Quattordici mesi fa Mario Monti, l’economista venuto da Bruxelles, nominato poco prima senatore a vita, approdava nel salone delle feste del Quirinale per prestare giuramento da Premier: figura ideale per guidare un governo di tecnici in grado di varare le misure chieste dall’Unione Europea e trascinare l’Italia al sicuro dagli attacchi speculativi dei mercati.
Era il 16 Novembre del 2011. Il giorno dopo, il Professore, nel suo primo discorso parlamentare, faceva già intuire con una frase allusiva, per lo più ignorata dai media, quel che sarebbe accaduto nei mesi successivi: «E’ arrivata l’ora di rinsaldare quel senso dello Stato, che evita la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza alla comunità in localismo, del senso di partito in partitismo». Una frase all’apparenza simile a quella che i leader democristiani di un tempo usavano per coprire il loro sottogoverno, ma che conteneva tutto il programma di un anno di legislatura.
Durante il suo governo, l’algido bocconiano ha imposto correzioni incisive e gravose: il pensionamento in età più avanzata e col sistema contributivo per tutti; una robusta patrimoniale-immobiliare; la minuziosa revisione della spesa pubblica e una lotta all’evasione fiscale supportata da blitz plateali-esemplari.
Con queste mosse, ai più sgradite, ha condotto le élites euroopee e d’oltre oceano a ricredersi sulla governabilità degli italiani, mettendo in campo più di un tentativo per eliminare i parassiti che da anni paralizzano la crescita, nonostante fin’ora non vi sia stata alcuna inversione di tendenza.
Un esordio studiato al dettaglio, in particolare dal punto di vista comunicativo.
Monti esplicita immediatamente gli obiettivi in grado di polarizzare consensi e tranquillizzare le borse, in un momento di estrema confusione istituzionale: tra i primi il dimezzamento dello Spread, dalla critica quota di 574 punti, registrata al momento dell’insediamento, fino a quella raggiunta lo scorso 2 Gennaio ( quando il differenziale tra titoli italiani e tedeschi ha chiuso a quota 284, soprattutto in seguito all’approvazione del fiscal cliff negli States).
Dalla ridefinizione dello Spread, il Prof. passa a una minuziosa definizione del proprio ruolo: abitudini, modalità d’eloquio, loden e abito d’ordinanza. Il tutto per marcare la distanza tra sé e il tradizionale modo di fare politica.
Istantaneo il riscontro positivo. Finalmente qualcuno lontano dai conflitti d’interesse ( siamo sicuri?), dalle miserie dei professionisti di partito, una figura efficiente, razionale e trasparente, lontana dalle implicazioni con i poteri forti ( almeno a suo dire). Per inciso va ricordato che Monti è parte costituente dei poteri forti: consigliere di Goldman Sachs, presidente della Trilaterale (ramo europeo), fondatore del think tank Breugel di cui è presidente, membro e assiduo frequentatore del Bilderberg. Tutt’altro che neutrale entra a Palazzo Chigi ben recependo gli interessi di queste organizzazioni.
Ad ogni modo la situazione al suo arrivo è così compromessa da procurargli approvazione unanime, in prima battuta quasi acritica: finalmente qualcuno che stemperi i toni sopra le righe dell’Italietta berlusconiana, che possa colmare, con una credibilità più che riconosciuta, il vuoto di rappresentatività e il gap cristallizzato tra governo e società.
Si percepisce sobrietà, concretezza e arriva il plauso degli osservatori esterni. Così, il neo Premier, inizialmente alquanto low profile, alza il tiro, imposta una linea pedagogico-dirigista: con il 2012 celebra la “rieducazione degli italiani”.
Poi, da tecnico, ingegnere sociale adatto a salvare il modello economico e politico, comincia a vestire i panni del riformatore antropologico e civile: “Spero di cambiare il modo di vivere degli italiani”, dichiara lo scorso Febbraio al «Time».
La sua vuol essere una rieducazione di stile, di coscienza civica, ma anche lessicale e comunicativa.
Nei primi mesi di governo si affaccia sulla scena mediatica con calcolata antispettacolarità, dosando con parsimonia la presenza televisiva, senza tuttavia lesinare dichiarazioni ufficiali, dispensate con movenze da gesuita.
