Per chi non dovesse ricordare cosa sia il principio dell’autodichia – nome strano che già solo a nominarlo fa pensare a cose brutte – è il principio secondo il quale gli organi costituzionali possono risolvere al loro interno le controversie concernenti personale dipendente senza adire tribunali esterni (dal greco autos, che non c’è bisogno di tradurre e dike, giustizia amministrativa).
Ora però la parola proveniente dal greco nel corso di questi anni ha portato delle storture non indifferenti che si sono sviluppate in questi ultimi tempi come forte allergia per tutto ciò che riguarda il Potere.
L’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione depositata il 6 maggio scorso (leggibile in allegato) potrebbe essere il classico cavallo di Troia per far entrare nei Palazzi del potere un minimo di controllo esterno.
LA PRONUNCIA
I giudici di piazza Cavour sollevando d’ufficio la questione, hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondato il dubbio in ordine all’assenza delle condizioni di terzietà e di imparzialità del giudice interno, che lo ricordiamo trattasi della Commissione contenziosa, formata da senatori e da membri esterni nominati dal Presidente del Senato scelti tra magistrati a riposo delle supreme magistrature ordinaria e amministrative, professori di università in materia giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di esercizio (http://www.senato.it/1450).
A decidere sui ricorsi presentati contro le decisioni della Commissione contenziosa è il Consiglio di garanzia, composto da cinque senatori nominati all’inizio di ogni legislatura dal Presidente del Senato sentito il Consiglio di presidenza (http://leg16.senato.it/1453).
Il tutto nel massimo rispetto della rappresentanza di tutti i gruppi per carità, ma ce li vedete i senatori o comunque professori nominati da senatori a dare torto al Senato su questioni amministrative?
LE RIPERCUSSIONI
Se la Consulta non solo dovesse accogliere il ricorso ma dovesse addirittura decidere che il regolamento del Senato è incostituzionale, le ripercussioni non sarebbero da poco: dall’accoglimento della questione deriverebbe la possibilità per i dipendenti del Senato di rivolgersi al giudice esterno per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, come qualsiasi altro cittadino e come per tutti gli altri ordinamento giuridico-parlamentari esistenti al mondo (argomento trattato al seminario organizzato proprio dalla Camera dei deputati e dal Centro europeo di ricerca e documentazione parlamentare tenutosi a Roma il 30 a 31 ottobre 2003: “Seminar on Parliamentary Administrations and Legislative Cooperation”).
Ma non si tratterebbe solo di questo.
I DISEGNI DI LEGGE
Anche durante l’ultima legislatura, non sono poi mancati disegni di legge presentati sull’argomento: al Senato il n. 1560 e il n. 3342, alla Camera dei deputati il 5472. In fondo in ogni pubblica amministrazione, il fatto di sapere che le violazioni di legge o l’eccesso di potere amministrativo possono essere annullate da un organo terzo a seguito di un procedimento giurisdizionale, è una garanzia contro gli arbìtri dell’organo di vertice” inoltre la natura diseducativa della giurisdizione domestica delle Camere è resa evidente da una lunga serie di anomalie nelle relazioni sindacali e sullo status giuridico ed economico del personale.
Non solo. Negli ultimi anni l’autodichia ha avuto una tale forza espansiva, che ormai assume ambiti che vanno ben oltre il rispetto alla semplice gestione del personale, come ad esempio la possibilità di impugnare o di ricorrere contro le decisioni dei gruppi parlamentari circa le loro risorse e i loro dipendenti, oppure l’attribuzione di lavori (vedere il paragone con la normativa generale sui lavori pubblici) tutti disciplinati da “regolamenti minori” delle Camere che rientrano così nella cosiddetta giurisdizione (gestione) domestica.
ALTRE RIPERCUSSIONI
Si intuisce allora che le ripercussioni ad una eventuale decisione in senso “destruens” del principio dell’autodichia sarebbero ben più ampie: i portaborse, in genere giovani assoldati h.24 con la promessa mitica (torna sempre il greco) di una futura assunzione, pagati in nero mai più di 1000 euro al mese, potrebbero rivolgersi al giudice del lavoro; i lavori appaltati dai gruppo parlamentari dovrebbero sottostare alle regole di qualsiasi altra pubblica amministrazione, etc, etc…
Ripercussioni forse troppo devastanti.
