Esaurite lo scorso 22 agosto le risorse primarie che la terra avrebbe prodotto per il consumo annuale dell’umanità. In pratica dal 22 agosto siamo andati in rosso, abbiamo un deficit ecologico, perché abbiamo consumato troppo in fretta le risorse che il pianeta ha prodotto e che avrebbero dovuto bastarci per tutto il 2012. Animali, acqua, alberi, risorse del sottosuolo, sono troppo pochi rispetto a quello che l’uomo richiede per soddisfare la sua richiesta di consumo.
Secondo la stima effettuata dall’americano Global Footprint Network, che ha ideato il concetto di global Overshoot day (il giorno in cui abbiamo iniziato ad andare in rosso con i consumi) l’umanità sta consumando mezzo pianeta in più di quello disponibile. Ogni anno consumiamo l’equivalente delle risorse che sarebbero prodotte da un pianeta Terra e mezzo. Cioè se la terra genera ogni anno un pesce o un albero l’uomo gliene richiede uno e mezzo. Sono chiaramente ritmi insostenibili: il mezzo pianeta in più che vorremmo non c’è. Stiamo andando metodicamente in rosso dal 1987 quando si è registrato il primo Overshoot day, il 7 dicembre e da allora l’esaurimento delle scorte anzitempo ha subito un accelerazione esponenziale anticipandolo all’1 novembre nel 2006, al 26 ottobre nel 2007, al 27 settembre nel 2011 e, quest’anno, al 22 agosto.
“Nel corso degli ultimi 50 anni – spiega Mathis Wackernagel, della Global Footprint Network – il deficit ecologico sta crescendo in modo esponenziale e determina un degrado ambientale che a sua volta, poi, porta inevitabilmente a una riduzione della superficie produttiva comportando un ulteriore incremento del nostro debito che condanna, di fatto, le generazioni future”.

 

Platino, indio e tantalo: dieci anni di scorte
Si calcola che da qui a 10 anni, per esempio, si esauriranno le scorte mondiali di platino (usato nelle tecnoligie delle celle a combustibile) di indio (usato per la costruzione dei monitor) oppure di tantalo impiegato nella produzione dei cellulari. E fino ad oggi non sono ancora state sviluppate delle tecnologie alternative in grado di far fronte all’imminente mancanza di queste risorse del sottosuolo.
In questo circolo vizioso globale del mal-consumo l’Italia svolge un ruolo importante. Nonostante sia un piccolissimo stato sprofondato nella conca del Mediterraneo, è infatti uno di quelli che consuma di più perché ha un fabbisogno di risorse primarie equivalente a due pianeti e mezzo (contro i 4 e mezzo degli Stati Uniti). Gli italiani consumano addirittura più dell’India che ha 1,3 miliardi di abitanti (contro i nostri 6o milioni) e che non arriva a consumare mezzo pianeta. Consumano anche più della Cina che è un paese con una forte crescita economica e con 1,5 miliardi di abitanti. In questo paese il fabbisogno di risorse primarie potrebbe essere soddisfatto da quelle prodotte da poco più di un pianeta.
Le conseguenze dell’eccesso di consumo in Italia, determineranno, nei prossimi, profondi cambiamenti, ad esempio, nelle nostre abitudini alimentari. Da qui a 30 anni, infatti, a causa dell’estinzione di alcune specie animali adesso stressate dall’eccessiva richiesta o dall’inquinamento degli ecosistemi, potrebbe modificarsi la dieta mediterranea. Spariranno, inoltre, dalle nostre tavole alcuni vini come l’amarone o il bianco di Pantelleria o alcuni rossi del Salento perché i cambiamenti climatici e l’innalzamento delle temperature, anticipando la vendemmia, hanno determinato significativi cambiamenti delle loro proprietà organolettiche dando luogo, di fatto, a prodotti diversi. Moltissime le specie ittiche oggi stressate, ossia sottoposte a pesca intensiva che, in assenza di adeguati programmi di protezione potrebbero sparire dalle nostre tavole.

 

