Dal 19 giugno, data in cui si è rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Ecuador per evitare l’estradizione in Svezia, Julian Assange, fondatore e portavoce di Wikileaks, è al centro di una complicata vicenda diplomatica e giudiziaria in cui sono coinvolti almeno tre diversi Stati: Gran Bretagna, Svezia e Stati Uniti. Ricercato in Europa per un presunto stupro, il giornalista australiano teme che il processo in Svezia possa essere solo il pretesto per una successiva estradizione negli U.S.A., che, sebbene non abbiano ancora formalizzato nessun tipo di accusa contro Assange, lo considerano un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti dopo le rivelazioni sugli abusi dell’esercito americano in Afghanistan e in Iraq.
Sebbene l’Ecuador abbia concesso all’hacker australiano l’asilo politico nel proprio paese, Assange non può lasciare l’ambasciata del paese sudamericano a Londra: ad attenderlo fuori dal palazzo troverebbe gli agenti di Scotland Yard pronti a estradarlo in Svezia. Il resto è storia di questi giorni: le autorità britanniche minacciano, azzardatamente, di fare irruzione nel palazzo diplomatico ecuadoriano, e l’Ecuador, spalleggiato da Brasile, Venezuela e altri paesi latinoamericani accusano il governo di Sua Maestà di voler violare la convenzione di Vienna che all’articolo 22 prescrive l’inviolabilità delle sedi diplomatiche.
Julian Assange, la settimana scorsa, dal balcone dell’ambasciata in cui è confinato, ha ringraziato pubblicamente l’Ecuador e le altre nazioni sudamericane che si sono schierate dalla sua parte difendendo la libertà di espressione e ha stigmatizzato il comportamento dei governi di Gran Bretagna e Svezia rei, secondo il giornalista, di volerlo consegnare agli U.S.A per fermare Wikileaks e le sue rivelazioni. Assange, da abile comunicatore quale è, ha sfruttato l’intricata vicenda a suo favore per evitare, giustamente, un’eventuale estradizione negli Stati Uniti, dove potrebbe rischiare la pena di morte. Tuttavia, alcuni aspetti della questione vanno chiariti.
Tutte le contraddizioni del caso Assange
Assange è accusato da due donne di aver avuto rapporti sessuali inizialmente consenzienti degenerati, in un secondo momento, in rapporti non consenzienti. Per questo è stato incriminato in Svezia dove lo attende un processo che, nonostante tutto, dovrà essere celebrato e la Gran Bretagna non potrebbe fare altro che arrestarlo, qualora ne avesse l’occasione, perché contro di lui c’è un mandato di cattura europeo e internazionale dell’Interpol. Anche la richiesta rivolta da Assange alla Svezia, di garantirgli che non verrà estradato negli Stati Uniti è priva di fondamento giuridico: sulle estradizioni infatti decide la magistratura e non il governo. Senza contare che, anche in caso fosse condotto in Svezia per il processo, il padre di Wikileaks non potrebbe essere estradato negli Stati Uniti perché la Corte Europea dei diritti umani non permette l’estradizione in caso di condanna a morte. Julian Assange è un uomo braccato dai servizi segreti di mezzo mondo e in particolare da quelli della prima potenza militare del pianeta: la sua battaglia personale per raggiungere la libertà in Sud America è più che comprensibile, ma questo non fa dell’Ecuador il paladino mondiale della libertà di parola. Il paese latinoamericano ha più di un problema con gli organi di informazione locale e il governo ecuadoriano non esita a chiudere tv e giornali non allineati.
Per quel che riguarda l’Inghilterra, sicuramente le minacce di invasione rivolte dal suo ministro degli esteri all’ambasciata ecuadoriana hanno rappresentato una brutta, e anche stupida, pagina della sua storia recente. È evidente però che il paese nel suo complesso non ha un improvviso rigurgito dell’imperialismo dei tempi andati: esponenti delle istituzioni politiche e giuridiche inglesi non hanno tardato a stigmatizzare l’infelice dichiarazione del ministro degli esteri e lo stesso premier Cameron ha invitato ad abbassare i toni dello scontro diplomatico. L’immagine, rimbalzata sui media in questi giorni, dell’Ecuador e del Venezuela difensori della libertà contro il governo liberticida e oscurantista del Regno Unito, non sta in piedi. Il Regno Unito oggi, si trova al 28esimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa (l’Italia è al 61esimo), mentre l’Ecuador è solo 104esimo e il Venezuela addirittura 117esimo.
