Per l’ennesima volta nel corso di questa crisi, un sistema bancario viene salvato grazie ad un intervento esterno da parte di una pubblica istituzione. La Spagna ha ottenuto dalla Commissione Europea l’approvazione per l’erogazione della prima tranche di aiuti richiesti da Madrid per ricapitalizzare i quattro istituti finiti in dissesto: Bfa/Bankia, Ncg Banco, Catalunya Banc e Banco de Valencia.
L’ammontare è pari a 37 miliardi di euro, su un totale richiesto di 100 miliardi, di cui 18 finiranno nelle casse di Bankia, l’istituto più grande e più in sofferenza. La novità riguarda l’utilizzo del nuovo fondo salva-Stati, il Meccanismo Europeo di Stabilità messo a punto durante l’estate non senza notevoli complicazioni e colpi di scena. Rispetto alle precedenti esperienze si ravvisano dunque cambiamenti sostanziali, specie per quanto concerne le modalità di erogazione e gli accordi presi direttamene con i consigli d’amministrazione delle banche, che erano già state di fatto nazionalizzate dal governo.
La soluzione accordata per affrontare la crisi bancaria spagnola è frutto degli accordi presi durante il Consiglio europeo dello scorso giugno, quando emerse la necessità di predisporre uno strumento in grado di minimizzare l’esposizione dei governi rispetto alla ricapitalizzazione degli istituti. Questa direzione fu caldeggiata soprattutto dal premier Monti, con l’obiettivo di interrompere il circolo vizioso che lega a doppio filo l’indebitamento privato delle banche ai già deboli bilanci pubblici. La vicenda di Madrid è emblematica sotto questo aspetto: in un paese dove le finanze pubbliche sono all’orlo del collasso, destando non poche preoccupazioni in termini di fiducia da parte dei mercati, l’erogazione diretta di fondi per ricapitalizzare il sistema avrebbe trascinato l’economia in un vortice estremamente pericoloso. Le modalità d’intervento dell’ESM sono dunque pensate per ridurre tali rischi, dal momento in cui a prestare i soldi è un istituzione finanziaria esterna, che può autonomamente finanziarsi sul mercato ad un tasso d’interesse contenuto in virtù del rating favorevole ottenuto dalle agenzie. L’onere della restituzione, inoltre, è a carico delle banche stesse, con le quali è stato concordato un piano di risanamento stringente. Il governo non è comunque immune da rischi, in quanto i fondi saranno formalmente erogati al governo di Madrid che provvedere alla distribuzione ed al controllo successivo sull’impiego.
Le misure di ristrutturazione sono state in effetti negoziate con le competenti autorità spagnole, che forniscono una sorta di garanzia implicita sugli accordi. Mentre il Banco de Valencia sarà venduto al gigante Caixa, cessando in sostanza di esistere come istituto indipendente, le altre dovranno rispettare un ferreo regime di tagli al bilancio, che sarà complessivamente ridotto del 60% entro il 2017. L’obiettivo è di liberare gli istituti dagli investimenti spregiudicati messi in campo negli anni passati: a tal fine è stata creata la società Sareb, che raccoglierà i titoli spazzatura cercando per quanto possibile di limitare le perdite. Secondo gli accordi, alle banche sarà impedito di investire sia nel settore immobiliare, nella cui bolla si identifica la causa principale del dissesto in atto, sia nel mercato cosiddetto “all’ingrosso”, per cui non potranno acquisire altre società, fondi pensione o altri enti che gestiscono titoli finanziari. L’attività sarà dunque forzatamente dirottata verso il credito a famiglie ed imprese, con particolare riguardo verso quelle di piccole o medie dimensioni, mentre ci sarà l’obbligo di cedere parte del portafoglio in titoli. L’intero impianto dovrebbe assicurare un rinforzamento immediato del capitale societario, che consentirà di limitare le perdite da parte degli azionisti, ma le remunerazioni dovranno essere particolarmente contenute.
Andando oltre i tecnicismi, il segnale lanciato da Bruxelles sembra piuttosto chiaro. Gli accordi presi tra l’Europa ed il governo spagnolo implicano un pesante intervento sul piano delle scelte d’investimento da parte delle banche, che in sostanza perdono buona parte della libertà d’azione. Solo qualche anno fa provvedimenti del genere sarebbero stati considerati come una grave violazione dei principi del libero mercato, ma è evidente che la criticità della situazione richiede misure draconiane. In particolare, le forti limitazioni imposte sugli investimenti finanziari sottintendono per la prima volta un giudizio critico rispetto ai meccanismi di valutazione del rischio, evidenziando di fatto l’insostenibilità di un sistema fondato sugli strumenti derivati. Finalmente si è posto l’accento sul ruolo delle banche come veicolo di finanziamento all’economia reale, per cui l’attività di credito dovrebbe rimanere prevalente rispetto all’attività finanziaria.
L’intervento del fondo salva-Stati non sarà certamente indolore per l’economia spagnola. Bankia ha già reso noto che provvederà ad un taglio di circa 6.000 posti di lavoro, corrispondenti al 28% del personale, misura che dovrà essere adottata anche dagli altri istituti. Si tratta dell’ennesimo colpo per un mercato del lavoro già fortemente destabilizzato, visto che la Spagna sta facendo registrare tassi di disoccupazione che si aggirano intorno al 25%, un record all’interno dell’Unione Europea. Un altro contraccolpo potrebbe verosimilmente arrivare da un’inevitabile restrizione del credito, nonostante l’impegno congiunto per favorire il finanziamento alle imprese. Per risanare i bilanci, gli istituti potrebbero essere incentivati a tenere larga parte dei fondi ricevuti nelle proprie casse, attivando mutui e prestiti solamente dietro garanzie che il disastrato tessuto economico iberico al momento non può fornire. Nella migliore delle ipotesi, chi riuscirà ad ottenere un finanziamento dovrà pagare interessi di gran lunga superiori a quelli registrati negli anni precedenti la crisi, soldi che le banche useranno per rinforzare la capitalizzazione e per ripagare il proprio debito verso azionisti ed istituzioni finanziarie.
La lezione spagnola dovrebbe rappresentare un monito per tutti quei sistemi economici che hanno puntato su investimenti rischiosi, attraverso la creazione di bolle artificiali che possono esplodere da un momento all’altro. L’Italia, pur trovandosi in una posizione simile sul piano delle finanze pubbliche, non sembra tuttavia affetta dalle stesse problematiche per quanto riguarda il settore bancario. Nel nostro paese, infatti, il dissesto non ha origine in avventurose speculazioni come quella immobiliare, ma riguarda il possesso di titoli diventati pericolosi solamente in seguito alla crisi debitoria. I nostri istituti, nonostante abbiano in corpo una notevole varietà di strumenti spazzatura, sono stati fino ad ora salvati dalla relativa avversione al rischio, visto che in Italia ottenere un mutuo era già difficile in tempi non sospetti. I rischi principali sono dunque causati dall’eccessivo affidamento riposto nei titoli di Stato: l’errore delle nostre banche è stato paradossalmente quello di acquistare troppo debito nostrano, oltre a quello greco e spagnolo, che si è rivelato una bomba ad orologeria. Per il momento, almeno sotto questo aspetto, le acque sembrano essersi calmate, anche se il perpetuarsi della recessione e l’impoverimento della nostra economia rendere insolventi un gran numero di soggetti, mettendo in crisi il labile equilibrio mantenuto fino ad ora.