Geniale, simpatico e allegro alla Restif de la Bretonne, lo scrittore libertino delle Notti di Parigi alla vigilia della rivoluzione. Ha raccontato l’Italia del ciclismo epico, del doping e del malaffare. Aveva un animo da elfo shakespeariano, poteva infilarsi ovunque e arrivare sulla notizia primo degli altri. E se ne innamorava! Giambattista Pasinetti detto Titta oggi avrebbe compiuto sessant’anni.

Giornalista del Giornale di Bergamo, stagista al Gazzettino di Venezia e da ultimo inviato al Giornale ha raccontato tante edizioni del Giro d’Italia e del Tour de France, i mondiali di ciclismo, le Olimpiadi. Ha scritto di politica, costume e moda. Ha raccontato alcune edizioni del Festival di Sanremo. Un giornalista atipico, ma più giornalista di tutti.

Battute esilaranti del tipo: “Difficile poi spiegare al poliziotto di Stato che sei appena sceso da un traghetto di Stato” per chiudere un reportage al cianuro. Vedere all’opera Titta era uno spasso sin dai tempi della tradizionale Lettera 22 della Olivetti, disegnata da Nizzoli, vezzosamente tenuta sulla scrivania nella redazione di via Negri a testa in su Nel 1989 dopo i festeggiamenti del 14 luglio aveva scovato un mattoncino celebrativo della Bastiglia con incisa la parola “liberté”. Era il suo motto per bere la vita con un sorriso.

Nel 2001 la scoperta della malattia. L’allegria e la leggerezza si tramutarono in coraggio e eroismo in nome e per conto di coloro che non hanno voce e perdono prima di tutto la battaglia con la burocrazia sanitaria. Raccontare il ciclismo per Titta era la vocazione di un amante della montagna, delle sue montagne bergamasche, scavate dalla vento e dalla pioggia d’estate. I pensieri spettinati di un inviato che descrivevano la sofferenza per domarla. Come non dimenticare le sue apparizioni improvvise serali al Portnoy di Milano, le lunghe discussioni sulla cultura e sull’esistenza? Quando dall’allegria passava all’introspezione: “Un mondo di ombre con tanti piccoli mondi che vivono la loro vita satellite”. Il momento
solenne della sera prima dell’accensione dei lampioni sui ponti del Lungosenna.

Benché siano passati, ahimè, nove anni dalla sua scomparsa, non ci meraviglieremmo di incontrarlo sorridente nella piazza di Clusone nel suo mondo a colori.

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