Questa settimana, precisamente martedì 26, la  Corte suprema degli Stati Uniti ha iniziato a valutare i ricorsi in merito alla questione dei matrimoni gay.

Due i ricorsi da esaminare: il primo riguarda la cosiddetta Proposition 8, ovvero il referendum tenutosi in California nel 2008, il cui esito abolì il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso, precedentemente introdotto da una sentenza della Corte Suprema della California. L’altro ricorso su cui l’alta Corte degli U.S.A. è chiamata a esprimersi, è quello contro il Defense of Marriage Act, in italiano Atto di Difesa del Matrimonio. Promulgata nel 1996 da Bill Clinton, questa legge prevede che i matrimoni fra persone dello stesso sesso non siano riconosciuti reciprocamente da tutti gli stati dell’Unione, così come avviene, invece, con tutti gli altri atti e documenti ufficiali, compresi i matrimoni eterosessuali. Se fino ad ora dunque la regolazione di questo tipo di unioni era appannaggio dei singoli Stati, la Corte suprema potrebbe ribaltare la situazione estendendo la tutela costituzionale prevista per i matrimoni classici anche alle unioni gay. Si tratterà, comunque vada a finire, di un precedente giuridico e politico importante. In attesa della sentenza non resta che chiedersi se sia giusto o meno che lo Stato intervenga a legiferare nelle questioni etiche e, soprattutto, come dovrebbe intervenire in questi casi: con quali criteri e secondo quali principi ?

Neutralità etica
I media, americani e non solo, hanno dato ampia risonanza alla questione, salutando la battaglia legale in corso negli Stati Uniti, come l’ultima frontiera dei diritti civili. I diritti civili sono i diritti di prima generazione, quelli che storicamente si sono affermati per primi e che sanciscono le libertà individuali. Essi hanno iniziato il loro percorso fina dai tempi dell’Habeas corpus Act prima e del Bill of Right poi. Si sono poi affermati grazie alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti e alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino durante la Rivoluzione Francese. Secondo la concezione dello Stato liberale, nato da queste vicende storiche e teorizzato a partire da Locke fino ad arrivare a Rowls, le istituzioni hanno il compito di garantire la libertà di scelta individuale in una società pluralistica, dove non è possibile individuare una concezione etica condivisa a causa della molteplicità di valori e di concezioni del mondo che una tale società ospita. Lo Stato deve dunque mantenersi neutrale in tutte le questioni etiche, garantendo la libertà di scelta al singolo individuo. Più facile a dirsi che a farsi perché in realtà è difficile che le istituzioni possano rimanere del tutto neutrali quando si parla di etica.

Proprio il matrimonio fra persone dello stesso sesso infatti è una delle questioni in cui risulta difficile autorizzarlo o negarlo senza entrare in dispute di carattere etico o religioso. Se infatti le legislazioni degli stati occidentali, anche quella italiana, hanno da tempo riconosciuto alcuni dei diritti civili ai rapporti di convivenza, indipendentemente dal sesso e dalla condizione “istituzionale” dei conviventi, il matrimonio è, tuttora, un istituto a cui viene data una particolare rilevanza sociale a cui vengono attribuiti di conseguenza specifici riconoscimenti e benefici. Per questo non è possibile risolvere il problema nell’ambito della razionalità pubblica liberale che prevede una “sospensione del giudizio” da un punto di vista etico perché in questo caso è difficile escludere ogni giudizio nel merito del problema, perché esso dipende dal telos (per dirla con Aristotele), ossia dal fine che una determinata società attribuisce al matrimonio stesso. In pratica nella controversia sui matrimoni omosessuali si dibatte per stabilire se esse siano o meno degne del riconoscimento che la nostra società attribuisce al matrimonio validato dallo Stato. Come si vede non si può sfuggire alla questione etica.

