Il 25 novembre è stata la giornata mondiale dedicata alla lotta contro i crimini sulle donne, per tale importante ricorrenza si è parlato moltissimo del femminicidio, sono stati riportati molti dati statistici agghiaccianti, si è creato un passaparola allarmante, al punto che in alcuni articoli e blog si è parlato della violenza domestica come seconda o addirittura prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni.
Molti sono rimasti profondamente colpiti, soprattutto perché hanno pensato che stia avvenendo una mattanza… di colore rosa. Dunque, nella percezione collettiva, sono i numeri a dare importanza al fenomeno. Si dimentica così che anche se fosse più circoscritto è tale la sua atrocità che anche un singolo caso dovrebbe essere degno di attenzione.
Stiamo attenti quindi a parlare di numeri, dire che sono 130 donne ad essere state uccise in Italia rischia di focalizzare l’importanza sul numero, mentre ciò che è importante è la gravità della motivazione, anche se vi fossero state “solo” 20 vittime. Ad esempio gli infanticidi sono circa 22 l’anno, ma questo numero non rende meno importante la sensibilizzazione verso questo fenomeno.
Bisogna stare attenti a non creare inutile sensazionalismo fine a se stesso: creare notizie shock non dà le basi per risolvere le questioni, in quanto rischia di far usare gli strumenti sbagliati.
Agguerriti ma informati
La prima cosa che andrebbe fatta quando si parla di femminicidio, essendo questo una piaga culturale, è dividere le informazioni che arrivano dai popoli di differenti culture, stando attenti a separare i dati che riguardano solo l’Italia dal quelli mondiali: solo in questo modo potremo comprendere come muoverci per mettere fine a questo massacro.
Infatti sia che si voglia agire politicamente, giuridicamente o culturalmente possiamo farlo a livelli diversi nel nostro Paese, nell’Unione europea, o nell’ONU. Un primo passo è quello di concentrarsi sulla soluzione nel nostro Paese ma per fare questo dobbiamo studiare bene il fenomeno senza farci annebbiare dalle notizie scioccanti.
Una prima notizia shock girata in questi giorni, è stata quella per cui si è stimato che il femminicidio in Italia sia tra le prime cause di morte nella fascia d’età che va tra i 16 e i 44 anni. La stessa notizia è stata data in riferimento alla popolazione mondiale. Ovviamente balza all’occhio, destando sospetti, che l’Italia e il resto del mondo (di cui fanno parte popoli estremamente misogini) abbiano lo stesso tipo di classifica. Ma se si vanno a controllare le statistiche con intelligenza si scopre che in Italia il femminicidio è tra le prime cause di morte (esattamente al terzo posto), soltanto in riferimento alle persone, uomini e donne, che muoiono di morte violenta o dovuta a cause esterne, ovvero dagli omicidi agli incidenti passando per i suicidi, ma solo per questa categoria. Il femminicidio quindi non è tra le prime cause di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni, e anzi le donne vittime di omicidio, in relazione alla popolazione femminile deceduta complessiva sono solo 1,49 %
A livello generale il femminicidio, come riportato dai dati Istat, è fortunatamente molto basso come causa di morte. Inoltre anche per quanto riguarda il resto del mondo va comunque data importanza alla fascia d’età presa in considerazione, che esclude le donne anziane e l’altissima mortalità infantile dei paesi poveri (più di un bambino su 3 muore per malattie e malnutrizione) dove, peraltro, c’è anche il più alto numero di femminicidi.
Da questa ricerca mi sono sentita sollevata: il femminicidio è più facile da debellare di quello che si è immaginato in questi giorni. Dobbiamo solo capire come: il primo passo importante è evitare che si crei una profezia che si auto avvera. Evitare che l’uomo si suggestioni aumentando la sua violenza, evitare che avvengano delitti simulatori, evitare che si crei normalizzazione dell’evento.
La cattiva informazione e l’Onu, una rischiosa influenza reciproca
La notizia shock dell’improbabile causa di morte femminile è arrivata fino all’Onu, istituzione composta da persone certo non esenti dai meccanismi di persuasione. Infatti sembra che addirittura Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, sia arrivata a sostenere tale dato.
