Manca ancora un anno e dal 2014 le aziende siciliane potranno sperimentare la simbiosi industriale, ossia la possibilità di creare un network finalizzato – attraverso lo scambio di prodotti, informazioni e servizi – a ridurre i consumi, ottimizzare i costi e soprattutto ad implementare attività economicamente sostenibili. Insomma, sempre meno rifiuti in discarica, si al riciclo e al recupero delle materie prime.
L’iniziativa, messa in campo da Enea e dal Cnr, porterà la Sicilia a diventare, da qui ai prossimi 5 anni, un modello di eco-innovazione in tutto il Paese. Non solo per il progetto di simbiosi industriale ma anche per la realizzazione (nel 2014) di un impianto pilota per il recupero di metalli preziosi dalle schede elettroniche; oltre che la progettazione di due impianti finalizzati rispettivamente al recupero di terre rare dai monitor e di energia dalle materie plastiche.
Anche se il concetto di simbiosi industriale è ormai datato e vanta esperienze di successo in diversi paesi nordeuropei come ad esempio la Gran Bretagna, quello siciliano sarà il primo progetto italiano avviato in Italia e partirà grazie ad un’iniziativa di Enea, l’ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, che ha ricevuto in tal senso un finanziamento dal Miur per 4,5 milioni di euro. Basta guardare i risultati finora raggiunti dall’esperienza nel Regno Unito, dove si è realizzata una rete di oltre 15mila aziende, per rendersi conto quali siano i vantaggi per le attività economiche sostenibili.
L’esempio britannico
In Gran Bretagna, infatti, dove il progetto è stato finanziato dal governo per 40 milioni di euro in 5 anni (dal 2005 al 2010), nel solo primo anno di esecuzione, la simbiosi industriale ha determinato una riduzione delle immissioni di CO2 in atmosfera di 8 milioni di tonnellate; circa 9 milioni le tonnellate di rifiuti non sono finite in discarica mentre sono state recuperate; 12 milioni di tonnellate di materie prime con un risparmio di acqua di 14 milioni di tonnellate. Secondo il Nisp, il programma britannico di simbiosi industriale, dallo scambio di informazioni e dalla realizzazione di collaborazioni “simbiotiche”, nel solo primo anno di funzionamento del network, le aziende hanno risparmiato 243 milioni di euro, hanno creato 10mila nuovi posti di lavoro e attirato investimenti privati per 374 milioni di euro. In pratica ogni 2 centesimi spesi hanno prodotto un risparmio di un euro ed un ulteriore guadagno di un euro. Un effetto collaterale è l’abbattimento del costo di smaltimento dei rifiuti pericolosi: circa 13 euro per tonnellata.
Gli scarti del vicino
«La simbiosi industriale – spiega Laura Cutaia, ingegnere, membro della squadra messa in campo da Enea per la realizzazione del network – concettualmente è un luogo di incontro tra chi ha la disponibilità di risorse e chi, dall’altra parte, potrebbe utilizzarle come materie prime. Molti scarti di produzione di un’azienda possono essere riutilizzati come materie prime da altre aziende. Si pensi al vapore che può essere usate ad esempio, per riscaldare impianti o serre. L’importante è saperli utilizzare ma soprattutto conoscere chi fa cosa. Difficilmente gli imprenditori sanno che un certo output, per esempio, un certo scarto di produzione, potrebbe servire all’azienda del vicino. Questo accade perché i codici di identificazione dei prodotti sono tecnicamente diversi. Ossia uno scarto di produzione non ancora riciclato, ad esempio, ha codici completamente diversi da quelli delle materie prime. Gli stessi imprenditori non sanno che un loro scarto potrebbe essere utilizzato utilmente come materia prima per la propria o per altre aziende. Per realizzare l’incontro di queste informazioni bisogna trovare un linguaggio comune e condividere le informazioni. In tal senso stiamo realizzando una piattaforma informatica, una sorta di banca dati rivolta alle aziende che entreranno a far parte del network».
Un software per il network
Ci vorrà ancora un anno e mezzo di intenso lavoro non solo per realizzare il software che per sensibilizzare le aziende del territorio ad entrare nella rete. Nonostante l’adesione al progetto di Confindustria Sicilia, avvenuta nel giugno 2012, tramite la sigla di un protocollo con Enea, e la disponibilità manifestata già da 5-6 aziende del territorio, non sarà un’impresa facile anche perché le imprese italiane, di solito, sono piuttosto restie a fornire certi tipi di informazioni, soprattutto quelle legate al proprio fabbisogno di materie prime. Per contro, alla base di questo tipo di network, c’è quella di scambiarsi liberamente le informazioni in una banca dati comune. «In questo senso – continua Cutaia – stiamo pensando ad una piattaforma che garantisca un certo livello di riservatezza. Potrà essere utilizzata, infatti, solo dai membri del network».
Il supporto di Confindustria Sicilia sarà certamente importante nella fase di promozione del progetto. «Già a partire dalla prossima primavera – spiega il direttore Giovanni Catalano – abbiamo in programma di organizzare una serie di incontri e di seminari informativi per i nostri iscritti. Abbiamo già la disponibilità di 5-6 aziende. Tra queste anche quella del nostro presidente, Antonello Montante, e del vicepresidente, Giuseppe Catanzaro, ma contiamo di riuscire a coinvolgerne molte di più».
Il messaggio è rivolto non solo ai colossi locali dei distretti industriali di Gela e Ragusa (che peraltro sono state inserite nell’elenco dei siti da bonificare di rilevanza nazionale); o di quello elettronico o delle arance rosse di Catania o ancora di quello della plastica di Pozzallo in provincia di Ragusa. Punta a raggiungere principalmente le piccole e medie imprese del territorio alle quali sarà affidato il compito, secondo i piani Enea, di creare una sorta di modello-Sicilia che poi potrà essere replicato in tutt’Italia.
«Basterebbero – spiega Roberto Morabito di Enea, che coordina il progetto – 5 o sei reti in tutto il Paese. Per adesso ci concentriamo sulla Sicilia. Abbiamo scelto di partire da qui anche per l’importanza strategica di quest’isola che per la sua posizione geografica potrebbe fare da perno e da promotore per lo sviluppo tecnologico di tutta l’area del mediterraneo. Per questo motivo stiamo cercando di coinvolgere la regione Sicilia. Avevamo presentato il progetto alla vecchia giunta e, a seguito dell’avvicendamento politico, siamo in procinto di riproporla anche alla nuova».
Le terre rare
Ma la simbiosi industriale è solo uno degli aspetti del più grande progetto di eco-innovazione messo in campo per promuovere lo sviluppo sostenibile dell’area. Entro l’anno prossimo infatti vedrà la luce il primo impianto italiano per il recupero di metalli preziosi dalle schede elettroniche con tecnologia idro-metallurgica, un passo avanti rispetto ai tradizionali altoforni. Lo stesso dicasi per il recupero di energia dalle materie plastiche e di terre rare dai monitor del computer rottamati. In tal senso Enea sta progettando, sempre in Sicilia, due mega impianti che consentirebbero il riciclo dalla sola produzione regionale di modo da avere una certa autonomia. «Le terre rare – continua Morabito – sono materie prime fondamentali per l’industria, per esempio, dei telefonini ma è sempre più difficile reperirle con il rischio di incrementare la dipendenza dalle importazioni dall’estero, soprattutto dalla Cina. Il riciclo, in tal senso è un passaggio obbligato». Iniziative eco-sostenibili saranno avviate anche nel settore turistico e in particolare nell’isola di Favignana per la creazione di un turismo eco-sostenibile. Costo complessivo dell’operazione finanziata dal Miur: 50 milioni di euro.