Pochi giorni fa, il 22 luglio, alle ore 12.02, il Sole ha fatto il suo ingresso nel Leone.
Brillante e vasta la costellazione del Leone, che abbraccia ben 60° di longitudine. Naturale, quindi, il paragonarla appunto ad un leone, al re degli animali. I babilonesi la chiamavano Ur-A, il leone, ma anche Ur-Gu-La, la leonessa. Gli egizi vi vedevano un leone in riposo già dal Nuovo Regno (1580-1100 a.C.). Non è quindi facile determinare la provenienza della figura. Certi indizi spingono a volgerci verso Babilonia. Così, certamente è babilonese l’origine del nome della stella principale della costellazione: era chiamata Lugal, il re. Termine ripreso dagli astronomi greci sotto la forma del diminutivo basilìskos. I latini usavano l’espressione stella regia e il nome Regulus (quello attuale) era sconosciuto ai romani e si ritrova solo da Copernico in poi. Presso gli antichi greci si trova l’appellativo Léon, leone. E presso i latini, il termine utilizzato fu pure leone, Leo.
Ma vediamo ora dove ci conducono le strade del mito…
Già sa bene, Eracle, dell’invulnerabilità della belva. Eppure non può trattenere un moto di stupore vedendo le sue frecce, micidiali e precise, spezzarsi o rimbalzare sul corpo dell’enorme leone che devasta l’ampia valle di Nemea. Non valgono le frecce? E allora giù con la clava colpi potenti; botte da orbi, come si dice. Ed in breve la clava è in frantumi. E il leone appena sbadiglia.. Ma riesce, l’eroe, a spingerlo nella sua tana, di cui ha provveduto ad occludere una delle due uscite. La belva, così, non può sfuggire. E la afferra, Eracle, la stringe a sé in un soffocante abbraccio. Si affloscia, morto, il leone. Mette conto scuoiarlo, far della sua pelle un trofeo. Ma inscalfibile da ferro e da fuoco è il vello. Perplesso medita l’eroe, finché giunge la divina ispirazione: scuoiare il mostro coi suoi stessi artigli. E’ presto fatto. E poco dopo, Eracle indossa la leonina spoglia, il cui capo crinito gli fa da elmo. Non diventa così, forse, egli stesso leone? Non assume così la natura sublimata del mostro? Non ha così ucciso la belva in sé? Sia come sia, Zeus pone il leone nel numero delle costellazioni, a perpetuare l’impresa d’ Eracle, suo figlio.
Ma voliamo ora dalla Grecia fino alla terra dei Filistei. Qui troviamo un personaggio dalla lunga chioma; un altro eroe. “Scese dunque Sansone a Tamna e giunto alle vigne della città, ecco farglisi incontro un giovane leone ruggente. Investito dallo Spirito del Signore, Sansone, senza aver nulla in mano, lo squartò come si squarta un capretto. Ma non disse nulla al padre e alla madre di ciò che aveva fatto… Ritornato dopo qualche tempo… deviò per andare a vedere la carcassa del leone, ed ecco che nella carcassa del leone c’era uno sciame d’api e del miele. Egli ne prese nella palma della mano e si mise a mangiarlo. Ritornato poi dal padre e dalla madre ne portò anche a loro e ne mangiarono; ma non disse loro di aver preso il miele dalla carcassa del leone”. Si mediti: dal leone che ha ucciso, Sansone-leone (entrambi hanno criniera) trae il solare, aureo, incorruttibile, dolcissimo miele, prodotto dalle api. Ed ape, in ebraico, è dbure, dalla radice dbr, da cui anche Debora, che vuol dire parola. Api-parole che producono miele (oro alimentare), genera dunque il morto leone. E a un ruggito di leone, si ricordi, gli antichi scrittori paragonavano la Parola di Verità del Cristo, il Verbo. Ed anche il Buddha è detto ruggire quando insegna il Dharma, la Legge per eccellenza.