All’enorme facilità con la quale si possono pubblicare in Internet foto o video compromettenti corrisponde l’impossibilità di intervenire tempestivamente e l’irreparabilità del pregiudizio subito. Per molti l’universo della rete costituisce un porto franco dove il potere della giustizia reale si affievolisce quando non scompare del tutto.

Se sulle vetrine di un negozio in città comparisse la scritta “Forniamo istruzioni per realizzare una pistola automatica”, “Vi insegniamo a costruire una bomba”, oppure “Vendiamo foto di ragazzini nudi”, senza dubbio dopo poco si troverebbe il locale circondato dalle volanti delle nostre Forze dell’Ordine e subirebbe le conseguenti imputazioni penali.
Sul motore di ricerca Google alla richiesta di “Come costruire una pistola” appariranno la bellezza di 582mila siti, se poi si passa alla costruzione di una bomba si potrà usufruire di 921mila siti, dei quali 142mila si occupano specificamente della costruzione di una bomba atomica, (con la raccomandazione tuttavia di non farsi turlupinare acquistando quale componente di base i residui delle centrali nucleari russe).
Infine se si digita la parola “Lolita” o similari compariranno ben 145 milioni (!) di siti.
Il tutto senza alcun interesse da parte delle autorità preposte, facendo legittimamente ritenere che il codice su internet non trovi alcuna applicazione.

DIFFAMAZIONI, MOLESTIE ET SIMILIA
A prescindere da quanto sopra (singolarmente gli articoli più interessanti sono quelli redatti da giovanissimi per esempio sul tema della costruzione di armi, esplosivi, o su come creare cortine fumogene, utilissime per manifestazioni o simili – provare per credere ), ciò che preme rilevare in questa sede, è il facilissimo utilizzo della rete per danneggiare e diffamare taluno o per appropriarsi della identità altrui, e l’impossibilità per il soggetto colpito di ottenere una reale tutela inibitoria e risarcitoria.

UNA BUGIA RIPETUTA PIU’ VOLTE DIVENTA UNA MEZZA VERITA’ E SU INTERNET FUNZIONA BENISSIMO
Se Goebbels, ministro della propaganda nazista ed autore della celebre frase, avesse potuto prevedere l’avvento di internet, si sarebbe reso conto della totale fondatezza del proprio assunto.
E’ estremamente facile infatti inserire su Internet, e chiunque lo può fare, immagini o notizie false, aberranti o comunque lesive della dignità, del decoro e dell’onore di un individuo, mentre per il soggetto colpito la possibilità di ottenere l’oscuramento del sito, o la cancellazione della parte che si ritiene ignominiosa, non potrà che avvenire dopo le necessarie azioni giudiziarie e quindi con tempi incompatibili con la necessità di blocco immediato.
Nel tempo occorrente per sporgere la querela, attendere che questa giunga sul tavolo del Giudice, parlare con il PM, o proporre un’azione giudiziaria civile, le frasi, le immagini o quant’altro di oltraggioso inserito in rete, non solo giungerà ad un numero elevatissimo di individui, ma verrà automaticamente moltiplicato senza limite.
Ciascun utente lo potrà memorizzare sul proprio computer e, a propria volta, permetterne la visione ad un numero indeterminato di soggetti, divenendo del tutto inutile la cancellazione giudiziaria del sito di origine.

