In Italia il divorzio venne introdotto, come è noto, nel 1970 con la legge n. 898 e sopportò l’urto dell’esame della Consulta e di un referendum abrogativo.
Tuttavia pochi sono a conoscenza che in realtà la legge divorzile venne promulgata per la prima volta in Italia nel 1919 con l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio e di tale normativa ne approfittarono molti in quel periodo e nel periodo subito successivo, tra cui Guglielmo Marconi, sentenze che poi vennero tutte ratificate dalla Corte di Appello italiana.
Con la sconfitta dell’impero austro ungarico nella prima guerra mondiale, sorse una contesa tra l’Italia e la futura Jugoslavia sul destino della città di Fiume.
In realtà gli abitanti della città erano in maggioranza italiani per il 50% seguiti per il residuo 50% da varie minoranze (ungheresi, croati, slavi ecc.).
La città dopo la prima guerra mondiale venne occupata da una forza internazionale formata da francesi, inglesi e statunitensi e la questione di Fiume venne discussa alla conferenza di pace di Parigi del Gennaio del 1919.
L’OCCUPAZIONE DI FIUME
Nell’agosto del 1919 dunque a seguito delle pressioni internazionali e dell’occupazione delle forze alleate, i granatieri italiani erano costretti a lasciare Fiume e si acquartierarono a Ronchi a circa 40 km da Trieste.
Tuttavia un gruppo di ufficiali decideva autonomamente di liberare Fiume e di annetterla all’Italia con il motto garibaldino rivisto “O Fiume o morte”.
Il gruppo si rivolgeva, per ottenere aiuto e supporto, prima al nipote di Garibaldi, Peppino Garibaldi, e successivamente a Mussolini, ma nessuno dei due si dimostrava propenso a guidare, sia contro gli alleati che contro il governo italiano, l’azione di forza e la auspicata occupazione.
A questo punto gli insorti si rivolgevano a D’Annunzio, il quale accettava.
L’11 Settembre il gruppo partiva per Fiume guidato da Gabriele D’Annunzio con la divisa di Tenente Colonnello dei Lancieri di Novara, lasciando Venezia a bordo di un’autovettura Fiat.
Inizialmente partivano soltanto 153 granatieri, ma lungo la strada i militari si infoltivano rapidamente con l’intervento delle truppe via via incontrate inclusi i bersaglieri, gli arditi e numerosi altri gruppi, tra i quali anche numerosi civili.
Ad impedire l’ingresso a Fiume ed in rispetto con gli accordi delle forze alleate, si frapponeva il Gen. Pittaluga che comandava le truppe locali.
Andato incontro a D’Annunzio, gli ordinava di fermarsi.
Tuttavia di fronte all’indisponibilità di D’Annunzio che mostrava il petto dicendo di sparargli, il Gen. Pittaluga non se la sentiva di intervenire manu militari e lasciava passare le vetture e gli uomini.
Alle 11.45 il poeta entrava a Fiume con le truppe raccolte lungo il tragitto e con la parte di popolazione italiana della città che lo acclamava.
Nel frattempo le truppe francesi e inglesi di stanza in città venivano fatte ripartire immediatamente.
D’Annunzio proclamava l’annessione al Regno di Italia dando inizio al proprio governo locale, nonostante l’opposizione ferma del Presidente del Consiglio dei Ministri Francesco Saverio Nitti che reclamava l’abbandono della città in rispetto degli accordi con gli alleati.
L’occupazione di Fiume durò dal 12 Settembre 1919 fino al Natale del 1920 allorché il nuovo governo Giolitti ordinava al Generale Caviglia di prendere con la forza la città fino alla capitolazione di D’Annunzio.
LA NUOVA LEGISLAZIONE ED IL RICONOSCIMENTO DEL DIVORZIO
Con la Carta del Carnaro, D’Annunzio regolamentò i principi costituzionale che avrebbero dovuto reggere l’amministrazione della città di Fiume costituitasi in repubblica locale.
Singolarmente molti dei principi ivi contenuti erano di una estrema modernità, prevedendosi che la repubblica si sarebbe retta su un principio di democrazia diretta basata sul lavoro produttivo, sussisteva la sovranità collettiva di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione, veniva garantita a tutti, senza distinzione di sesso l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo salariale, l’assistenza in caso di malattia o di volontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’inviolabilità del domicilio, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario e di abuso di potere.
Come si vede tutti principi estremamente innovativi e che sarebbero stati applicati in Europa dopo molti anni.
