Il Governo Monti, sollecitato dalle parti sociali ed in particolare dal presidente di Confindustria Squinzi, ha finalmente iniziato ad affrontare, tra polemiche e conti fantasiosi, l’annosa questione del debito dello Stato nei confronti delle imprese.
Non è un problema da poco: Comuni, Province, Asl e Regioni commissionano continuamente lavori e prestazioni a privati, che firmano contratti spesso a forte ribasso pur di ottenere, se non una liquidità immediata, almeno una “speranza” di pagamento. Lo squilibrio tra le parti in causa è evidente, visto che sul fronte delle entrate lo Stato non accetta ritardi, mentre lo stesso principio non vale in senso contrario. Individuare le colpe di questo meccanismo perverso non è semplice e non serve abbandonarsi ad inutili quanto semplicistiche generalizzazioni, tacciando di insensibilità i singoli dirigenti pubblici, che hanno le mani legate dalla burocrazia e dalla disciplina di bilancio. Occorre piuttosto correggere i cosiddetti “colli di bottiglia” che impediscono l’esplicarsi della funzione pubblica, attraverso vincoli e regole astruse, perché ad essere cieca è la burocrazia, non chi è costretto per legge ad applicarla.
Venendo ai fatti, questa settimana il Ministro Grilli ha annunciato un piano di rientro del debito verso le imprese di 40 miliardi in due anni, suddivisi tra enti locali e pubblici di vario livello, dalle Regioni alle Asl. Il provvedimento dovrebbe assumere la forma di un Decreto-legge, non tanto per l’evidente urgenza dell’intervento (che era urgente anche due, tre o cinque anni fa), quanto per la velocità d’implementazione e l’assenza di approvazione da parte della neo-costituita aula parlamentare. Questa modalità ha creato non poche polemiche, soprattutto da pare dei deputati grillini, che rilevano la scarsa trasparenza della procedura. Oltre a questo, che sembra rappresentare oggettivamente una difficoltà minore, trattandosi in definitiva di un disegno di legge da inserire nell’ambito della programmazione economica, rimane il problema di stabilire a quanto ammonta effettivamente il debito. In questi giorni abbiamo assistito al solito vortice di numeri, da cui è difficile estrapolare un dato certo, anche se ieri è arrivata la stima autorevole della Banca d’Italia che certifica al 2011 un debito pari a circa 90 miliardi di euro, il 5,8% del Pil. L’intervento previsto di 40 miliardi non è dunque sufficiente a coprire nemmeno la metà dei crediti avanzati, ma rappresenta pur sempre un inizio.
Sul piano tecnico, il decreto prevede lo sblocco di fondi ed accantonamenti da parte degli enti interessati, attraverso l’allentamento del Patto di Stabilità Interno, che obbliga gli amministratori a contenere il deficit puntando al pareggio di bilancio. Il passaggio necessita di un finanziamento da parte dello Stato, che garantirà l’ammontare complessivo di 20 miliardi all’anno, per cui il rapporto deficit/Pil complessivo passerà, secondo i calcoli esposti dal Ministro Grilli, dal 2,4% al 2,9% nel 2013, rimanendo dunque sotto la fatidica sogli del 3%. Questo aspetto è particolarmente importante, poiché di questi numeri l’Italia deve rendere conto a Bruxelles: al momento la Commissione Europea mantiene aperta una Procedura per Deficit Eccessivo nei nostri confronti, che dovrebbe chiudersi a giugno, ma in vista dell’approvazione del decreto la posizione potrebbe cambiare. Dopo un’iniziale apertura, sponsorizzata dal Commissario all’Industria Tajani, i tecnici hanno infatti tirato il freno, riservandosi una valutazione più accurata del problema. L’obiettivo dichiarato di Grilli è di mantenere invariato il saldo strutturale, ovvero al netto delle misure una tantum come appunto quella sui pagamenti alle imprese, ma la posizione di Bruxelles su questo aspetto non è stata chiarita.
La diatriba tra le ragioni dei tecnocrati comunitari e quelle degli amministratori locali rimane in piedi, dal momento in cui sono proprio le regole imposte dagli accordi europei ad aver generato il debito nei confronti delle imprese. Il meccanismo di trasmissione è semplice: lo Stato, nel suo complesso, deve ridurre il debito e quindi il deficit annuale, per cui obbliga, attraverso il Patto di Stabilità Interno, le amministrazioni a pareggiare il bilancio, ma così facendo non si riescono a pagare le imprese per i lavori affidati, che quasi sempre riguardano l’ordinario. Si tratta, infatti, di interventi di manutenzione di strade, edifici pubblici, scuole, ospedali, lavori di progettazione, prestazione di servizi. Quello che ai conti pubblici sfugge, per tornare alla cecità della burocrazia, è l’aspetto sociale che soggiace dietro i pagamenti, per cui migliaia di famiglie vivono nell’incertezza dello stipendio.
Il mancato pagamento delle prestazioni è uno dei fattori, nel più vasto ambito della crisi economica, che contribuisce alla chiusura di un numero indefinito di imprese, costrette ad indebitarsi per pagare stipendi e fornitori. Un ruolo cruciale, di conseguenza, lo giocano gli istituti di credito: prima della crisi, infatti, un’impresa che avanzava un credito verso la pubblica amministrazione poteva facilmente utilizzarlo per ottenere un finanziamento, ma oggi non è più così, perché le banche richiedono garanzie certe. Il sistema bancario, in altre parole, non ripone più la fiducia nella pubblica amministrazione, soprattutto in assenza di tempi di rimborso certi. L’attacco del Movimento 5 Stelle verso il nuovo decreto è fondato proprio su questo tema, ritenendo che i 40 miliardi saranno utilizzati in larga misura per saldare i debiti verso le banche e non verso le imprese. Il Ministro Grilli, alla luce di queste critiche, ha chiarito che la norma stabilirà un priorità sui rimborsi, privilegiando le imprese rispetto agli istituti che hanno avuto crediti in “pro soluto”, ovvero che hanno “acquistato” un diritto di riscossione versando un corrispettivo all’impresa creditrice.
Mentre le parti in causa, seppur con posizioni specifiche in merito all’entità ed ai meccanismi attuativi, sembrano essere tutte sostanzialmente favorevoli al decreto, un alone d’incertezza rimane per quanto riguarda l’efficacia dell’intervento rispetto all’economia reale. Si tratta sicuramente di una boccata d’ossigeno per molte imprese, anche se difficilmente questa operazione si trasformerà in un aumento effettivo degli investimenti e delle assunzioni. Il Ministero dell’Economia ha elaborato stime piuttosto ottimistiche, per cui grazie al “pagamento dei debiti commerciali della P.A.” la caduta del Pil prevista per l’anno in corso si fermerebbe a -1,3% (+0,2% rispetto alle stime precedenti), mentre per il 2014 si arriverebbe addirittura ad un +0,7%, passando da una crescita dello 0,6% all’1,3%. L’impatto sul reddito nazionale è sicuramente un aspetto importante, anche perché sottintende un cambiamento, seppur lieve, nella dottrina economica dominante, per cui lo stimolo alla domanda attraverso la spesa pubblica non genera effetti positivi. L’aspetto puramente economico, ad ogni modo, potrebbe e dovrebbe passare in secondo piano, poiché in ballo ci sono aspetti di giustizia sociale e redistributivi che non possono essere più trascurati: è ora che lo Stato torni a “vedere” con occhi diversi ciò che accade nel Paese.