Santoro sbanca l’auditel e ovunque si celebrano gli ascolti della serata di Servizio Pubblico: 8.670.000 gli spettatori pari al 33,58% di share. L’ eccezionalità dell’ evento ha giocato il ruolo decisivo: da quasi dieci anni i due si insultavano da lontano e da dieci anni Santoro e Travaglio hanno fatto della guerra contro Berlusconi il centro della loro carriera.

E’ vero come faceva notare il conduttore all’ex premier : “ammetterà che lei è un bell’argomento…” e che “ appena scriviamo dieci pagine già n’ha fatte e dette altre cento”, ma è vero anche che la polarizzazione su alcuni argomenti, i magistrati e le inchieste, i lavoratori che urlano in massa con Ruotolo in mezzo, le donne usate come strumento di indignazione con sottofondo di moralismo, hanno reso il confronto televisivo di Servizio Pubblico un concentrato degli ultimi dieci anni di politica italiana, basata sul come si appare, sulla quantità di scempiaggini dette, con il pubblico consapevole che le accetta come si fa a teatro.
In mezzo, mancavano i giornalisti e le domande.

E’ vero che l’anno di Monti ha molto attutito il clima di rabbia ma non si è chiesto nulla, dati alla mano, su cosa abbia fatto dell’istruzione, dei cervelli fuggiti all’estero, del rapporto con la chiesa, con l’industria, con il lavoro. Si poteva chiedere dell’omofobia, delle spese per la difesa, dei soldi negati alla sanità, della chiusura dei teatri. Si potevano fare domande anche generiche sulla famiglia, sulle donne e i loro diritti. Avrebbe negato tutto, ovviamente, straparlato, pasticciato i dati, ma almeno loro avrebbero fatto il loro mestiere. Perfino la battuta delle scuole serali poteva essere una riflessione sulla dispersione scolastica, invece è diventata una gag.

Costamagna e Innocenzi, le due bionde schierate sperando che il vecchio satrapo cadesse nel trabocchetto del solito complimento, sono state le uniche a fare delle domande reali, mentre i capi show si battevano sullo stesso terreno da cabaret, con delle punte di massima inutilità come il commento dell’espressione di Merkel mentre lui, ovviamente, ha potuto dire che parlava con Erdogan per salvare la candidatura di Rasmussen.

Tale predominanza dello spettacolo, con una certezza da parte di entrambi del colpo grosso degli ascolti, hanno fatto emergere un po’ ovunque nei social network che Berlusconi abbia giganteggiato. E’ vero. Solo che non ha prevalso lui appunto, ma il berlusconismo. La sottocultura, la mancanza di misura, la politica ridotta a cabaret per vecchi incipriati, hanno trasmesso un messaggio finale infantile e per questo angosciante.

Così, non è la “vittoria di Berlusconi”, ma è la percezione collettiva che abbia vinto Berlusconi il punto centrale della serata. Il berlusconismo è una categoria culturale talmente introiettata nell’anima del paese da risuonare vittorioso perché il pubblico ha percepito familiari le menzogne, le frasi da bauscia, la vanitosa autoironia che ridiventa tracotanza, l’odio celato dietro il sorriso, la battuta per scavallare le difficoltà, il ricorso alla categoria “comunista” e ai magistrati che gli hanno impedito di compiere quello che non è riuscito in venti anni.

A questi topoi narrativi non si è opposto “altro” ma qualcosa di complementare. L’uno che gli dà del delinquente ladro, l’altro che lo accusa di diffamare, le battute poi, alcune delle quali efficacissime (quella che non può chiamare il centralino di Mediaset è forse una delle migliori), hanno trasformato la trasmissione definitivamente in un varietà. Tutto c’era meno che la politica. Ossia l’Italia di oggi.
Spicca, a riprova di ciò il commento dell’ Huffington Post che nel celebrare gli ascolti della tv ha parlato di una strepitosa novità : “Servizio Pubblico sfonda ogni parametro televisivo, porta a un nuovo livello la comunicazione politica”. In realtà era solo una sintesi di questi anni.

Un altro precedente, ancora più squallido fu quello del “ confronto” Costamagana Carfagna. La prima, incamerate tutte le stigmate del berlusconismo (forse per aver lavorato così a lungo al tg4) fece un’ intervista a Mara Carfagna riuscendo nel non facilissimo compito di farla giganteggiare. Anziché metterla alle strette su cosa non avesse fatto per le donne, sulle sue ridicole e dispendiose   battaglie del velo e del burqa,   si avventurò in allusioni sul come avesse acceduto al posto di ministra, che poteva essere anche uno sgambetto, ma doveva essere finale.

Si potrebbe replicare che così va la comunicazione in tv, che questi sono i media e il giornalismo, che ha bisogno di pubblicità per sopravvivere. E’ vero.

Questo match ha però un altro precedente illustre che non va dimenticato: Berlusconi e Oliviero Diliberto a Matrix nel 2006. Moderava all’ epoca Mentana. Una raccapricciante predisposizione dello studio con plaudenti tifoserie, ognuna per la parte avversa, devono rammentare anche quali responsabili abbia questo modo di fare televisione e ancora una volta nelle televisione di chi sia nato il modello adottato da tutti. Diliberto ne uscì trionfante. Anche lì, con Berlusconi che dava del comunista, si contraddiceva, mentiva sui dati, ritrattava, faceva battute. Senza un solo momento lasciare la presa, pur concedendosi feroce ironia, Diliberto sezionava le menzogne, le capovolgeva, sciorinava dati entrava e usciva dalla battuta e dalla analisi profonda a suo piacimento. In poche parole era un politico informato (al di là della condivisione che si può avere per le sue idee) che sgominava l’avversario con le armi dell’intelligenza. Era appunto altro, rispetto a lui.

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