Rispetto all’impressione iniziale di comunicatore serio, completo senza essere specialistico e spesso sfuggente, nei mesi, capovolge la sua strategia.
All’inizio quasi latitante su internet e social network, il Prof. bazzica poco anche i giornali di casa, frequentando più volentieri le testate straniere: dalla Cnn a “Le Figaro”, al ceco “Hospodarske Noviny”, da “El Mundo” all’agenzia del Kuwait “Kuna”. Forse per dare smalto al nostrano orizzonte internazionale, forse per diffidenza verso i media italiani.
Dopo la sfiducia del Pdl e le dimissioni rassegnate lo scorso Dicembre, le cose cambiano.
Si vara la legge di Stabilità, Napolitano scioglie le Camere, Monti saluta ufficialmente Palazzo Chigi e prepara “l’Agenda” che verrà presentata in una lunga conferenza stampa domenica 23 Dicembre.
La suddetta Agenda si configura come l’elemento chiave della strategia di rimonta.
Rassicura l’uditorio : i sacrifici non andranno sprecati. In più riporta al centro del dibattito le idee come oggetto e mezzo privilegiato per una gestione razionale del Paese.
In regalo sotto l’albero però il Professore lascia strenne poco allettanti: Imu, esodati, pensioni, articolo18, varie gaffe come quella degli “sfigati” di Martone, il pianto della Fornero, la Tav, il decreto Province, una lacunosa legge anticorruzione, la truffaldina riforma del comparto militare e la promessa- rimasta tale- di compensare il rigore con “crescita ed equità”.
Se poi, in un primo momento, ribadiva che non avrebbe partecipato alla battaglia elettorale, con l’avvicinarsi del nuovo anno, ha trasformato messaggi e allusioni da arbitro imparziale, in una vera e propria presa di posizione.
Esternando frequenti dichiarazioni, ha imparato anche la buona pratica di presenziare sempre più spesso in tv.
Non solo per tener testa all’avversario fautore della “strategia del cucù”.
La copertura mediatica e la partecipazione in lizza, indiretta prima, diretta poi, per le politiche del 24 Febbraio prossimo, derivano dalla volontà di tutelare un’Agenda che, senza un’iniziativa in prima persona, sarebbe sicuramente già uscita dalla campagna elettorale.
Alla fine Monti si decide, “sale in campo” e si è capito subito che lo avrebbe fatto al di fuori degli schemi tradizionali. Si propone come sponsor dei centristi, con una lista unica al Senato, provvisoriamente denominata “Agenda Monti per l’Italia”; alla Camera con una “coalizione”. “Io vigilerò sulla composizione delle liste e per ora accetto di ricoprire il ruolo di capo della coalizione e mi impegnerò per il successo di questa operazione”. Un Monti deciso a mettere a segno i propri obiettivi. L’ ex dc Castagnetti ha dichiarato a tal proposito “ per uno come lui non ci sono alternative: è costretto a essere sempre il primo”.
Pochi giorni ci separano dall’election day e sulle cronache è tutto un proliferare di virgolettati Montiani . “Abbiamo preparato uno statuto che permetterà la coesistenza tra forze politiche, associazioni, movimenti e individui”. Il Prof. poi, nonostante l’evidenza dei fatti, persevera nel dipingere l’iniziativa del suo “Movimento” come antipersonalistica: “Non ho mai pensato di creare un partito”, non credo alle esperienze politiche “incentrate sulla singola personalità e non sono l’uomo della Provvidenza. Con tanta buona volontà ho permesso che forze politiche contrastanti lavorassero insieme per allontanare il Paese dal baratro”. Staremo a vedere se anche stavolta non sarà di parola.
Negli ultimi giorni sta perfino alzando i toni, rivolgendosi direttamente ai rivali, suoi ex sostenitori. Che stia per tradire quell’aplomp che lo ha reso gradito a una gran fetta di opinione pubblica? Sicuramente sta già correndo un rischio: la caduta in quei meccanismi di personalizzazione che ha sempre evitato, verso i quali sta pericolosamente scivolando.