Pianeta che governa il segno del Sagittario è Giove. Il suo nome italiano è palesemente legato a Jovis, il genitivo di Juppiter. E la forma latina Juppiter (più corretta di Jupiter) è nata da una formula di invocazione, dyeu peter (indoeuropeo) che vuol dire Cielo padre! e corrisponde al vocativo greco Zeu pater.
Vicino a Juppiter si è conservata la forma Diespiter, corrispondente al vedico dyauh pita. Dyeu e dyauh, poi, si legano alla radice div (che richiama la luminosità del cielo) e dà, in sanscrito, la forma deva, da cui deriva il latino deus, italiano Dio. La luminosità del pianeta era già sottolineata dai Babilonesi, presso in quali era chiamato Mulu-Babbar, cioè “la stella bianca”. E inoltriamoci nel mito…
Non fa certo piacere ad una madre che i suoi figli, nati da poco, vengan tolti di mezzo; ed anche in modo abominevole. Ed è in effetti sconvolta, Rea; ‘ché il suo sposo Kronos divora letteralmente, inghiottendoli, tutti i figli che lei gli partorisce. Suo timore è l’esser spodestato dal trono divino che occupa: una profezia gli ha rivelato che sarà un suo figlio a detronizzarlo. E spariscono tra le sue fauci Estìa, Demetra, Era, Ade, Poseidone. Non si può continuare così. E avvolge in morbide bende una pietra, Rea, e quella consegna allo sposo divoratore invece dell’ultimo nato, il piccolo Zeus-Giove. Subito l’infante è portato a Creta e nascosto in una grotta. E Adrastea (altro nome della Madre Terra) lo pone in una culla d’oro o cesta appesa alla volta della caverna; e sugge, il piccolino, dalla gonfia poppa della capra Amaltea.
Cresce forte il futuro signore dell’Olimpo e spezza, un giorno, giocando, un corno della capra. Diverrà la Cornucopia, corno dell’abbondanza, dispensatore di cibi e bevande. E ancora, ormai adulto, sacrifica Zeus la capra-nutrice e si fa, della sua pelle, un’armatura o scudo, l’egida. E la bestia è posta – luminosa stella – nella costellazione dell’Auriga. E giunge il momento che la profezia s’avveri: torna presso il cupo padre, Zeus, e gli propina un droga, sì che rigetta, il crudele, i figli a suo tempo ingurgitati. E così la guerra: Zeus e i suoi fratelli contro Kronos e i fratelli suoi, gli antichi Titani. Titanomachia di dieci anni e poi un oracolo promette ai giovani dèi la vittoria se si avvarranno dell’aiuto degli esseri a suo tempo precipitati da Kronos nel Tartaro, i Centimani. E così avviene. Ed è la volta d’esser prigionieri di Kronos e i suoi (Tifeo e Atlante, pure, anch’essi nemici di Zeus). Scampano, peraltro, le divinità genitrici Notte e Terra, benigne soccorritrici di Zeus giovane. Né perde il suo potere Ecate, come anche il grande Oceano.
Ma anche sul nuovo regno della terza generazione divina gravano pericoli e minacce. Insanabile dissidio porrà di fronte Zeus e il più magnanimo dei Titani, Prometeo, che finirà incatenato ad una roccia nel Caucaso, con un’aquila (attributo di Zeus) che gli divora il fegato perennemente rigeneratesi. E ancora deve difendere il suo regno, Zeus, dall’assalto dei Giganti, nati dal sangue di Urano; verranno sconfitti con l’aiuto di Eracle.
Ma anche Zeus, secondo la sorte, sarebbe destinato a cader vinto da un figlio più forte, al quale dovrebbe cedere il potere. E però, per la sua lungimirante sapienza, la profezia resta inadempiuta. Inghiotte il dio la sua prima sposa, Metis (Mente). Narra Esiodo: “Era destino… che da Mente saggi figli nascessero; per prima una figlia, la Vergine Glaucopide, Pallade Atena… E avrebbe poi generato un figlio dal violento cuore, destinato ad essere re degli uomini e degli dèi, se Zeus non l‘avesse prima inghiottita dentro il suo ventre”. E così avviene. E l’oracolo è inadempiuto. Solo Atena (Metis inghiottita era incinta di lei) viene messa alla luce uscendo dal cranio del padre. Ma ancora infrange il destino, Zeus, lasciando in sposa a Peleo la dea che gli era destinata, Teti. Molte altre le dee che gli vengono poste accanto come spose: Mnemosine nella Pieria, Nemesi a Ramnunte, Era nel Peloponneso, Temi a Samo. Né mancano suoi congiungimenti con donne mortali: Europa ed Io, che avvicina come toro; Leda, che possiede come cogno; Danae cui si dà come pioggia d’oro.
Supremo ordinatore del mondo divino, Zeus-Giove, nel mito, appare anche il supremo ordinatore e arbitro del mondo umano, inappellabile giudice di uomini e popoli. Ma resta sempre in lui traccia del signore del cielo tempestoso, il possessore della folgore.