Le regioni, com’è ben noto nel nostro paese, si differenziano sotto diversi aspetti, in primis socio-culturali, ma anche sul piano economico: la presenza di squilibri interni richiede dunque l’adozione di meccanismi di aggiustamento, in quanto eventuali dissesti si ripercuotono inevitabilmente sulla stabilità dell’intero paese e, nel caso dell’Europa, dell’intero continente.

In linea generale, la teoria economica mostra come il decentramento, in particolare sotto il profilo fiscale, consenta un aumento dell’efficienza. La motivazione è semplice: la pubblica amministrazione di un territorio più piccolo dovrà gestire un budget più contenuto rispetto, ad esempio, a quello statale, limitando di conseguenza il numero d’inefficienze e sprechi di denaro. Inoltre, essendo l’amministrazione più “vicina” al cittadino, dovrebbe aumentare la capacità di risposta verso una specifica domanda di servizi, che non potrà essere uniforme sull’intero territorio nazionale. Questo modello ha avuto un notevole sviluppo in Europa, guidato dall’esempio dei länder tedeschi, specie dove le differenze culturali sono più forti. In Spagna le regioni (“Comunidad Autonomas”) hanno ottenuto negli anni un grado di autonomia sempre più accentuato: basti pensare che la relativa spesa pubblica è pari a circa il 17,5% del PIL, contro una media europea del 6,5%.

L’Italia sta procedendo, anche se molto lentamente, verso l’adozione di un modello simile. Il federalismo fiscale, le cui basi risiedono nella riforma costituzionale del 2001, dovrebbe consentire alle regioni di avere una certa autonomia di bilancio, trattenendo all’interno del territorio una buona parte delle tasse, disponendo di conseguenza di risorse proprie da utilizzare in spesa pubblica. Dopo la legge quadro del 2009, alcuni decreti attuativi sono stati varati, ma molto altro rimane da decidere, specie in materia di costi standard e fondo perequativo nazionale. Il punto più controverso è proprio questo: i trasferimenti statali, che inevitabilmente comportano uno spostamento di risorse dalle zone più abbienti verso le aree depresse, sono necessari per assicurare la stabilità dello Stato nel suo complesso, unico responsabile finale dei conti pubblici, qualunque sia il livello di autonomia concesso alle regioni.

In questi giorni la Catalogna, seconda regione più ricca di Spagna dopo l’area di Madrid, si trova costretta a chiedere aiuto finanziario all’odiata capitale iberica, perché le casse regionali non sono più sufficienti a garantire il pagamento di stipendi e servizi pubblici. La richiesta arriva subito dopo quella presentata da Valencia, altra regione sull’orlo del collasso. Tale fenomeno trova spiegazione all’interno della stessa impostazione economica federalista, per cui non è sufficiente garantire il massimo grado di “libertà” alle autonomie locali, ma è necessario adottare contestualmente precise norme di controllo dei conti pubblici. La questione è particolarmente delicata, poiché la sfera politica gioca un ruolo fondamentale e spesso controproducente in termini economici.

In un sistema federale, parte importante della spesa pubblica complessiva, in alcuni casi più della metà, è gestita dalle autonomie locali. I relativi costi sono sostenuti attraverso un sistema di tassazione altrettanto decentrato: in Spagna le tasse regionali pesano per oltre il 40% del totale. Ne consegue che il governo centrale dispone di scarsa discrezionalità sui livelli complessivi di entrate ed uscite, se non per quanto riguarda il proprio budget nazionale. Il problema è che il governo rimane comunque responsabile del deficit complessivo, quindi della differenza tra entrate ed uscite totali: se le regioni entrano in dissesto, a farne le spese sarà il disavanzo nazionale, poiché lo Stato garantisce indirettamente la tenuta dei conti regionali, attraverso i trasferimenti. Occorre inoltre ricordare che le regioni possono indebitarsi, quindi sono soggette al mercato al pari degli Stati nazionali, tramite la valutazione delle agenzie di rating: il valore complessivo del debito in scadenza nel 2012 ammonta a circa 15 miliardi.

Allo stato attuale, Madrid ha già stanziato 18 miliardi di euro per un fondo speciale a favore delle regioni, ma dall’altro lato ne ha presi in prestito 100 dall’Europa per salvare il proprio sistema bancario. Le misure prese dal premier Rajoy, come ad esempio il taglio delle tredicesime e le riduzioni nel pubblico impiego, riguardano esclusivamente l’apparato centrale dello Stato, non potendo imporre alle autonomie provvedimenti simili. L’impatto, per quanto doloroso in termini sociali, avrà dunque un effetto blando sul contenimento del deficit, che difficilmente convincerà i mercati, i quali continueranno a chiedere interessi sul debito elevati.

Nel caso specifico della Catalogna, in cui si parla addirittura una lingua diversa (non un semplice dialetto) rispetto allo spagnolo, occorre rilevare come questa abbia rappresentato per anni il simbolo dell’efficienza federalista. L’economia, i livelli di occupazione, lo sviluppo sociale, sono cresciuti ad una velocità notevolmente superiore rispetto al resto del paese, tanto da diventare il modello prescelto dagli esponenti della Lega Nord, anche per le pulsioni indipendentistiche catalane mai del tutto sopite. Tuttavia, anche una regione ritenuta sostanzialmente solida ed affidabile può entrare in dissesto a causa di fattori esogeni. Durante un periodo di forte recessione come quello attuale, il livello delle entrate rischia di precipitare velocemente, poiché le tasse sono generalmente proporzionali al reddito, al momento in caduta libera. Dall’altro lato le spese rappresentano spesso dei costi fissi: il numero dei dipendenti, l’erogazione di servizi, la gestione del patrimonio, sono uscite che non si adeguano facilmente alle variazioni del PIL. L’aggiustamento diventa dunque particolarmente doloroso in termini sociali ed elettorali, specie in regioni abituate a tassi elevati di efficienza pubblica.

Le contromisure di breve periodo, volte ad evitare il default di una regione, sono costituite essenzialmente dal trasferimento di risorse pubbliche, spesso finanziate attraverso l’indebitamento dello Stato, che in questo momento risulta particolarmente difficile viste le tensioni sul mercato. Nel medio-lungo periodo è necessario invece stabilire precise norme di bilancio per gli enti locali, che devono contribuire al raggiungimento degli obiettivi fiscali nazionali. Una completa autonomia non sarà dunque mai possibile, dal momento in cui ogni ente locale è potenzialmente responsabile non solo del bilancio del proprio Stato, ma della stabilità del sistema europeo. La lezione spagnola rappresenta indubbiamente un monito per il nuovo assetto federale in Italia: prima di procedere verso l’autonomia fiscale, è necessario predisporre un quadro normativo efficace, in grado di garantire il rispetto dei principi di bilancio da parte di tutti, anche e soprattutto nel ricco e produttivo nord del paese.

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