L’opzione liberale
Un’opzione letteralmente liberale (che qualcuno ha avanzato), sarebbe quella di far venire meno il riconoscimento istituzionale del matrimonio e trasformarlo in un rapporto privato, o al massimo religioso, fra individui indipendentemente dal sesso o da altre variabili. Ma in questo caso sarebbero legittimate anche le unioni poligame o altre forme di rapporti. Un ragionamento corretto su questo argomento, oggi, dovrebbe ruotare, perciò, attorno al fine, allo scopo sociale dell’istituzione matrimoniale, per la quale essa ottiene dei riconoscimenti sociali : è la procreazione, come sostiene chi è contrario alla omologazione dei matrimoni gay con quelli eterosessuali, oppure è il benessere di due individui indipendentemente dalla procreazione, la quale non è condizione necessaria e vincolante in nessun tipo di matrimonio?

L’antico contrasto fra teocrazia e diritto positivo
Le problematiche sul riconoscimento giuridico di determinati tipi di unione (qualunque esse siano), ha la sua origine in un contrasto vecchio quanto l’uomo che sembra superato da tempo, ma che oggi torna di attualità, benché in altre forme rispetto al passato: è l’antica contrapposizione fra teocrazia e diritto positivo. Se in origine il diritto civile, si pensi a Mosè e ai 10 comandamenti, era un tutt’uno con quello divino, già Tommaso D’Aquino tenta di emancipare il potere e il diritto umano dalla sfera del divino. Tommaso infatti distingue l’ambito del diritto positivo da quello di origine divina. Ma la svolta si ha con Marsilio da Padova e il suo Defensor Pacis che anticipa la concezione laica dello Stato moderno: Marsilio teorizzava la fondazione “aristotelica” cioè mondana e razionale, civile e laica dello Stato, in cui la religione è affidata a una classe, il clero, pari a ogni altra classe sociale la cui funzione è di insegnare le cose che secondo la Scrittura si devono credere, fare o non fare per la salvezza oltremondana; scopo dell’ordinamento umano è invece consentire all’uomo di vivere e di vivere bene: a questo serve la legge dell’uomo e le sue sanzioni materiali.

Oggi i nostri ordinamenti sono completamente secolarizzati, tant’è vero che in Occidente lo Stato è per definizione laico, tuttavia, come dimostra il caso del dibattito circa i matrimoni gay ,non è possibile non fare i conti con considerazioni di tipo etico o addirittura religioso. Perché, nonostante la teocrazia sia una dottrina indubitabilmente superata, è dimostrato che nelle norme dell’ordinamento civile e dunque laico delle nostre legislazioni, c’è il continuo passaggio di principi mutuati dalla religione. Un fenomeno che caratterizza tutte le legislazioni del mondo, qualunque sia la fede predominante in una determinata società.

Poligamia, incesto e “pubblico scandalo”
Il caso della poligamia è emblematico: in Italia come altrove essa non solo non è riconosciuta come fonte di diritti individuali ma costituisce addirittura un reato. Fino a qualche anno fa, in alcuni Stati del sud degli Stati Uniti la sodomia costituiva reato anche se praticata in privato o senza “pubblico scandalo”. In altri casi invece è proprio il “pubblico scandalo” a costituire reato : è il caso dell’incesto che l’articolo 564 del codice penale italiano punisce solo nella misura in cui il rapporto incestuoso venga a conoscenza della comunità. Se l’incesto è commesso senza pubblico scandalo, ossia senza che nessuno lo sappia, e senza coinvolgere minori, non c’è reato. Un fatto che potrebbe risultare surreale ma che dimostra come il concetto di famiglia sia relativo ai tempi e alle diverse forme di unione che la società, di volta in volta, plasma: in una odierna famiglia allargata o composta da persone dello stesso sesso il concetto di incesto si relativizza un bel po’.

Come lo stesso presidente Obama ha più volte auspicato sarebbe oggi necessaria una forma di razionalità pubblica più ampia che coinvolga le differenti posizioni in materia di valori. L’aspirazione alla neutralità, tipicamente liberale, è dunque costantemente messa in discussione e non sempre è possibile decidere in materia di giustizia e diritti senza risolvere problemi etici fondanti.

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