L’unico Stato che riconobbe la Repubblica di Fiume singolarmente, nonostante la connotazione fortemente nazionalistica, aggressiva e per certi versi goliardica, sarà proprio la Russia Sovietica, anche perché la Carta Costituzionale garantiva liberà di stampa, di riunione di associazione, il suffragio universale maschile e femminile, il riconoscimento alle donne della parità salariale, il riconoscimento di ogni libertà sessuale per uomini e donne ed il diritto al divorzio.
LE PRONUNCE DIVORZILI DELLA LIBERA REPUBBLICA DI FIUME
Il riconoscimento della più ampia libertà sessuale compresa l’omosessualità, sia per uomini che per donne, comportava ovviamente la necessità di legalizzare situazioni che nel resto di Italia non erano ammesse.
Del resto la stessa vita coniugale di D’Annunzio era stata disastrosa.
Prima del successo, la moglie, Maria Hardouin, con i tre figli, a seguito dei debiti contratti da D’Annunzio fu costretta a presentare domanda di separazione nel 1894 allo scopo di salvaguardare quel poco che restava del patrimonio familiare, tanto più che il poeta aveva in corso un’altra relazione con la contessa Gravina dalla quale peraltro aveva avuto una figlia.
D’Annunzio scongiurava la moglie di soprassedere alla separazione ed in effetti all’udienza fissata per il giorno 6 del Giugno 1894 la moglie non si presentò ed il processo venne archiviato.
Tuttavia nel 1899 quando la posizione economica di D’Annunzio era già divenuta florida, il Presidente della prima sezione civile del Tribunale di Roma, Cesterman, omologava la separazione legale dei coniugi.
I tre figli venivano affidati al padre che si assumeva l’onere della loro educazione ed il costo delle rette scolastiche, mentre la moglie avrebbe goduto di un assegno alimentare di Lire 100 mensili, con l’accollo di tutti i debiti della moglie al marito fino alla concorrenza di Lire 5.000 (si trattava all’epoca di una cifra molto importante).
Successivamente D’Annunzio cercava di divorziare dalla moglie per sposare la nuova fiamma la marchesa di Rudini.
Poiché in Italia non era ammesso, si recava in Svizzera rivolgendosi all’avvocato Giraud il quale tuttavia gli confermava che, per procedere in tal senso era necessario assumere la cittadinanza svizzera rinunciando a quella italiana, cosa che ovviamente per D’Annunzio non era possibile.
Successivamente dopo la presa di Fiume, e cioè allorché D’Annunzio divenne un personaggio di spicco, il Re attribuì al discusso poeta, il titolo nobiliare di Principe di Montenevoso e quindi la moglie assunse automaticamente il titolo di Principessa di Montenevoso, andando a vivere al Vittoriale, ma occupando una villa decentrata, senza mai entrare in contrasto con la compagna del momento di D’Annunzio, riuscendo sostanzialmente a mantenere un rilevante tenore di vita per tutta la propria esistenza, contrariamente a ciò che avvenne per le altre compagne di D’Annunzio, morendo dopo una lunga esistenza, a Gardone Riviera il 18 Gennaio 1954.
IL DIVORZIO DI GUGLIELMO MARCONI
Dunque la legittimazione del divorzio era un principio fortemente sentito e voluto da D’Annunzio, ma non solo.
Infatti l’introduzione del divorzio a Fiume, permise in quel confuso periodo (e cioè sia durante l’occupazione di D’Annunzio terminata nel sangue contro l’esercito italiano nel natale del 1920, sia per i quattro anni successivi di interregno) a molti italiani (estremamente facoltosi) di approfittarne.
Tra coloro che ne trassero beneficio va annoverato Guglielmo Marconi, il quale inizialmente si recò a Fiume, mandato dal Ministro Nitti, per tentare di convincere D’Annunzio ad abbandonare pacificamente la città, ma inutilmente.
Marconi venne in quell’occasione, accolto dalla popolazione in modo entusiastico.
Successivamente Marconi, anche lui coinvolto in complesse vicessitudini sentimentali e familiari, ritornò a Fiume nel 1923 insieme alla moglie Beatrice, per richiedere il divorzio, con lo stratagemma per entrambi di domandare la cittadinanza di Fiume (la città tornò all’Italia l’anno successivo).
Si noti, per inciso, che tutte le domande di divorzio accolte e pronunciate dal Tribunale di Fiume vennero poi confermate dalla Corte di Appello italiana.