Prodotti ittici? Finiti il 21 aprile
“Tra le specie ittiche del Mediterraneo più stressate – spiega Lorenzo Ciccarese, responsabile settore foreste e fauna selvatica di Ispra ambiente nonché membro di Ippc, un organismo internazionale che nel 2007 ha vinto il premio Nobel per alcuni studi sui cambiamenti climatici – ci sono il tonno rosso e il pescespada. Non sono a rischio estinzione ma sono sicuramente specie stressate”. Il che significa che c’è necessità di programmi di protezione onde evitare che si arrivi al rischio estinzione.
Secondo quanto emerso nel rapporto della New economics foundations e da Ocean2012, la quantità di pesce italiano disponibile per il mercato interno è finita già lo scorso 21 aprile. Da quella data, infatti, la richiesta viene soddisfatta attraverso pesce proveniente dall’estero, ossia di importazione.
“Attualmente – continua Ciccarese – viene importato fino al 65% del fabbisogno nazionale di pesce. In pratica, due pesci su tre che finiscono sulle nostre tavole provengono dall’estero. Ma la cosa più paradossale è che noi il pesce ce l’abbiamo e anche in abbondanza però ci concentriamo solo su alcune specie come l’orata o la spigola e rifiutiamo molte delle specie comuni che popolano i nostri mari. I nostri pescatori arrivano a rigettare in mare più del 50% del pesce pescato anche se è commestibile e che, se introdotto nel mercato, permetterebbe all’Italia di essere autosufficiente”. Per il Ministero Italiano delle Politiche agricole, alimentari e forestali, delle oltre 700 specie commestibili, solo il 10% circa è effettivamente commercializzato, a causa di abitudini alimentari e culturali ormai consolidate. Nel mediterraneo, secondo una ricerca condotta da Legambiente insieme all’acquario di Genova, alla coop Liguria e ad altri partner, (www.fishscale.eu, che fa parte di un programma europeo denominato Life) sono 18 le specie ittiche che normalmente vengono rigettate in mare perché non commerciabili. Tra questi c’è l’aguglia, ad esempio, il pesce sciabola, il barracuda, il cefalo, la sardina, la palamita e il tonnetto.
“Il tonno rosso – chiarisce Sebastiano Venneri, responsabile mare di Legambiente – è addirittura oggetto di una moratoria europea a carico dell’Italia. Un’altra emergenza del nostro mare, inoltre, riguarda le vongole dell’Adriatico”.
Per sopperire alla mancanza di pesce nei nostri mari, sono stati avviati degli allevamenti, come ad esempio quello di tonni a Castellamare del Golfo in Sicilia. “Si tratta di un sistema – chiarisce Ciccarese – che, a suo modo, minaccia ancor di più le specie selvatiche da un lato per il forte impatto ambientale delle strutture che rovinano i fondali del mare e dall’altro anche per l’elevato rischio atrofizzazione dell’ecosistema che può determinare condizioni di asfissia per i pesci selvatici che vivono in prossimità degli allevamenti, a causa dell’impiego di concimi”.

 

Suolo agricolo in diminuzione
Tra le risorse primarie maggiormente impiegate, inoltre c’è il suolo. Secondo Ispra ambiente, ogni giorno, in Italia, spariscono 100 ettari di terreno agricolo o forestale che viene abbandonato, oppure, edificato. Dal 1990 ad oggi si calcola che la superficie agricola andata persa è stata di 3 milioni di ettari. Le stime di Legambiente parlano di 300km2 all’anno.
“Ogni anno – spiega Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente – perdiamo terreni agricoli per una superficie che è pari ad una città come Milano. Per impedire questo scempio occorrerebbe intervenire da un punto di vista normativo, perché fino che si considerano gli oneri di urbanizzazione come una delle principali voci dei bilanci comunali per fare cassa, non si riuscirà mai a frenare la corsa al consumo di suolo”. Secondo Legambiente la principale causa della perdita di suolo agricolo sono le costruzioni ma molti sono anche i terreni destinati all’installazione di impianti di produzione energia verde (biomasse e fotovoltaico) o semplicemente abbandonati dai coltivatori alla ricerca di attività più redditizie. Questo accade ad esempio in Puglia o in Umbria, dove intere coltivazioni di olivi e vigneti vengono abbandonati perché il mercato non è più redditizio. Basti pensare che una bottiglia di olio costa mediamente sulle 3 euro e che una persona può raccogliere 1 quintale di olive che produrranno circa 20 litri di olio per un guadagno di 60 euro circa. Una somma che non riesce a ripagare neanche i costi vivi di coltivazione.

 

Acqua, grandi consumi
Grandissimo è anche lo spreco di acqua. Fatto 100 il totale dell’acqua utilizzata in Italia, l’80% è destinata all’agricoltura e all’industria. “L’Italia – continua Ciafani – avrebbe una disponibilità potenziale importante di acqua, tuttavia è importante razionalizzare i consumi ad esempio, introducendo in agricoltura l’impiego di acque depurate per le irrigazioni”.
L’italia, inoltre, è un grandissimo consumatore di legname. Con i suo 19 milioni di tonnellate di legname consumate ogni anno è il primo importatore europeo di legname tropicale proveniente prevalentemente da Camerun, Costa d’Avorio e Sud America oltre che il primo esportatore di prodotti finiti prevalentemente mobili fabbricati, come è noto, nel nord ovest della penisola. Per paradosso, la superficie forestale nazionale è aumentata di 1,5 milioni di ettari.
“Per potere ipotizzare uno studio sulla riduzione dei consumi – conclude Ciccarese – sarebbe importante avere una banca dati dettagliata e globale su chi-produce-cosa e chi-consuma-quanto. Tuttavia una ricerca in tal senso non è ancora stata fatta e fino ad ora si parla di stime. Siamo ancora molto lontani dagli obiettivi di sostenibilità che la comunità internazionale impone agli stati del mondo”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *