Gestioni a macchia di leopardo, difficoltà con i controlli, carenza di personale e istruttorie dai tempi biblici. Il sistema regionale delle concessioni idriche in Italia (è proprio il caso di dirlo) fa acqua da numerose parti. A distanza di più di dieci anni dal passaggio di competenze acquisite dall’ex ministero dei Lavori pubblici (2000), sono ancora molte le Regioni che non hanno realizzato un archivio informatico delle concessioni effettuate. Questo significa che non riescono ad avere in tempo reale il polso della situazione.

In molti casi, come per esempio in Toscana, Liguria ed Umbria, la materia è stata, in tutto o in parte, delegata alle Province. In nessun caso esiste un adeguato sistema di controllo che permetta di stanare i furbetti ossia coloro che utilizzano l’acqua pubblica senza pagare il canone. Una cattiva pratica, questa, ereditata dal malfunzionamento del vecchio ufficio ministeriale dove le istruttorie per le concessioni potevano durare anche più di 30 anni senza impedire però ai concessionari di utilizzare comunque l’acqua pubblica gratuitamente.
Sono tutt’oggi molte, a detta dei funzionari regionali interpellati, le pratiche ancora inevase aperte da più di 20 anni ereditate dagli uffici ministeriali. 

 

I cinquemila pozzi abusivi della Puglia
In Puglia, per esempio, gli uffici regionali del Genio civile che hanno competenza sui territori di Taranto Lecce e Brindisi, hanno ereditato dal ministero qualcosa come 40mila pratiche prevalentemente tutte riguardanti pozzi abusivi mai regolarizzati e realizzati non solo da piccoli agricoltori per il fabbisogno idrico dei propri campi ma, soprattutto dalle grandi aziende, come l’Ilva, che per anni ha prelevato l’acqua pubblica (potabile) da pozzi abusivi per iniettarla, per esempio, nei sistemi di raffreddamento dei propri impianti. Con l’azione di recupero lanciata da poco più di 4 anni anche l’Ilva è stata costretta a pagare i canoni dovuti.
«Il nostro territorio – spiega Antonio Pulli, dirigente della struttura tecnica periferica delle province di Brindisi, Lecce e Taranto – è caratterizzato dalla massiccia presenza di acque sotterranee soprattutto superficiali. Per anni è stata una pratica diffusa da parte dei cittadini approfittare di queste risorse semplicemente scavando un pozzo ed utilizzando l’acqua. Abbiamo avuto notizia di un signore che dal pozzo prelevava l’acqua per un acquedotto privato. Da qualche anno stiamo cercando di rimettere a posto le cose. Dei 40mila pozzi abusivi ereditati, siamo riusciti a regolarizzarne circa 35mila soprattutto grazie alle denunce della gente. Rimangono ancora da regolarizzare circa 5mila pozzi. È un lavoro immane anche a causa della grave carenza di personale. Per questo, al momento, ci siamo fermati in attesa di una sanatoria regionale attesa entro la fine dell’anno».
Con la sanatoria, tutti i pozzi rimasti ancora abusivi (individuati da una vecchia mappatura dell’ex ministero dei Lavori pubblici che è servita a guidare l’azione di recupero dei canoni arretrati da parte della Regione) verrebbero regolarizzati ma rimane il problema della difficoltà di un controllo effettivo sull’utilizzo arbitrario dell’acqua pubblica da parte dei privati.
«Noi riusciamo ad individuare chi deve pagare il canone e lo comunichiamo alla ragioneria della Regione – continua Pulli – dopo di che la pratica sfugge dal nostro controllo. Del resto come potremmo ipotizzare una vigilanza massiccia se i nostri uffici sono letteralmente sguarniti di personale? Per fare un esempio, il Genio civile di Lecce nel 2008 aveva più di 50 dipendenti, una sessantina a Taranto e 30 a Brindisi. Attualmente invece quello di Lecce ha 12 persone, altrettante ce ne sono a Taranto mentre Brindisi ne ha 5 di cui nessuna preposta al servizio concessioni idriche talché sono costretto a inviare sistematicamente dei dipendenti dalla sede di Lecce». 

