L’avventura del federalismo “all’italiana”, iniziata nel lontano 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, è finita in questi giorni sotto la lente del governo Monti, intenzionato a cambiarne i connotati nel nome della stabilità dei conti pubblici e dell’efficienza produttiva.

Il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato, parallelamente alla finanziaria 2013, un DDL costituzionale che ristabilisce in sostanza la supremazia dello Stato sulle Regioni, distruggendo di fatto 11 anni di discussioni, promesse e mancate attuazioni. La reazione degli amministratori regionali non poteva che essere negativa, come si evince dalle parole del Presidente del Comitato delle Regioni, Vasco Errani: “Si sta smantellando la credibilità dell’istituzione e ciò non e’ accettabile”.

 

La proposta di riforma non può essere semplicemente etichettata come figlia degli scandali che stanno sopraffacendo diversi organi regionali in tutto lo stivale, sfiorando talvolta il ridicolo. L’atto rispecchia invece una precisa volontà di riportare sotto il controllo statale alcuni punti cardine della politica economica del paese, in primis per quanto riguarda la gestione dei conti pubblici. L’Italia, infatti, si è impegnata a raggiungere l’agognato pareggio di bilancio nel 2013, obiettivo ribadito dalla proposta legge di Stabilità per l’anno prossimo, che prevede tagli e aumenti delle tasse per circa 13 miliardi di euro. A tale scopo è stata approvata in aprile la riforma dell’articolo 81 della Costituzione, con relativa modifica di alcune competenze delle Regioni. Evidentemente quella legge costituzionale non è stata ritenuta sufficiente a tenere a bada i conti degli enti locali, i cui bilanci fanno spesso tremare i governi.

Le modifiche al testo costituzionale possono dunque essere interpretate come una mancanza di fiducia negli amministratori regionali, imponendo la sottomissione dei conti ad un controllo più stretto da parte degli organi dello Stato. Questo, in sostanza, il senso della proposta modifica all’articolo 100, per cui la Corte dei Conti effettuerà il controllo preventivo e successivo sugli atti di natura economica anche delle Regioni, con particolare riferimento al bilancio. Attraverso la modifica dell’articolo 117, viene inoltre attribuita allo Stato la competenza esclusiva in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, eliminandola così dalla legislazione concorrente. Si tratta della modifica maggiormente contestata, che demolisce l’impianto del federalismo “fiscale” perseguito dal precedente governo e fortemente voluto dalla Lega. Qualunque misura fiscale o tributaria dovrebbe essere quantomeno approvata dal governo, mettendo in crisi l’indipendenza delle Regioni in materia. Per quanto riguarda le finanze delle regioni a statuto speciale (art. 116), da sempre fonte di tensioni per gli effetti incontrollabili sull’indebitamento pubblico, viene introdotto un comma che obbliga al rispetto delle indicazioni statali: “in materia finanziaria l’autonomia si svolge nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci e concorrendo con lo Stato e con gli altri enti territoriali ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.”

Oltre ai provvedimenti in materia di conti pubblici, il DDL contiene significative modifiche nella ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, con particolare riguardo verso alcuni settori ritenuti strategici. Secondo la proposta, dovrebbero passare sotto il controllo esclusivo dello Stato la gestione di “porti marittimi ed aeroporti civili, di interesse nazionale ed internazionale”, “l’ordinamento della comunicazione” e “la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Le motivazioni di tale scelta risiedono nella scarsa efficienza dimostrata dalle Regioni nella gestione di tali infrastrutture, spesso impantanate in infiniti conflitti burocratici relativi alle competenze. Il regime di legislazione concorrente, infatti, ha determinato negli anni la presentazione di una miriade di ricorsi presso la Consulta, ingolfando la produzione e causando notevoli disagi agli utenti. Questi provvedimenti rientrano dunque nella strategia del governo a favore della produttività, che passano inevitabilmente attraverso uno snellimento delle procedure burocratiche ed una drastica riduzione delle dispute in corso. Il nuovo testo, che ha già ricevuto il plauso di Confindustria, potrebbe d’altra parte creare una serie di problematiche relative alle società partecipate da Regioni ed Enti Locali proprio al fine di gestire queste infrastrutture.

Il segnale che il governo ha lanciato è piuttosto chiaro. In un momento di forte instabilità economica e politica, si vuole puntare sull’accentramento delle funzioni piuttosto che sul “mito” dell’efficienza locale. L’idea di fondo è che, a differenza dello scorso decennio, nei prossimi anni il paese debba rendere conto delle proprie azioni davanti ad altri capi di Stato ed istituzioni internazionali, piuttosto che di fronte ai propri cittadini. In questo quadro, un ulteriore decentramento delle politiche pubbliche, in particolare dei bilanci, non fa altro che alimentare l’incertezza e quindi la perdita di fiducia. Il problema non è tipicamente italiano, dove nonostante le difficoltà i conti di Regioni ed Enti locali sembravano più o meno in ordine, ma riguarda tutti gli Stati della zona Euro, in particolare la Spagna. La logica sottostante è piuttosto semplice: quando un governo presenta leggi finanziarie e piani di risanamento, a Bruxelles si chiedono immediatamente in che modo sia garantito il rispetto dei vincoli da parte delle Regioni e di altri enti, i cui bilanci sono spesso insindacabili da parte delle istituzioni centrali. Essendo il deficit ed il debito pubblico nazionale la somma dell’indebitamento di tutti gli Enti, occorre in sostanza che anche le relative politiche di contenimento siano coordinate a livello centrale.

La probabilità che la riforma al Titolo V sia attuata prima della fine di questa legislatura sono tuttavia piuttosto scarse. Le modifiche alla costituzione seguono un iter parlamentare più complesso, che prevede un sistema di doppia votazione a maggioranza qualificata per ciascuna camera, che devono esprimersi a non meno di tre mesi di distanza l’una dall’altra. I tempi sono quindi molto stretti per un governo il cui mandato scade tra poco più di quattro mesi, senza contare la forte opposizione di alcuni gruppi ed anche di buona parte dei partiti che appoggiano l’esecutivo. L’imbarazzo riguarda soprattutto il PDL, che insieme alla Lega Nord ha fatto del federalismo il proprio cavallo di battaglia nelle regioni settentrionali, ma anche il PD che aveva finito per sposare la causa federalista. A alzare i toni ci pensa il solito Calderoli: “saremo costretti a scendere a Roma, e non con buone intenzioni, perché è un colpo di Stato” ha dichiarato l’esponente del Carroccio, minacciando ancora una volta un’invasione poco credibile.

bozza riforma Titolo V approvata dal Consiglio dei ministri del 10 ottobre 2012

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