titolo da Baudelaire, dalla celebre omonima poesia dei Fleurs du mal. Ne rievoca la stessa idea di corrispondenze “sinestetiche” tra i diversi sensi, ma allude anche al fatto che due dei testi utilizzati (tutti tradotti in francese) sono tratti da lettere, dalla “corrispondenza” di grandi artisti in diversi campi: una lettera di Aleksandr Solženicyn agli amici Mstislav Rostropovich e Galina Vishnevskaya, l’altra di Vincent van Gogh al fratello Teo. Queste lettere sono legate agli altri testi (un’ode al dio Shiva scritta dell’indiano Prithwindra Mukherjee e due brevi poesie di Rainer Maria Rilke) da sottili corrispondenze di senso, e offrono a Dutilleux lo spunto per trovare precise sonorità orchestrali, come in un raffinatissimo esercizio madrigalistico: con le lunghe, cupe risonanze che accompagnano il primo movimento basato su Rilke (Gong), con la trama ritmica e piena di energia che fa da fondale all’ode di Mukherjee (Danse cosmique), con le trame dei violoncelli, dense di lirismo, che punteggiano la lettera di Solženicyn ai Rostropovich (A Slava e Galina, movimento che contiene nella sezione finale anche una citazione dal Boris Godunov). Per la voce drammatica di Renée Fleming, e su una commissione multipla della Boston Symphony, dell’Orchestre national de France e del festival giapponese di Saito Kinen, Dutilleux ha infine composto Le Temps l’horloge, basato su poesie di Jean Tardieu (Le temps l’horloge e Le masque), di Robert Desnos (Le dernier poème), e ancora di Charles Baudelaire (Enivrez-vous). Le avvolgenti spire vocali sono qui accompagnate da un tessuto orchestrale fantasmagorico, che dimostra, ancora, tutta l’abilità timbrica e armonica di Dutilleux, e la sua inesauribile fantasia orchestrale. Da vero visionario del mondo dei suoni.