La necessità di avvertire i condomini dell’imminente distacco delle utenze per la morosità di alcuni di essi non legittima la pubblicità dell’elenco dei morosi nei riguardi anche di chi non è condomino.
Attualmente con la nuova legislazione condominiale introdotta dalla legge 11/12/2012 n° 220 non dovrebbero più sussistere situazioni di morosità prolungate nel tempo, laddove espressamente tra i doveri dell’Amministratore nella nuova rivisitazione della normativa è previsto che questi “è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso anche ai sensi dell’art. 63 I° comma dip. att. c.c.”.
Con tale statuizione l’Amministratore è legittimato a richiedere ed ottenere in tempi rapidi un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo nonostante l’opposizione, semplicemente presentando la delibera che approva la spesa e lo stato di ripartizione in copia autenticata dallo stesso Amministratore.

Il recupero dei crediti condominiali

Talvolta però l’Amministratore a causa di morosità rilevanti è impossibilitato   a far fronte a spese improcrastinabili come nel caso esaminato dalla sentenza della Cassazione di cui parleremo.
Ciò può dipendere dal fatto che molti Amministratori cercano di evitare o ritardare azioni legali semplicemente in quanto non desiderano crearsi contrasti all’interno del Condomino, laddove il consenso dei condomini serve allo stesso Amministratore per la riconferma del mandato.
D’altra parte va anche detto che, pur essendo vero come il decreto ingiuntivo venga concesso in tempi rapidi, tuttavia ove il condomino moroso, continui a rifiutare il pagamento, l’esecuzione forzata (con pignoramento presso terzi sui conti correnti o presso il datore di lavoro, ovvero ancora sull’immobile), in Italia comporta tempi di uno o più anni, incompatibili con la necessità di far fronte a pagamenti urgenti, come nel caso delle utenze comuni.

La diligenza dell’Amministratore si scontra con il diritto della privacy

Non vi è dubbio che, in questo caso l’Amministratore sia tenuto ad avvertire tempestivamente i condomini della situazione di morosità di alcuni di loro e quindi del pericolo che non sussistano somme sufficienti per far fronte alle utenze.
Nel nostro caso l’amministratore di un condominio di Messina per accelerare i tempi, decideva di affiggere nell’androne condominiale sulla porta dell’ascensore, l’elenco dei morosi, con l’indicazione ben chiara dei debiti e dei nominativi dei colpevoli, avvertendo dell’imminente distacco della fornitura idrica ad opera dell’azienda erogatrice.
Di tale fatto si era lamentato uno dei presunti morosi, il quale peraltro aveva preso in locazione l’appartamento e si trovava in contestazione con il proprio locatore.
Questi denunciava l’Amministratore per il reato di cui all’art. 595 c.p. e cioè per diffamazione, avendo offeso, a suo dire, la propria reputazione affiggendo nell’atrio condominiale il nominativo del querelante, con l’indicazione del debito.
La questione, dopo due gradi di giudizio, finiva davanti la Corte di Cassazione.
L’Amministratore faceva presente di essere stato costretto a tale comportamento per la stringente necessità di informare i condomini del rischio dell’imminente distacco dell’erogazione idrica, nell’impossibilità di convocare tempestivamente l’assemblea o di inviare delle missive in modo efficace.
Inoltre eccepiva che mancava l’elemento psicologico del reato in quanto egli non aveva alcuna volontà di danneggiare il condomino moroso, ma il suo intento era solo di rendere edotti tutti gli altri, come era suo preciso dovere, della situazione creatasi e della necessità di integrare il fondo comune, per l’inottemperanza dei morosi e per evitare l’imminente distacco.

Un principio giurisprudenziale consolidato

La Cassazione tuttavia (sentenza n° 4364 pubblicata il 29 gennaio 2013) non accoglieva il ricorso confermando le precedenti  sentenze di condanna, rifacendosi peraltro ad un orientamento già consolidato. Riteneva la Corte che non sussisteva la scriminante di cui all’art. 51 del Codice Penale, avendo errato l’Amministratore nel porre la comunicazione in un luogo percepibile a chiunque avesse frequentato l’immobile e non solo ai condomini interessati.
Precisava la Suprema Corte infatti come fosse rilevabile il reato di diffamazione in quanto lo scritto era stato affisso in un luogo accessibile, non ai soli condomini dell’edificio, per i quali sussiste un evidente interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza di tali fatti, ma ad un numero indeterminato di altri soggetti.
Peraltro rilevava la Cassazione come l’Amministratore fosse già da tempo a conoscenza dello stato di morosità e ben avrebbe potuto assumere tempestive iniziative di recupero e riduzione del contenzioso. Il comportamento tenuto, viceversa faceva presumere che lo scopo della pubblicazione dei morosi, non mirasse tanto al recupero immediato delle somme, quanto a danneggiare volutamente il soggetto asseritamente inadempiente.
D’altra parte rileva la Corte che, se davvero la prospettiva dell’Amministratore fosse stata quella dell’informazione celere rispetto all’imminente interruzione del servizio, egli avrebbe avuto a disposizione due strade.
Da un lato quella di comunicare tempestivamente, appartamento per appartamento, la situazione de quo, o dall’altro, se proprio avesse voluto rendere pubblica la comunicazione, quella di calibrare il contenuto dell’informazione evitando di menzionare l’identità personale dei condomini morosi.
Quanto al dolo infine la Suprema Corte rilevava che nei delitti contro l’onore, non è richiesta la presenza di un animus iniurandi vel diffamandi, ma appare sufficiente il dolo generico che può anche assumere la forma di dolo eventuale, cioè essendo sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole o espressioni interpretabili come offensive e percepibili da chiunque.

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