LA RILEVANZA DEL PREGIUDIZIO E LA SUA IRRISARCIBILITA’
Il fatto che non sussista un meccanismo di blocco immediato di quanto compare su Internet a proprio discapito, proprio per la moltiplicazione senza fine delle comunicazioni denigratorie, fa sì che il pregiudizio subito possa essere estremamente rilevante, non solo sotto il profilo giuridico o risarcitorio, ma anche da un punto di vista squisitamente umano e psicologico.
E’di questi giorni la notizia della giovane ragazza americana uccisasi per delle immagini intime compromettenti, incautamente trasmesse ad un sedicente amico e da lui rese pubbliche.
In realtà sono innumerevoli e giornalieri i casi di diffamazione, minacce, estorsioni e simili, connesse con il mondo informatico.
Nel nostro studio è capitato più volte di trovarsi in presenza di situazioni di grave pregiudizio personale, derivanti proprio da contenuti ingiuriosi o minacciosi trasmessi tramite la rete.
Anche un banale scherzo di cattivo gusto può essere gravemente lesivo per la persona.
Ricordiamo, per rifarci all’esperienza professionale, il caso di una dottoressa di una ASL il cui volto era stato unito con un fotomontaggio al corpo di una donna coinvolta in un rapporto sessuale estremo, immagine che era stata immediatamente diffusa all’interno della struttura, visibile e liberamente acquisibile da tutto il personale dell’ente sanitario.
Analoghi meccanismi di estorsione e diffamazione sono legati alla diffusione in rete di foto dei propri rapporti sessuali, magari scattate per gioco nei momenti di intimità, poi utilizzate anni dopo con ben altri scopi e conseguenze.
E’ di palmare evidenza che la possibilità di blocco immediato in simili situazioni appaia essenziale, in quanto l’intervento tardivo del Magistrato, diviene inutiliter datum, stante la proliferazione naturale dell’immagine o delle affermazioni offensive, apparendo poi del tutto irrilevante il risarcimento del danno attribuito dopo anni.

L’INDIVIDUAZIONE DEL COLPEVOLE E LA DIFFICOLTA’ DELLA PROVA
Se si esaminano i processi in questi recentissimi anni, si vede che in tutti i casi i colpevoli sono soggetti responsabili perfettamente conosciuti o conoscibili e cioè in genere di reati o illeciti commessi da individui con i quali sussisteva un pregresso dialogo.
Del tutto diversa è la situazione nella quale la denigrazioni o comunque le offese o le immagini compromettenti, vengano inserite in rete in modo artato e preordinato.
In questo caso sussiste un’oggettiva difficoltà sia di trovare il colpevole sia di precostituirsi la prova.
Bisogna far riferimento alla legge n. 48 del 2008 che recepisce la Convenzione di Budapest circa gli strumenti e le tecniche che garantiscono l’inalterabilità e l’originalità della prova.
Si tratta di tecniche in realtà conosciute da pochissimi esperti e difficili da mettere in atto oltre che costose.
Non sempre è sufficiente memorizzare le tracce o fotografare la schermata salvandola sul proprio disco o su carta, quale prova, ben potendo opporre la controparte che si tratta di video manipolati ex post.
Va inoltre considerato che il soggetto che intenda agire dolosamente in genere fa in modo che non sia possibile risalire alla propria identità, ritirando la mano dopo aver lanciato il sasso, (usando reti accessibili pubblicamente o apparati non riconducibili all’autore dell’illecito).
Appare quindi evidente che l’unico vero risultato, sarebbe quello di ottenere in tempi brevissimi il blocco e l’oscuramento del sito ad horas.
Ciò non può avvenire passando per la magistratura, con le procedure attuali, in quanto i tempi tecnici necessari sono comunque incompatibili con la necessità di agire tempestivamente.
Una soluzione potrebbe essere quella di rimettere nelle mani dell’interessato il diritto di richiedere all’operatore o al gestore del sito web l’immediata rettifica o cancellazione.

IL DIRITTO DI AGIRE DIRETTAMENTE E IL DIRITTO DI INFORMAZIONE: UN EQUILIBRIO DIFFICILE
Se si esaminano i siti di “Wikipedia”, l’enciclopedia collettiva con l’apporto di tutti gli utenti della rete, emerge la forte opposizione al disegno di legge (DDL n. 3491) in discussione in Parlamento, che se approvato imporrebbe a ogni sito web (ivi compresa Wikipedia) la rettifica e la cancellazione dei contenuti, dietro semplice richiesta di chi li ritenesse lesivi della propria immagine o anche della propria privacy, prevedendo la condanna penale ed altre sanzioni fino a 100mila euro in caso di mancata rimozione.
L’approvazione di una simile norma obbligherebbe l’operatore o il provider a bloccare i contenuti che si ritengono diffamatori, al di là della effettiva lesività e corrispondenza alla realtà, indipendentemente appunto dalla loro oggettiva veridicità.
Ciò significa che chiunque, pur in presenza di notizie vere, potrebbe pretendere la cancellazione dal sito, e questo costituirebbe una limitazione non facilmente accettabile dai gestori della rete e in contrasto con l’interesse comune.

LA GIURISPRUDENZA IN TEMA DI INGIURIE E DIFFAMAZIONE IN RETE
Se si esamina la giurisprudenza si rileva che spessissimo gli illeciti sono commessi da giovani e giovanissimi.
I magistrati (ex multis Trib. Monza 2/3/2010 n. 770) in un caso in cui su Facebook dei ragazzi avevano ingiuriato pesantemente una loro coetanea, facendo riferimento non solo allo strabismo da cui era affetta, ma anche diffondendo notizie relative ai rapporti sessuali intercorsi ed alle abitudini intime rese volutamente di pubblico dominio, hanno ritenuto che, alla luce del carattere pubblico del contesto in cui sono ospitati i messaggi, fossero ravvisabili sia gli illeciti di cui all’art. 594 c.p. di ingiuria, sia quelli più gravi di cui all’art. 595 c.p. di diffamazione.
Nel caso specifico il Giudice condannava il giovane al risarcimento di circa 15mila euro oltre le spese processuali (somme del tutto irrilevanti rispetto il pregiudizio subito).
Analoghe situazioni si ravvisano in commenti offensivi dei ragazzi in danno di presidi, professori e simili.
La Cassazione (14/12/2011 n. 46504) ha chiarito che il reato di diffamazione ex art. 595 c.p. è annoverabile fra gli illeciti che con maggiore frequenza emergono su internet e sottoposti al vaglio dei Giudici di merito e di quelli della Suprema Corte.
Infatti la rete internet funge da mezzo o da oggetto per la commissioni di fattispecie tradizionali di reato.
Dunque è pacifico che non solo tramite sms, ma anche mediante pubblicazioni in siti presenti sulla rete, possono essere realizzate le condotte tipiche del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse).
Anzi in tal senso la Corte Suprema ha ritenuto che la diffamazione tramite internet debba considerarsi una ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma 3 c.p., essendo la rete un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini ed idee, sottoposte alle condizioni ed ai limiti del diritto di cronaca e di critica.
Dunque secondo la Corte Suprema, i siti telematici sono soggetti agli stessi principi ed agli stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione, incontrando tutti i limiti previsti dalla legge penale.
Diversamente, se si accettassero tesi diverse, sempre secondo la Cassazione, si creerebbe una sorta di zona franca dalla giurisdizione penale non potendosi, invocando la libertà di informazione, comprimere la tutela di qualunque cittadino.

LA CONDANNA EX POST NON TUTELA IL DANNEGGIATO
Il fenomeno delle ingiurie, delle minacce, delle estersioni o delle vendette personali anche di fidanzati traditi che inviavano foto scattate incautamente nei momenti di intimità era frequente invero anche nell’era pre-internet.
Nella attività professionale, come si accennava, è capitato più volte di occuparci di situazioni di questo genere che hanno comunque provocato danni rilevanti al decoro ed alla personalità della parte lesa.
Ricordiamo fra le varie situazioni, un “gentiluomo” che non avendo ottenuto la restituzione di un presunto prestito dalla compagna, inviò in buste anonime le foto scattate durante i rapporti sessuali, a datore di lavoro, parenti ed altri. Grazie alla tecnica del DNA, da poco in uso in Tribunale, utilizzando i residui di saliva utilizzati per incollare i francobolli e le buste, il responsabile venne subito individuato.
Nonostante questi avesse risarcito il danno in sede civile in via transattiva con una rilevante somma, egualmente il giudice penale ritenne di procedere d’ufficio ed aggiunse una severa condanna detentiva, sia pure con la sospensione condizionale della pena.
La differenza è che ora, con la pubblicazione in rete di immagini, video o scritti, non è più possibile bloccarne la diffusione, se non si agisce con estrema immediatezza.
E’ agevole osservare infatti che il problema reale è proprio quello della mancanza di tempestività della Giustizia talché la moltiplicazione delle immagini e delle frasi offensive, rendono privo di effetti e tamquam non esset il provvedimento successivo del giudice (basti ricordare che allorché si resero pubbliche le denunce dei redditi di alcuni cittadini, del tutto vano fu il successivo oscuramento, poiché le immagini erano ormai state rese di pubblico dominio e acquisite da innumerevoli utenti).
Dunque la predisposizione di una diversa normativa sul tema appare indifferibile.

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