Nella mitologia cinese non mancano riferimenti stellari. Così, ad esempio, si parla di due divinità astrali, la Tessitrice e il Bifolco, fra cui si stende la barriera sacra della Via Lattea, il fiume celeste che può essere valicato solo una volta l’anno: la Tessitrice e il Bifolco possono allora celebrare le loro nozze nella notte.
Questo mito appare legato ad un principio che sempre ha dominato l’organizzazione cinese: la separazione dei sessi, concepita nella maniera più rigida e implicante severe interdizioni che isolavano prima del matrimonio le fanciulle dai ragazzi e circondavano di infinite precauzioni i rapporti fra gli sposi. Non mancavano, peraltro, feste agricole di inizio e chiusura dei lavori campestri. Nei cieli d’equinozio passavano grandi voli d’uccelli; si gareggiava a chi riuscisse a scoprirne le uova; nell’iridazione delle conchiglie si ritrovavano e si ammiravano i colori dell’arcobaleno, segno celeste delle piogge feconde; la fanciulla che, nelle feste primaverili conquistava un uovo di rondine e lo mangiava, sentendo penetrare in sé grandi speranze, cantava la sua gioia. Tale fu, si dice, l’origine dei canti del Nord. E al Sud i giovani e le ragazze dei villaggi vicini si allineavano di fronte e tagliavano la felce cantando canzoni improvvisate. Da queste gare dipendevano la prosperità dell’anno e la felicità del popolo. La gioventù obbediva al comando della natura e collaborava con essa. Ai richiami degli uccelli in amore, ai voli degli insetti corrispondevano le danze e i canti dei giovani. “La cavalletta dei prati grida e quella delle rive saltella! – Finché non ho visto il mio signore – il mio cuore inquieto, oh, come si agita! – Ma appena lo vedrò – appena a lui mi unirò, – il mio cuore, allora, avrà pace!“. Orgogliose delle loro acconciature, con le loro vesti a fiori, le cuffie d’un rosa acceso, il volto bianco come nuvole, le fanciulle davano inizio al torneo: “Se tu hai per me pensieri d’amore, – rimbocco la mia sottana e passo lo Wei! – Ma se tu non pensi a me, – non ci sono forse altri giovanotti – o stupido tra gli stupidi, davvero?“.
Vi erano anche feste esclusivamente maschili. I celebranti si mettevano gli uni di fronte agli altri. Da un lato era il partito degli ospiti, dall’altro quello degli invitati. Se gli uni rappresentavano il Sole, il calore, l’estate, il Principio Yang, gli altri figuravano la Luna, il freddo, l’inverno, il Principio Yin. Prima di stare in comune dovevano affrontarsi alterativamente come le stagioni, affinche queste, appunto alternandosi allo stesso modo, portassero a tutti la prosperità. Durante le feste “reali”, poi, uomini e donne si inseguivano completamente nudi. Cantando la morte del Sole, danzavano girotondi nella notte, a fiaccole spente. Alla fine della cerimonia queste venivano riaccese e appena spuntava l’alba erano levate in alto. Si faceva pure comparire un fanciullo di tenera età, nudo, col corpo dipinto color rosso sangue; raffigurava il Sole appena nato (era d’inverno) e veniva chiamto il dio del Cielo.
Ma lasciamo queste splendide descrizioni di Marcel Granet (La civiltà cinese antica) e ricordiamo che, mentre l’Europa viveva il primo Medio Evo e in Arabia Maometto cominciava a diffondere il suo credo, la Cina era ll’inizio della sua epoca più fiorente, quella della dinastia T’ang. Nel 701 d.C. regnava l’imperatrice Wu Hu…
La notte nella quale Li T’ai Po nacque, sua madre vide in sogno il pianeta Venere, chiamato dai cinesi T’ai Po Hsing, cioè “grande stella bianca”; e poiché il nome di famiglia era del bimbo era Li, egli fu chiamato Li T’ai-Po. Impara a leggere a sei anni; a dieci ha studiato i libri di Confucio, conosce i classici a memoria e compone già. Sarebbe divenuto un grandissimo poeta. Dopo avere vissuto come un eremita sulle montagne del Settentrione, a vent’anni sposa la figlia di un ministro che, dieci anni dopo, lo lascia. Li T’ao-Po si stabilisce con altri sei poeti in un boschetto bambù. I “sei musici” scrivono versi quendo il cuore lo detta e bevono abbondantemente. In effetti, il maggior poeta cinese è un grande amante del vino, tanto che un mecenate gli dona un banco d’assaggio di vino, costruito appositamente per lui. Tra una sbornia e l’altra Li T’ai-Po recita i suoi versi anche davanti all’imperatore, al Figlio del Cielo. L’invidia altrui lo costringe a fuggire dalla Corte; viene la guerra ed è condannato a morte, ma i suoi capelli ormai grigi fanno commutare la pena nell’esilio. Lascia il paese, vagabonda tranquillamente verso Ovest fino a quando viene ilsuo momento. Nato con Venere, vissuto con la poesia e il vino, se ne va con l’acqua e la Luna. Siede in barca in una notte chiara; beve un’ultima coppa di vino, si sporge dal bordo del battello, abbraccia la Luna che danza sulle onde e si inabissa. Sapeva che avrebbe vissuto anche nell’altro mondo e scrisse: “Perché giaccio sopra le verdi colline? Rido, e tuttavia non posso rispondere. Ora la mia anima, pura, vaga sotto altri cieli. E questa terra non appartiene a nessuno; gli alberi di pesco fioriscono e le acque scorrono per l’eternità“.