I ritardi della Liguria
In ritardo sull’evasione delle pratiche relative alle concessioni idriche anche la Liguria dove tutte le istruttorie sulle grandi derivazioni sono bloccate. «I rallentamenti – fanno sapere dagli uffici dell’assessorato regionale all’Ambiente – sono stati causati dal prolungamento della discussione sulle modalità di gestione delle concessioni. Non si mettevano d’accordo. Appena acquisite le competenze dal ministero sulle grandi derivazioni si pensava di delegarle alle province, così come facciamo per le piccole, tuttavia al termine del dibattito, si è preferito mantenere la competenza sulle prime che attualmente sono 39. Questo ritardo ha determinato ulteriori ritardi a catena sulle istruttorie molte delle quali ci arrivavano già ferme da parecchi anni. Sono da poco partite le prime tre istruttorie pilota che serviranno per rodare il sistema. Tra queste, per fare un esempio, la concessione idrica di grande derivazione di Albenga. Terminata la fase sperimentale contiamo di riuscire evadere tutto l’arretrato nel giro di sei mesi anche se servirebbero almeno due addetti in più presso gli uffici mentre adesso c’è solo un dipendente part time».
In questa situazione l’obiettivo di evadere tutte le pratiche in 6 mesi sembra un po’ utopistico, considerati anche i tempi medi di durata delle istruttorie nelle altre Regioni d’Italia che non sono inferiori all’anno per ciascuna pratica. Siamo in ogni caso ben lungi dai tempi biblici dell’Emilia-Romagna dove le pratiche pendono per oltre 10 anni come nel caso della pratica per la concessione idrica al Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Reno.

La Basilicata e i limiti della burocrazia
«La difficoltà principale – spiega Vito Nardiello dell’ufficio ciclo dell’acqua della Regione Basilicata – consiste nell’elevato numero di adempimento burocratici richiesti che richiedono almeno un anno e mezzo. Ci sono molti pareri che la regione deve chiedere agli enti interessati, quali, ad esempio, l’autorità di bacino o la sovrintendenza; poi ci sono le pubblicazioni sul bur, il bollettino ufficiale della Regione, poi l’attesa dei tempi per eventuali osservazioni, l’affissione all’albo pretorio. Non si finisce mai. Tutto l’iter però è semplificato nelle istruttorie per il rinnovo che da noi durano al massimo un mese e mezzo».
Alla nostra domanda specifica, però, la Regione non è stata in grado di indicare quanto incassa dalle concessioni idriche che sono complessivamente 338 di cui 264 piccole derivazioni e 74 grandi derivazioni. 

Il silenzio di Veneto, Lombardia e Sicilia
Nessun dato è stato inviato dalle Regioni del Veneto, della Lombardia e della Sicilia. In particolare nel caso del Veneto, la risposta del portavoce cita testualmente: «Interpellato in merito, l’assessorato competente ha comunicato che – in ragione di una serie di azioni in atto in questa materia – i dati richiesti non sono disponibili». Perché questi dati fossero indisponibili e quali fossero le azioni in atto su questa materia non è stato dato sapere anche perché gli uffici si sono rifiutati di dare ulteriori spiegazioni. 

La situazione in Umbria
In Umbria, dove la gestione delle sole istruttorie è affidata alle due Province, Perugia e Terni (mentre la Regione ha mantenuto la competenza sull’accertamento e la riscossione dei canoni), dalle 584 concessioni idriche attive, di cui 41 di grande derivazione, la Regione incassa annualmente quasi 5 milioni di euro per la maggior parte (4,5 milioni) provenienti dalle grandi derivazioni. Dalle 543 concessioni di piccola derivazione la regione incassa circa 415mila euro all’anno per un canone medio di circa 764 euro. Sulla durata delle istruttorie e sugli effettivi prelievi d’acqua da parte dei privati, però, la Regione sa poco o nulla dal momento che il compito di controllare il corretto utilizzo delle derivazioni e quello di evadere le pratiche è stato delegato interamente alle Province che, per la vigilanza si avvale, ci rivelano gli uffici, solo dei buoni servigi della polizia provinciale di fatto in via d’estinzione.
In Provincia di Perugia, secondo quanto rivelano gli uffici, le istruttorie durano mediamente un anno ma ce ne sono alcune che si trascinano nel tempo per i più disparati motivi come per esempio l’apertura di contenziosi. Si pensi al caso della concessione di grande derivazione in capo alla ditta Hyperion che nella zona di Ponte San Giovanni ha costruito una centrale idroelettrica attualmente in funzione, nonostante i Comuni si siano opposti questa pratica pende dal 2006 in Provincia perché l’azienda ha inoltrato una richiesta di sanatoria sulla concessione idrica per una serie di interventi fatti sulle paratoie che di fatto modificavano i termini del precedente accordo di prelievo. «Nel frattempo l’azienda, spiegano gli uffici, continua a prelevare acqua pagando regolarmente i canoni». 

L’efficienza del Trentino Alto Adige
Nessun arretrato si registra, infine, in Trentino Alto Adige dove le 19 grandi derivazioni per uso idroelettrico fruttano alla regione 9,8 milioni di euro all’anno a fronte dei 2,3 milioni incassati dalle 12.312 piccole derivazioni e che determinano un costo medio per l’irrigazione dei campi di poco meno di 200 euro a testa. Ma sulle piccole derivazioni è concorde l’opinione dei funzionari: «Su questo fronte – spiega Giorgio Occhipinti del demanio idrico della Regione Marche – è facile che si crei un problema di frammentazione sicché se per le grandi derivazioni è più facile tenere sotto controllo la riscossione sulle piccole il discorso si complica».

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