Questa falsa notizia è pericolosa, non solo perché il messaggio che dà dell’Italia al mondo è sbagliato, ma perché rischia di creare dapprima un malato immaginario e poi una profezia che si auto avvera: sarebbe rischioso portare il maschilista italiano ad un atto estremo giustificato da una frequenza così alta, che rischia di far sembrare questo tipo di decesso nella norma. Per fare un esempio drastico, nelle popolazioni musulmane è talmente frequente il femminicidio, che non si parla più di questa o quest’altra donna maltrattata, ma le si butta tutte nel calderone. Dobbiamo evitare che si arrivi a questo anche in Italia, dobbiamo parlare di ogni donna morta per femminicidio chiamandola per nome, ricordandola e additando il suo omicida chiamando anch’egli per nome, perché è assurdo morire in questo modo ed è inconcepibile commettere atti di questo tipo in Italia (e proprio come la statistica conferma, si tratta di casi limitati, gravissimi ma limitati).
Probabilmente la critica dell’Onu al nostro Paese è stata inizialmente pompata dai media, ma ora rischia di diventare reale, proprio come un’istituzione che si convince di aver emanato documenti dei quali tutti parlano, ma che in realtà non esistono (si ricordi cosa accadde all’APA riguardo alla sua posizione sul lavaggio del cervello – vedi, sul punto, articolo correlato a questo – Plagio, i sette passi delle sette). Sembrerà strano, ma per una volta critiche più dure, seppur fatte con cautela, le meritano altri Paesi quali l’Inghilterra, il Belgio e l’Ungheria i quali hanno una percentuale più alta di femminicidio proporzionale al numero della popolazione femminile.
Oltretutto mi chiedo se in passato l’Onu abbia fatto critiche costruttive anche sugli Stati Uniti, i quali hanno chiuso gli ultimi 5 anni dello scorso secolo con risultati agghiaccianti riguardo agli omicidi: seconda causa di morte per i maschi da 1 a 19 anni e terza causa di morte per le bambine tra gli 1 e i 19 anni; terza causa di morte per i maschi tra i 20 e i 39 anni e quinta per le ragazze della stessa età; decima causa di morte per gli uomini dopo i 40 anni (fortunatamente non rientrava tra le prime 10 per la donna!) Le informazioni sono tratte da uno studio svolto nel 2000 dalla Breast Cancer Reserch.
Una soluzione possibile
Nel 2008 tra i totali casi di omicidio, il 24,1% riguarda le donne: 147 donne uccise di cui 104 in contesti familiari; mentre il 75,8% riguarda gli uomini: 462 uomini uccisi di cui 67 tra le mura familiari (dato anch’esso allarmante). Da questi dati si scopre che mentre l’uomo resta vittima di omicidio per il 14,5% delle volte, le donne muoiono di femminicidio per il 70% delle volte (Dati ottenuti da Eures-Ansa 2008).
Quindi ogni giorno in Italia viene ucciso un uomo, mentre ogni tre giorni viene uccisa una donna, ma mentre gli uomini vengono uccisi per diversi motivi, quali liti, criminalità, gelosie, gioco, eccetera, per quanto riguarda la donna si è riuscito a trovare una causa comune, ovvero il desiderio di sopraffazione dell’uomo. In sostanza, se le cause degli omicidi a danno dell’uomo sono ben lontane dall’essere risolte, possiamo invece combattere per eliminare la crudeltà contro le donne: una volta che si prende coscienza della causa di una piaga questa può essere debellata.
Una questione che scotta
Abbiamo spiegato come diventi più utile parlare di femminicidio in modo circoscritto piuttosto che generalizzato, ma bisogna fare attenzione anche al solco che questo concetto rischia di allargare tra l’uomo e la donna: un maggiore distacco non è la soluzione, ma ancora una volta la causa.
In realtà l’uomo e la donna sono più simili di quello che si pensa: quando in loro è radicata la violenza, 1 volta su 4 questa è rivolta ai più deboli. Spieghiamo meglio.
In Italia solo nel 2011 si sono registrati circa 600 casi di omicidio, commessi da uomini e donne per un rapporto di 8 a 1, ovvero l’uomo uccide 8 volte più della donna (anche se negli ultimi anni sta crescendo notevolmente la figura della donna assassina). In questi casi di omicidio 137 sono femminicidi e 22 infanticidi (di cui il 95% compiuto da madri). Possiamo quindi presentare i seguenti dati.
Le donne commettono il 12,5% di omicidi, di cui il 3% è compiuto sui propri figli (la restante percentuale è commessa soprattutto per motivi di gelosia). Quindi il 24 % delle volte che la donna uccide lo fa contro i più deboli.
