Palco senza fronzoli, come lo è il loro quotidiano. Scenografia composta da un fondale nero, due leggii, un microfono e tre sedie.
Il vuoto e tre fari che illuminano le tre persone sul palco. È così che Tiziana Di Masi dialoga con due giornaliste che scrivono di mafia, dando “Voce alle parole“, di Ester Castano (Altomilanese) e Francesca Santolini (Il Giorno).

Ci sarebbero molte angolazioni da cui vedere la serata sostenuta da Cgil, Libera, Arci, Avviso Pubblico, Sos Impresa, Legacoop, Acli, Centro di Studio Pio La Torre con il patrocinio dell’ordine dei giornalisti e della Fnsi. Il numero degli spettatori in sala, per esempio. Il respiro sospeso mentre la storia si snocciola, interrotto solo da qualche commento sorpreso, da qualche impeto d’orgoglio e moto d’animo verso due colleghe, per lo più, che hanno il coraggio di porre domande scomode e non accontentarsi di risposte evasive.
Oppure ci si potrebbe confrontare su quelle stesse storie trasformate in articoli, storie che sono denunce, storie che sono il motivo per cui Ester e Francesca si sono viste minacciate e querelate in sede civile.

Strano Paese l’Italia, che davanti a una sparatoria a salve su un’unica macchina tra tante, si permette di minimizzare l’accaduto circoscrivendolo in “ragazzate” (a onor di cronaca, c’è ancora in corso un’indagine sui fatti di quella sera di gennaio).
Strano Paese l’Italia, che a una giornalista di 23 anni, da sei impegnata in articoli sulla mafia al punto da venir minacciata con un proiettile dentro una busta, si permette di dire “la tua pubblicazione non uscirà più”, nonostante le copie incrementate.
Strano Paese il nostro. Strano davvero. Vi convivono istanze e moralità diverse e contrastanti.
Per questo è importante che ci siano momenti di denuncia, intessuti con un’alta qualità di scrittura della “sceneggiatura” – se così si può definire – e una buona dose di emozione nei protagonisti durante il racconto di quella che a buon vedere è essenzialmente un’esperienza di vita.

Denuncia delle mafie, certo. Di quella criminalità organizzata che meno spara e più ricicla, che ha trovato il modo di essere “rispettabile” facendosi eleggere nei posti di comando: come collettività paghiamo incessantemente il costo dei guadagni negli appalti venduti, per lavori non eseguiti, per il denaro sporco riciclato.
Anche dove tutto sembra “pulito” come nella ricca Emilia – Romagna, le infiltrazioni (il sistema mafia ormai diventato endemico, ha affermato Gerardo Bombonato, presidente dell’Odg emiliano, a introduzione della serata) han trovato il modo per prosperare con l’aiuto politico di personaggi senza scrupoli e quello chissà quanto inconscio del sistema bancario.

Ci vuole coraggio e testardaggine per non far finta di niente. Eppure le inchieste di mafia vengono spesso affidate a colleghi senza tutele, precari, pagati 4 o 5 euro – lordi – per articoli che potrebbero costar loro il diritto a parcheggiare la macchina senza ritrovarsi con le ruote squarciate, a camminare per strada senza paura, a vivere senza la spada di Damocle di una richiesta di risarcimento esorbitante – in sede civile, dove i procedimenti sono annosi – attraverso una querela temeraria che cerca di metterti il bavaglio, che vuole spingerti all’autocensura.
I processi costano. Chi può permettersi di pagare un avvocato per anni con un lavoro precario e poco retribuito?
Senza contare che l’editore può licenziarti per giusta causa, se sei assunto…

È bene che tutto questo si sappia, valichi i confini delle cene tra colleghi, delle conversazioni prima delle conferenze stampa, dei convegni per “addetti ai lavori”. È bene che chi ha la dignità di lavorare con “la schiena dritta” si veda riconosciute le giuste tutele e non si trovi ad essere bersaglio indiretto delle affermazioni sulla “casta”.

È bene che la voce tremante per l’emozione di Francesca Santolini nel raccontarsi arrivi anche a noi giornalisti, a memoria di quel codice deontologico che dovremmo sempre avere a mente, qualsiasi sia il nostro ambito lavorativo, qualsiasi siano le tematiche di cui ci occupiamo.
“Non c’è niente di cui scrivere oltre le sagre”, avevano detto ad Ester Castano quando le affidarono il territorio attorno a Pavia. Lei ha cercato e ne è venuto fuori un intreccio inscindibile di corruzione e malaffare di cui beneficiava per primo il Sindaco e il suo avvocato, che per una sola consulenza su un articolo si guadagnò oltre settemila euro. Settemila, per leggere un articolo e capire se sussistevano gli estremi per una querela per diffamazione.
Giornaliste di provincia, entrambe, nella regione popolosa e ricca della Lombardia. Ester ha 23 anni e lo sguardo fiero. Quello che dovremmo avere tutti noi per la professione che abbiamo scelto di svolgere.

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