Un esperimento sulla capsula russa Photon Bion M1 in orbita intorno alla terra, a 575 chilometri di quota, per lo studio di materiali ceramici resistenti a temperature estreme, è stato portato a termine con successo dall’Università di Napoli e dal Cnr in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea e l’Accademia russa della Scienze.
A darne notizia è una nota del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Napoli. La capsula è rientrata sulla terra la scorsa settimana, atterrando nella regione russa dell’Orenburg, al confine con il Kazakistan. Durante il mese di permanenza in orbita sono stati eseguiti diversi esperimenti nei campi della biologia, della fisiologia, biotecnologia e scienza dei materiali.
Proprio per la fase del rientro in atmosfera, è stato condotto un esperimento rivolto allo studio di materiali ceramici della classe ultra-refrattari per temperature estreme, meglio noti nella comunità scientifica come “Ultra-High Temperature Ceramics” (UHTC).
Gli esperimenti eseguiti a bordo della Photon Bion M1 sono stati concepiti e progettati dal gruppo della Sezione Aerospaziale del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Napoli “Federico II”, guidato dal professore Raffaele Savino, e dall’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (Istec) di Faenza, che fa capo al Consiglio Nazionale delle Ricerche, sotto la supervisione del fisico Frederic Monteverde.
Grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e alla collaborazione con il “Department of Sanitary Chemical and Microbial Safety” (Imbp) di Mosca dell’Accademia Russa delle Scienze, gli ingegneri della sezione aerospaziale dell’Università di Napoli e l’Istec di Faenza hanno progettato e sviluppato in auto-finanziamento due componenti realizzati in UHTC con funzione di “holder” opportunamente installati sulla parte anteriore esterna dello scudo termico della suddetta capsula.
All’interno dei due holder realizzati con gli speciali materiali ceramici messi a punto in Italia, che sono stati collocati sulla superficie esterna della capsula di rientro, sono stati ospitati non solo campioni di natura biologica provenienti dall’Istituto di Mosca ma anche sensori passivi di temperatura. Questi ultimi hanno giocato un ruolo di “in-situ monitoring” per lo studio e la caratterizzazione aero-termodinamica dei materiali UHTC durante la fase del rientro atmosferico.
Al termine della missione subito dopo l’atterraggio, i due contenitori sono stati recuperati e, ad una prima ispezione visiva, hanno mostrato di aver resistito adeguatamente alle condizioni critiche di carico termico incontrate durante il rientro atmosferico.
In questi giorni i componenti in ceramica ultra refrattaria rientrati dallo spazio saranno trasferiti in Italia per le analisi “post-flight”. In particolare, saranno eseguite simulazioni numeriche e analisi micro-chimiche per correlare gli andamenti delle principali grandezze misurate durante la traiettoria di rientro con lo stato finale di alterazione del materiale in superfice.
“L’esperimento – sottolinea in una nota la sezione Aerospaziale dell’Università di Napoli – ha messo in evidenza che esistono in Italia notevoli competenze nella progettazione e realizzazione di materiali ceramici che possono aprire nuove frontiere per lo sviluppo di nuove generazioni di velivoli ipersonici e sistemi di rientro dallo spazio”.
“Il successo di questa iniziativa – conclude la nota – dimostra che la ricerca spaziale italiana, nella scia della sua pluriennale storia proprio in questi giorni esaltata dalla presenza di un astronauta italiano sulla Stazione Spaziale Internazionale, continua a farsi valere in campo internazionale, nonostante la tendenza drammaticamente calante delle fonti di finanziamento”.