Gli uomini commettono l’87,5% di omicidi (essi sono più violenti in generale sia con le donne che con gli altri uomini), di cui il 23% sono da considerarsi femminicidi, l’1% infanticidi e il restante 63,4% su altri soggetti. Quindi il 27% delle volte che un uomo uccide lo fa contro i più deboli (26% contro le donne e 1% contro i bambini). Le informazioni sono tratte dai dati Istat.
Quanto detto dovrebbe fare riflettere sul fatto che così come detenere un’arma in casa diventa catalizzatore di omicidi tra le mura domestiche (dati statistici confermano), la forza in quanto arma ha lo stesso tipo di catalizzazione, e l’uomo essendo più forte della donna è come se avesse un’arma in più, che lo rende “semplicemente” maggiormente portato alla violenza, ma in realtà entrambi, uomini e donne, la sfogano 1 volta su 4 con vigliaccheria.
Abbiamo quindi trovato un altro argomento su cui fare perno per eliminare delitti come il femminicidio (e l’infanticidio). Ovvero dare un nuovo significato al concetto di forza: che non sia più un’arma, ma un prezioso strumento di difesa per i più deboli, del resto (per citare un noto slogan) la forza è nulla senza controllo.
Morale della favola
E’ inutile insistere sull’introduzione di nuove leggi o sul cambiamento di qualche aggravante/attenuante, infatti il codice penale considera già aggravanti sia l’omicidio verso persona più debole, che l’omicidio tra le mura domestiche. Inoltre non considera affatto come attenuante l’omicidio commesso per gelosia, né quello commesso per la fine di un rapporto. L’unica attenuante considerata ancora valida dal codice penale italiano è l’omicidio commesso per infedeltà coniugale, quindi tra marito e moglie.
Il vero cambiamento va affrontato a livello culturale, ma non è solo di cultura dell’antiviolenza (come proposto dalla ministra di Giustizia Paola Severino) di cui si parla, ma di insegnare l’uguaglianza come collante tra i generi e le differenze come particolarità tra le persone, così da far comprendere come la forza, maschile e femminile, fisica o psicologica, possa essere usata come preziosa risorsa per fare del bene.
Non sbaglia quindi l’avvocato Giulia Bongiorno quando sostiene che più importante della punizione è la prevenzione e la protezione delle donna, anche perché dalla punizione le vittime avrebbero magra consolazione non essendo più in vita. Ma è anche importante applicare le leggi che già ci sono in maniera severa. Probabilmente ancora una volta è al cambiamento culturale che dobbiamo puntare perché istituzioni come i tribunali sono fatte da uomini e donne influenzati dalla loro stessa cultura.
Cosa possiamo fare noi donne
E’ ovvio che nessuna donna vuole restarsene con le mani in mano, il femminicidio è di certo diventato una questione personale, probabilmente questo spinge alla lotta, una lotta per le altre donne, una lotta per se stesse, ma questo impegno rischia di fare la fine del grido “la lupo, al lupo” della famosa fiaba.
Eppure le donne hanno un grandissimo potere, quello di avere ancora un ruolo maggiore nell’educazione dei figli, ruolo forse sessista, ma per ora grande occasione: siamo noi che dobbiamo educare i nostri figli a non essere maschilisti e le nostre figlie a non compiacere i maschietti.
Sono infatti perfettamente d’accordo anche con l’antropologa messicana Marcela Lagarde, teorica del concetto di femminicidio, la quale sostiene che si debbano cambiare le immagini stereotipiche sostenendo che è la cultura a rafforzare la concezione per cui la violenza maschile sulle donne è naturale attraverso continue immagini che legittimano la violenza. E’ proprio questo il punto su cui dobbiamo agire. Ma se l’uomo non verrà incontro alla donna nel modificare certe immagini, non può che essere la donna, con il suo potere nell’infondere valori alle nuove generazioni, a muovere il primo passo verso una cultura che la rispetti!
Un invito per cominciare ad agire
Anche la forza delle donne può essere usata come arma o come risorsa per la difesa di noi stessi, la forza viene da dentro, dalla sicurezza. Una donna che si sente sicura di sé non subisce femminicidio, di questo si parlerà sabato, per chi fosse interessato, a Borgo Ticino, dove le ragazze della nazionale di K1 dimostreranno come è possibile sviluppare in se stesse questa grande risorsa.
Sappiamo qual è il problema: la vigliaccheria maschile; sappiamo come risolverlo: attraverso l’educazione; ora sappiamo che abbiamo tutti i numeri per arrivare negli anni ad un buon risultato: agiamo!