Lo scontro diplomatico creatosi attorno ad Assange, al suo sito di informazione va ben al di là di una sbrigativa distinzione manichea fra Stati buoni (sudamericani) e Stati cattivi (occidentali) e ci interroga direttamente su quello che sarà il mondo nei prossimi decenni.
Cos’è Wikileaks?
Per capire perché Assange oggi si trova al centro di una vicenda internazionale così complicata bisogna partire dal sito di cui è portavoce e cofondatore: Wikileaks. Wikileaks (wiki = sito internet leaks= fuga di notizie) è l’organizzazione internazionale che da 2007 raccoglie, da fonti anonime, le informazioni più scabrose sui comportamenti illeciti dei governi e delle multinazionali. Il tutto finisce online. Composta da un direttivo di 9 membri e da migliaia di volontari in giro per il mondo, ha fin’ora pubblicato, sul suo sito, molte indiscrezioni di cui alcune, come quelle sui leader europei, di scarsa importanza e già ampiamente note al pubblico, altre invece decisamente scottanti. È il caso dei documenti sulle torture ai prigionieri di Guantanamo e delle stragi di civili Iracheni. Ha pubblicato, fino al 2009, il “Diario della guerra in Afghanistan”, in cui compaiono circa 90.000 documenti riservati dell’esercito americano. È evidente che rivelazioni di questo tipo mettono a rischio, oltre che i piani militari americani, anche la vita di chi, come gli informatori sotto copertura in Iraq o in Afghanistan, si trova ora esposto alla vendetta dei talebani. Le organizzazioni umanitarie come Amnesty International hanno chiesto a Wikileaks di cancellare le liste dei nomi degli informatori dal sito.
La crisi degli Stati Nazionali nell’era dell’informazione
Deve dunque esserci un limite alla libertà di informazione? La risposta è no, perché oggi non sarebbe possibile fermare il flusso di informazioni globale. Wikileaks è una rete mondiale con migliaia di attivisti in tutto il mondo che fanno informazione in modo efficiente e legittimo. Non basta fermare Assange: le rivelazioni sulle malefatte dei governi, in un modo o nell’altro, continuerebbero. Le nuove tecnologie della comunicazione, internet, la rete che ha interconnesso il mondo in un unico villaggio globale sta contribuendo a un fenomeno nuovo e inarrestabile: la nascita di una opinione pubblica globale che è nello stesso tempo artefice e fruitrice dell’informazione. Milioni di persone nei cinque continenti hanno accesso, più o meno, a tutte le informazioni che la rete mette a disposizione e, di conseguenza, si formano opinioni, fanno informazione ed esprimono pareri su fatti che avvengono anche a migliaia di chilometri da casa propria. Alla nascita di questa nuova opinione pubblica attiva e globalizzata non corrisponde però un sistema politico globale: la vecchia forma dello Stato Nazionale, sebbene sempre più in crisi, persiste ancora.
Gli Stati-Nazione, fin dalla loro nascita nel XIII- XIV secolo, hanno improntato i loro reciproci rapporti all’insegna dell’utilità in chiave geopolitica, in una sorta di perenne competizione di tutti contro tutti. Ogni Stato tende alla sua conservazione e di conseguenza tutela i suoi interessi nei confronti degli altri. In questo quadro non c’è spazio per l’etica: il segreto è l’essenza stessa dello Stato Nazione, senza di esso non potrebbe esistere. Perciò un sito come Wikileaks risulta così destabilizzante per i rapporti fra i governi e un giornalista come Assange all’improvviso diventa il nuovo nemico pubblico per gli U.S.A. Il contrasto fra il persistere della divisione politica in tante entità autonome e distinte mal si concilia con un una società civile ormai quasi totalmente interconnessa a livello globale.
Oggi, la crisi in cui si trova l’Europa è principalmente una crisi degli Stati Nazionali: dopo essersi combattuti per anni sui campi di battaglia oggi i Paesi del vecchio continente si trovano a dover convivere assieme in una struttura sovranazionale, che, pur con tutti i suoi evidentissimi limiti, rappresenta un primo passo per il superamento del vecchio concetto di Stato. La scelta fra abbandonare il progetto unitario o riaffermarlo a un livello più alto, in una vera unione politica e civile, che rispecchi la realtà di una società sempre più unita dall’informazione, dalla conoscenza è la vera sfida di questi anni.