Sabato sera in tv, l’arena più sanguinaria dai tempi dei combattimenti tra gladiatori. E’ qui che si giocano le sorti della tv che conta, la tv dai budget stellari anche in tempi di spending review.

E’ qui che la Rai, l’azienda di stato, il cui stato è noto a tutti, si esprime al meglio nel ruolo di incassatore eccezionale: sono anni, infatti che la “sfida del Sabato sera” si conclude con sonore legnate da parte della concorrenza. E allora che il match abbia inizio: per la rete (cosiddetta) ammiraglia della Rai ecco a voi “I Migliori anni” mentre per Mediaset abbiamo lo spaccaossa dello share, il devastatore di sonni dirigenziali: “Italia’s got talent”. Ultimo risultato: sabato 26 gennaio la Rai si ferma al 17,88% di share per 4milioni 144mila mentre Mediaset, impietosa, sfonda il muro del 30,20 con 6 milioni 995 mila. Peccato, a sette milioni vincevano il pupazzetto di peluche del cavallo di Viale Mazzini.

Senza troppo addentrarci in un’analisi tecnica delle “curve” dello share è giusto inoltre sottolineare che Canale 5 rispetto alla Rai ha quasi sempre almeno il doppio degli spazi pubblicitari (i cosiddetti “neri”) durante i quali il pubblico televisivo ricorda di avere il pollice opponibile e lo usa per cambiare canale evitando spot di auto che non può comprare, adesivi per dentiere che sa di avere e merendine che porteranno verso quelle dentiere. Questo giusto per dire che il match, paradossalmente, vedrebbe Mediaset partire con un handicap. E allora? Allora la disamina è semplice quanto spietata: la Rai porta a casa quello che è probabilmente il “suo” pubblico o poco più, uno zoccolo duro che cambierebbe canale solo di fronte ad un programma eccezionalmente brutto (è capitato e capiterà, si aspetta con ansia la fine del periodo di garanzia pubblicitaria). Perché di per sé “I migliori anni” non è un programma brutto, fatto male o senza idee. E’ semplicemente un programma che soffre di due principali problemi. Il primo, non da poco, è che ha concluso il suo ciclo di vita. Partito nel 2008 con il 28,55% di share già nella scorsa edizione si era assestato intorno alle cifre dell’ultimo sabato e perdere 11 punti in 4 anni farebbe capire a chiunque che la vena d’oro si è esaurita e che dal filone si possono ricavare al massimo gli spiccioli ma non ai decisori di Mamma Rai che commettono il secondo errore strategico realizzando così la sequenza catastrofica perfetta. Affidare infatti il programma per affrontare la sfida del sabato sera al conduttore che tutti i santi giorni è in video alle 19.00 con “L’eredita” e che è reduce dai successi del format rivelazione del 2012 che è “Tale e quale show” è davvero sintomo di una lungimiranza e di una predisposizione al suicidio fuori dal comune. O, peggio, vuol dire che non avevano di meglio tra le mani che buttarsi sulla formula “usato sicuro”. Ma l’usato non va più bene.

Il pubblico, entità astratta percepita male da persone che non hanno più contatti con la realtà da anni non ce la fa più ad essere messo alla prova con la minestra riscaldata male. Parliamoci chiaro: “Italia’s got talent” (che pure circola dal 2009, eh) non è un format innovativo, è la “Corrida” di Corrado evoluta. Non a caso Maria De Filippi (produttrice del programma oltre che giurata) ha voluto Gerry Scotti a segnare il passaggio di testimone tra il vecchio e il nuovo. Rispetto alla “Corrida” si predilige un po’ (ma senza esagerare, poco poco) l’aspetto puramente talentuoso ma i punti di forza dello show sono gli strambi, i suonatori d’ascella, gli spernacchiatori, i ballerini obesi, gli sciamannati, i sognatori commoventi, i casi umani e gli inseguitori a tutti i costi di quei 3 minuti di celebrità che ti separano per un periodo limitato dall’anonimato (oggi il quarto d’ora di Warhol lo darebbero solo a divinità del sesso capaci di sollazzare, e bene, le più alte cariche dirigenziali delle aziende televisive o dello Stato che tra l’altro, spesso, si confondono).

Un pizzico di novità e di varietà nella proposta. E’ solo questo che chiede il pubblico per decretare un successo da “asfaltatori” (perché di questo stiamo parlando, manca poco al raddoppio per Canale 5). La gente non ne può più di vedere le algide, meravigliose ma ormai irrigidite icone della musica italiana cantare i propri, meravigliosi, sublimi, ma ormai stucchevoli cavalli di battaglia e di certo non aiutano i momenti comici che non fanno ridere e non riescono a risollevare le sorti nemmeno i superospiti come Arnold Schwarzenegger. Non è la tv degli anni ’80 che si emozionava in modo un po’ provinciale per la presenza delle star d’oltreoceano. Ormai lo abbiamo capito anche qui che sono persone in carne ed ossa e non semidei e che per un ottimo compenso anche il grande Robert De Niro può piangere a “C’è posta per te”. Manca il coraggio di innovare? Magari! Ormai manca la voglia pure di provare a realizzare un prodotto dignitoso o, forse, la tv è fatta ormai da persone che non hanno più la passione per la “scatola magica”. E con questo Andalù vi saluta e si porta via i pesi massimi del sabato sera televisivo.

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