Per confutare la falsa e comune convinzione secondo la quale le lungaggini processuali vengono coltivate dai legali al fine di gonfiare le proprie parcelle, un avvocato milanese ha   pensato di convenire in giudizio il ministero della Giustizia al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni determinati in via indicativa in circa e 458mila euro asseritamente subiti a causa dei sistematici disservizi degli uffici di cancelleria e degli ufficiali giudiziari e alle carenze organizzative del tribunale. Tutti fatti che lo avevano costretto a lavorare in condizioni di estremo disagio

Il legale rilevava di aver sacrificato tutto il proprio tempo anche nei propri giorni festivi per lo svolgimento di adempimenti che altri avrebbero dovuto compiere, qualora vi fosse stato il normale funzionamento degli uffici.
L’eccessivo carico che veniva posto a carico dell’avvocato, faceva sì che egli destinasse tutta la propria vita al lavoro, nulla rimanendogli per i normali svaghi ed alcuno spazio residuando per il tempo libero.
In sostanza la disorganizzazione del sistema giudiziario faceva sì che l’aumento dell’impegno lavorativo dell’avvocato provocasse un danno con i connotati del danno ingiusto risarcibile, in quanto i diritti della persona costituzionalmente garantiti dovevano comunque ricevere una tutela diretta.
La mancanza di tempo libero necessario per il recupero delle energie psicofisiche determinava una situazione per cui, di fatto, all’avvocato non rimaneva alcuna possibilità di svago e doveva destinare tutte le proprie energie al lavoro, compromettendo la qualità della vita ed il diritto alla felicità.

IL RIGETTO DEL GIUDICE DI MERITO

Tuttavia le aspettative dell’avvocato milanese venivano disattese prima dal Tribunale che compensava le spese di causa e poi dalla Corte d’Appello che condannava il legale anche alle spese di giudizio.
L’interessato tuttavia non desisteva dall’azione e proponeva ricorso alla Corte Suprema ove si costituiva il Ministero mediante un apposito controricorso.
Simpaticamente la Cassazione, prima di entrare nel merito della questione, rileva una serie di errori processuali commessi da entrambi.
Infatti il legale nel proporre l’azione aveva erroneamente notificato il ricorso in Cassazione all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, mentre la notifica ai sensi dell’R.D. 30/10/1933 n. 1611 art. 11 andava fatta all’Avvocatura dello Stato del foro ove si procedeva e quindi andava tenuto conto del foro di Roma.
Tuttavia la nullità del ricorso veniva sanata dalla costituzione del Ministero della Giustizia la quale non approfittava dell’errore del ricorrente e procedeva alla notifica del controricorso a mezzo posta.
Però anche in tal caso la Cassazione rileva la nullità della notifica del controricorso dell’Avvocatura dello Stato perché non erano state rispettate le disposizioni in tema di notifica a mezzo posta.
Infatti dall’originale della cartolina depositata si evince che il controricorso dell’Avvocatura è stato notificato nello studio dell’avvocato domiciliatario del ricorrente, consegnando il plico al portiere dello stabile.
Tuttavia poiché la normativa prevede in questo caso l’ulteriore obbligo dell’invio di una raccomandata all’interessato confermandogli la notifica al portiere, obbligo che non è stato rispettato, ne consegue che la notifica del controricorso del Ministero era anch’essa affetta da nullità (questa volta non sanata).

IL RIGETTO DELLA CORTE SUPREMA

Nel merito la Corte di Cassazione rileva che non può essere richiesto alcun indennizzo al Ministero per il tempo perso in quanto, come aveva già affermato dalla Corte d’Appello milanese, vi sono due ragioni fondamentali che ostano all’accoglimento del ricorso.
Da un lato il fatto che i costi sostenuti da un avvocato nello svolgimento di un mandato professionale sono comunque a carico del cliente e dall’altro, quanto al risarcimento del danno derivante da perdita del tempo libero determinato dal ricorrente in circa un ora e mezza al giorno, si tratta di un danno non patrimoniale e come tale non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 del Codice Civile.
La Cassazione (con la sentenza n. 21725 depositata il 04/12/2012) in sostanza ritiene che le argomentazioni del giudice di merito appaiono condivisibili, precisando inoltre che poiché l’avvocato è un libero professionista, egli ben può scegliere di decidere la quantità degli impegni che è in grado di assumere e gestire in modo ragionevole.
In sostanza egli può dosare con un’adeguata organizzazione professionale, avvalendosi dell’opera di collaboratori, il giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero.
In particolare sul primo punto non vi è dubbio come gli esborsi che l’avvocato è chiamato a sostenere anche in termini di sacrificio del proprio tempo libero, vadano posti, entro i limiti di legge, a carico dei clienti che abbiano chiesto di avvalersi dell’opera del professionista.
Quindi non ha alcun rilievo verificare l’entità esatta dei disservizi connessi all’attività dell’Amministrazione della Giustizia, né vanno quantificate in modo preciso il numero di ore che un avvocato è costretto ad impiegare nello svolgimento della propria attività, ore che potrebbero essergli risparmiate se gli uffici giudiziari funzionassero, trattandosi di oneri da porsi comunque a carico del cliente.
Quanto al danno non patrimoniale richiesto all’avvocato, derivante dalla lesione dei diritti inviolabili della persona e come tali costituzionalmente garantiti, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. anche in ipotesi in cui non sussista un fatto reato, va rilevato che il tempo libero non costituisce di per sé un diritto fondamentale della persona tutelato a livello costituzionale.
Ciò per la semplice ragione che il suo esercizio è rimesso all’esclusiva autodeterminazione della persona che è libera di scegliere tra l’impegno instancabile nel lavoro ed il dedicarsi ad altre attività ricreative.
Quindi esso non può essere fonte di un obbligo risarcitorio in relazione al danno non patrimoniale.
Né possono essere risarciti i danni da “perdita di tempo”, da “mancanza di tempo ricreativo”, dalla “forzata rinuncia agli spazi temporali della propria esistenza” trattandosi analogamente di pretesi diritti al riposo, che possono essere gestiti da ciascun professionista liberamente.
Pur rigettando nuovamente il ricorso, tuttavia la Corte, stante l’errore dell’Avvocatura dello Stato nella notifica del controricorso, non ha accollato alcun ulteriore onere per le spese legali sull’avvocato ricorrente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *