Prima di parlare, sia pur brevemente, della sentenza del Giudice unico del Tribunale dell’Aquila che ha condannato a sei anni i componenti della commissione “Grandi rischi” in relazione al terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, è necessaria una premessa.
Essa consiste nell’ottima regola di astenersi dal commentare ogni sentenza se prima non se ne conosca la motivazione.
E allora perché ne stiamo parlando? Giusto rilievo.
Forse il motivo va ricercato nel titolo stesso della nostra rivista: Dalla notizia all’informazione. Questo motto ci impone un sussulto di attività nel vedere una sentenza sbranata prima di leggerne i motivi che hanno condotto ad essa. Talché da una notizia incompleta si vuol far derivare una informazione fuorviante.
Possiamo, comunque, cavarcela dicendo che non stiamo commentando la sentenza ma piuttosto i suoi commenti. Anche perché la sentenza non c’è, ma solo il dispositivo (il dispositivo integrale, pubblicato dal sito Abruzzo24ore.tv, è leggibile nei documenti correlati a questo articolo).
A questo proposito, gli unici pareri che possono ritenersi appropriati sono quelli che riguardano le comunicazioni della commissione Grandi rischi ed in particolare il verbale della riunione tenutasi il 31 marzo 2009, pochi giorni prima che il sisma si abbattesse sull’Aquila.
La sola domanda da porsi è la seguente: questi atti contengono una rassicurazione per la gente dell’Aquila, tale da indurre una persona ragionevole a ritenere modesto il pericolo di un terremoto e fare ritorno nella sua casa?
Se la risposta è negativa, la sentenza può essere criticata, altrimenti è inattaccabile.
Ma per giungere a queste conclusioni è appunto necessario conoscere il percorso logico che ha fatto il giudice Billi. Percorso logico che può essere o meno condiviso ma che prima va conosciuto.
Tutto il resto è tempo perso; è flatus vocis. Vacua, inutile polemica.
Può essere di qualche indizio, al riguardo, un brano tratto dal verbale della riunione tenuta il 31 marzo 2009 dalla commissione Grandi rischi: “non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento”.
Un’ultima riflessione in merito: qualunque cosa fosse stata scritta dalla Commissione e qualunque ne fosse l’intenzione, resta il fatto oggettivo che a seguito di quelle parole molti aquilani sono rientrati nelle loro abitazioni, per trovarvi la morte.
Sotto altro aspetto è, invece, offensivo e falso ritenere che il giudice Billi abbia emesso la sentenza di condanna perché i componenti della commissione non hanno previsto il terremoto.
Nulla sappiamo in argomento, ma è presumibile che la condanna sia originata dal motivo opposto. E cioè per essere stato escluso il possibile verificarsi di un terremoto.
C’è, infatti, un assioma condiviso da tutti (o almeno dalla scienza più accreditata): i terremoti sono imprevedibili. E’ imprevedibile sia se si verificheranno, sia quando si verificheranno.
Questa certezza ha scatenato l’ira e il dileggio degli scienziati nazionali e internazionali a carico della sentenza (o meglio del suo dispositivo). Su tale scia si sono posti spesso gli organi di informazione.
Sembra però che tutta la furia con cui la scienza si sta accanendo contro la sentenza non faccia altro che rafforzarne la fondatezza. In quanto entrambe (scienza e sentenza) dicono esattamente la stessa cosa: i terremoti sono imprevedibili.
Solo che la decisione del giudice aquilano ne trae (probabilmente) la conseguenza speculare: se è imprevedibile il verificarsi di un sisma, allo stesso, identico modo non poteva prevedersi che NON si sarebbe verificato, come invece avrebbe fatto, con quella nota a verbale nella riunione del marzo 2009, la commissione “Grandi rischi”.
Tanto meno questa avrebbe potuto – avrebbe dovuto – diffondere rassicurazioni per la popolazione dell’Aquila (sta qui, come detto, il punto fondamentale da accertare) inducendola a rientrare nelle proprie abitazioni che saranno poi distrutte da un terremoto rivelatosi, ancora una volta, imprevedibile.
Tribunale de L’Aquila, giudice unico Marco Billi, sentenza nel processo n. 448 del 2011 Registro Dibattimento