Il 29 novembre 2012, una giovane romena di 20 anni partorisce nella toilette di un McDonald’s nella zona sud di Roma e lascia il suo bimbo di tre chili nel water. Ritrovato poco dopo, soccorso e trasportato al Sant’Eugenio, il bimbo riesce a sopravvivere e viene adottato; la donna rintracciata e catturata in Romania viene accusata di tentato infanticidio.

Il 28 febbraio 2013, una ragazza romana getta il cadavere del suo bambino, appena partorito, davanti all’Ospedale S. Camillo, dopo averlo tenuto in borsa per un’intera giornata. Questa volta l’accusa è di infanticidio. Il 21 marzo 2013, in un bistrò di via del Circo Massimo, sempre nella capitale, viene rinvenuto un feto abbandonato in un cestino. I risultati dell’autopsia saranno fondamentali per capire se si è trattato di un aborto spontaneo o di un infanticidio nel caso in cui il feto dovesse risultare di oltre tre mesi.

Da ultimo, il 1 aprile 2013 una mamma di Brindisi avvelena la figlia di tre anni e poi si uccide lanciandosi nel vuoto. In questo caso l’accusa per la donna sarebbe stata quella di figlicidio. Oggi più che mai, la cellula fondamentale della nostra società sembra manifestare un continuo e crescente disagio, mostrandosi più fragile nell’incapacità di risposte ad aspettative affettive, psicologiche e materiali.

L’ultimo rapporto Eures-Ansa del 2009, che ha preso in considerazione il biennio 2007/2008, ha purtroppo evidenziato come l’Italia abbia raggiunto il triste record, in Europa, di omicidi tra consanguinei. Tra la serie di delitti, ricopre un ruolo di primo piano, per la difficile comprensione, quello in cui un genitore arriva ad uccidere il proprio figlio.  In tal caso, di quale reato si tratta ? E qual è la pena prevista ? Infanticidio, feticidio o figlicidio ?  Distinti omicidi che vedono come vittime piccole vite. Il codice penale non tratta queste fattispecie tutte allo stesso modo: quando la morte arriva per mano esclusivamente materna nei confronti di chi è appena nato (infanticidio) o sta nascendo (feticidio), la pena prevista è dai 4 ai 12 anni di reclusione; quando, invece, la morte arriva per mano materna o paterna nei confronti del bambino, si configura il reato di figlicidio, punito con la pena dell’ergastolo. Per la legge italiana, dunque, i due diversi reati prevedono uno sbilanciato trattamento sanzionatorio, a seconda del momento in cui la madre compie il delitto (se subito dopo il parto o in un momento successivo). Il trattamento privilegiato sanzionatorio caratteristico del reato di infanticidio veniva, una volta, giustificato sulla base della cosidetta “causa honoris”, causa d’onore che in seguito, per la mutata percezione in materia, è stata abrogata dalla legge 442/’81 . Attualmente, tale privilegio, viene giustificato sulla base dell’elemento temporale in cui si consuma il delitto e in quei casi in cui la madre versa in uno stato di abbandono materiale e morale connesso al parto. E’ pur vero, però, che è complicato che sussistano entrambe le situazioni. E’ infatti impossibile ipotizzare che ai nostri giorni una donna versi in un abbandono totale, non sappia a chi rivolgersi per chiedere aiuto, con a disposizione i diversi presidi sanitari e non, sparsi sul nostro territorio, atti a salvaguardare la sua salute e quella del nascituro. Riguardo, poi, i casi di abbandono: circa 3.000 neonati, c’è da evidenziare che la mancata conoscenza della legge italiana miete molti più casi di quanti dovrebbero esserci. L’art. 30 del D.P.R. 396/2000 dà la possibilità alla madre di partorire in totale anonimato, permettendo al neonato di essere dichiarato adottabile. Dunque, si auspicano più informazione e interventi di riforma sull’art. 578 c.p. che così come formulato, non riesce a rispondere più a quelle che sono le esigenze giuridico-sociali del nostro Paese. 

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