Qual è il senso della vita? Domanda impegnativa. La storia di Biagio Conte, uomo palermitano che ha lasciato tutto per dedicarsi agli ultimi, ci consegna una risposta. Biagio è un ragazzo come tanti, vive in una famiglia agiata, un futuro nella ricca azienda paterna. A diciotto anni aveva già un fuoristrada, una bella moto, una fidanzata e un armadio ricolmo di vestiti firmati. Un giorno, camminando al mercato Ballarò, incrocia gli occhi rassegnati di un bambino povero, visione che gli spacca il cuore. Lui in giacca in cravatta, con la macchina sportiva parcheggiata poco distante, incontra la povertà di Palermo, di chi non possiede nemmeno le scarpe e indossa vestiti stracciati.
Da quel giorno Biagio non è più la stessa persona, al ritorno da ogni festa si sente vuoto, malinconico, non riesce più a liberarsi da una persistente inquietudine. Cerca risposte nei libri di psicologia, di filosofia, ma dopo un breve sollievo, la confusione è ancora più grande. Trascura il lavoro, non esce più con gli amici, e se ne sta chiuso nella sua stanza e leggere, dipingere, a scrivere. I torti della società gli pesano come un macigno: la povertà, lo spaccio di droga, la disoccupazione, la mafia. Si sente impotente e tutte queste ingiustizie lo fanno soffrire. Decide di partire per Firenze, vuole trovare un mondo diverso e diventare un artista (all’età di ventitré anni).
Ma anche questa si rivela un fallimento: come studente, come imprenditore e come artista il suo bilancio è in “rosso”. Si chiude in stanza nella casa dei genitori a Palermo, non vuole nemmeno mangiare. Psicologi e psichiatri cercano un rimedio ma nulla. A un certo punto vede un crocefisso alla parete e nota in quegli occhi la disperazione dei bambini poveri di Palermo ma anche salvezza e riscatto. Decide di improvviso di partire, di vivere tra le montagne, di lasciare tutto. Scrive una lettera ai genitori e va via.
Per oltre un mese vaga per le montagne siciliane senza una meta, senza cibo, senza soldi, mangiando bacche, fave, erbe selvatiche. Si ferma in una fattoria tra Catania e Caltanissetta, trova un posto dove dormire e lavorare. Impara a fare il formaggio, a mungere le pecore, concimare nei campi, pulire le stalle. Dopo nove mesi decide di partire di nuovo. Parte per Assisi a piedi, in questo viaggio lo accompagna un cagnolino che lui chiamerà Libertà. Tante le peripezie affrontate da questo giovane che dorme dove capita, anche con un barbone che gli offre i suoi cartoni e che riceve come regalo tutti i suoi soldi guadagnati in fattoria. I genitori nel frattempo erano preoccupatissimi e si rivolgono alla trasmissione “ Chi l’ha visto?”. Diventa un caso nazionale. Lo trovano ed è commovente l’incontro tra madre e figlio nella sede Rai di Cosenza. Biagio però dice che vuole proseguire quel viaggio come lo aveva cominciato, cioè da solo e a piedi, e prosegue arrivando fino ad Assisi. Ad Assisi si ferma quindici giorni e matura l’idea di tornare a Palermo, ma in maniera diversa.
Dopo un po’ va alla Stazione dei Treni di Palermo per aiutare gli ultimi: i barboni, gli immigrati, gli alcolisti. Comunica alla madre la sua decisione con queste parole: “ Io vado alla Stazione per sempre. Sì, giorno e notte. Sì, come un barbone. Sì, dormo come loro. Non me lo impedite. Per la prima volta nella mia vita ho scelto, sto dall’altra parte”. Comincia a vivere con loro, gli ultimi.
Ogni notte da un pentolone tira fuori minestre calde, e di giorno dà loro vestiti, coperte, latte, panini. Un vecchio, una notte, gli dice: “Biagio trovaci una casa, un letto, una doccia per lavarci ogni giorno. Che noi poi ricominciamo…” Biagio si mette alla ricerca e trova un ex disinfettatoio comunale abbandonato da trent’anni. Chiede alle istituzioni di poterlo avere per i poveri, ma riceve un secco no.
Si piazza davanti ai cancelli della struttura e incomincia lo sciopero della fame: non intende fermarsi fino a quando non otterrà quei locali. Il decimo giorno rischia di morire e lo portano d’urgenza in ospedale, gli somministrano una flebo, e torna immediatamente in strada per continuare lo sciopero della fame.
Dopo dodici giorni nessuna risposta. “Eravamo stanchi di aspettare – spiega Biagio Conte – firme , autorizzazioni, riunioni, perizie. Abbiamo forzato le porte e siamo entrati. La missione era nata”. Da quelle macerie nasce un dormitorio, un refettorio con l’aiuto di tanti volontari e degli stessi senza fissa dimora. Da quel giorno sono passati vent’anni e le missioni sono diventare tre, una femminile, e due maschili, e le persone accolte sono mille. Profughi, alcolisti, persone sole, chi perde il lavoro, sono loro che trovano rifugio nella Missione Speranza e Carità. Biagio Conte diventa Fratel Biagio e a lui si affiancano altre figure desiderose di aiutare chi soffre: Padre Pino, Fratel Giovanni, Sorella Mattia, Sorella Lucia e Sorella Alessandra e tantissimi volontari. Per conoscere meglio questa storia affascinate di un uomo che ha trovato il significato alla sua vita, vi consiglio di leggere il bel libro: “ La Città dei poveri, la mia vita per gli ultimi” scritto dal bravo giornalista Giacomo Pilati. Per averne una copia si può telefonare in Missione al numero 0916161887 tutti i giorni.
Se si vogliono conoscere più notizie su questa meravigliosa opera umanitaria si può andare nel sito www.pacepace.org
Giacomo Pilati, La città dei poveri, la mia vita per gli ultimi, editore Il Pozzo di Giacobbe, 10 euro