L’APPELLO
Sarebbe bello se non solo il Senato non si costituisse in giudizio, come hanno già chiesto i radicali tramite Rita Bernardini, non solo per risparmiare le spese di giudizio, ma anche per dare un bel segnale.
Ma si potrebbe fare molto di più: ecco perché chiediamo al presidente del Senato Piero Grasso (che è pure magistrato) di non costituirsi davanti alla Consulta e di cambiare il regolamento di Palazzo Madama. Ma non come hanno fatto l’ultima volta (vedi articolo del 23 novembre 2012), con qualche ritocchino sulle modifiche al finanziamento dei gruppi, ma di prevedere proprio dei controlli esterni, come succede per tutte le pubbliche amministrazioni.
Insomma in due parole, di far entrare la Corte dei Conti anche in Parlamento.
Sarebbe davvero un bel segnale, di trasparenza, di rottura col passato. Siamo sicuri poi che la Camera con il presidente Laura Boldrini seguirebbe a ruota.
Per tornare al greco: dall’etimologia di un principio negli anni tanto invocato e oggi tanto odiato da chi lo inizia a conoscere, chissà se i nuovi parlamentari riusciranno a fare un’impresa epica.
SIAMO UNICI
A rafforzare la nostra richiesta ci mettiamo pure una bella comparazione con gli altri paesi europei.
In Spagna è una legge ordinaria (articoli 1 e 12 legge sul contenzioso amministrativo, la n. 29 del 1998, ad attribuire la competenza a giudicare gli atti e le disposizioni in materia di personale, amministrazione e gestione patrimoniale adottati dalle Camere alla Sala del Contencioso Administrativo del Tribunal supremo che decide in unico grado, con la possibilità di proporre, entro venti giorni dalla decisione, il recurso de amparo, in caso di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione, in base all’articolo 43 della legge organica sul Tribunal Constitucional.
In Germania, secondo il Bundesrecht, i dipendenti del Bundestag e del Bundesrat, sono considerati bundesbamte, cioè impiegati federali e sono equiparati anche nella tutela giurisdizionali agli altri pubblici dipendenti.
In Belgio, a partire dal 1999, due leggi ordinarie, hanno novellato l’articolo 14, paragrafo 1, n. 2 della legge sul Consiglio di Stato, prevedendo che la sezione giurisdizionale qui istituita giudichi anche i ricorsi per l’annullamento degli atti delle assemblee legislative e dei loro organi.
In Francia, Albania, Finlandia, Portogallo, Slovenia e Serbia, lo scrutinio giurisdizionale sugli atti amministrativi delle Camere concernenti i dipendenti è di competenza del massimo organo di giustizia amministrativa, mentre in Danimarca, Israele e Norvegia la competenza è del giudice ordinario; in Grecia è svolto dai tribunali amministrativi su due gradi di giudizio, mentre sezioni specializzate della giurisdizione ordinaria se ne occupano in Romania.
Insomma, siamo proprio unici.
Di fronte a questo panorama giuridico interno, la Corte europea non ha mai prestato più di tanto attenzione alla nostra situazione, ma ha semplicemente rifiutato di operare un sindacato in abstracto della normativa e della prassi interna a riguardo.
Se però in futuro dovesse essere interpellata a riguardo, sicuramente il punto più debole di tutto il sistema è l’assenza di una previsione legittimante l’autodichia, nel regolamento maggiore del Senato: ecco perchè il processo di ripensamento non può che partire proprio da questo ramo del Parlamento italiano.
Riprendendo una pubblicità di tanti anni fa (Carosello è pure tornato di moda) ci verrebbe da dire al Presidente Grasso: Gigante… pensaci tu!
(nella pubblicità il gigante rispondeva sempre: ci penso io!)
sC SU 10400/2013