Era il 15 luglio del 1994. Trovarsi a Palermo dava un senso di vertigine e ambiguità. Da una parte la Festa di Santa Rosalia uguale a se stessa da secoli con luci, fuochi d’artificio, pane e meusa, panelle e granite a volontà.
Dall’altra una casa nobiliare con un gruppo di donne in un laboratorio in centro città vicino al Palazzo delle Aquile. Marta Cimino, assistente sociale laureata in sociologia a Trento nei giorni delle stragi del ’92 aveva lanciato il “Comitato Lenzuoli” un moto di indignazione delle donne palermitane che scrivevano il loro lutto sui lenzuoli bianchi freschi di bucato, sottratti alle loro case ed esposte sulle facciate delle case con pensieri che non riproducevano banalità ma un forte senso di rigore luterano. Marta e le sue compagne preparavano la commemorazione della Strage di Via Mariano D’Amelio con i versi strazianti di Leopardi che richiamava i “Prischi eroi” dimenticati.
Le ragazze preparavano una tela forte che diventasse bandiera di un nuovo Risorgimento. Alfio Foti segretario del’Arci Sicilia aveva sempre in mente il principe di Salina personaggio principale del capolavoro di Tomasi di Lampedusa. La richiesta esplicita del governo sabaudo, dopo l’unità d’Italia era la partecipazione di quelle classi dirigenti colte che avrebbero sollevato dalla miseria il Sud. Lo scetticismo aveva paralizzato l’eroe del romanzo.
“I siciliani credono di essere perfetti, lasciamoli illudere, abbandoniamoli al loro destino”. Quante occasioni perse – sottolineava Foti – e quella borghesia abdicò delegando ai “villani” l’amministrazione della giustizia. Marta Cimino chiosava: “Enrico V d’Inghilterra ebbe il coraggio di abiurare Falstaff riscattando il suo onore”. Quattro giorni a Palermo sembravano tanti. Un fiorire di iniziative laiche e religiose, ma quella sera del 19 luglio in via Mariano D’Amelio rimase indelebile. Decine di donne in nero, il lutto di un popolo, non delle famiglie colpite. Un interrogarsi tra le sedie sul passato e il presente.
Un mondo serrato nel dolore – parafrasando Carlo Levi – negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente in apparenza perché il macerarsi è la consapevolezza di una cognizione. Secondo Marta Cimino il lenzuolo ha accompagnato il rito della nascita del vivere e del morire. Il nero aratro scrive le storie sul bianco bucato che come diceva Paolo Borsellino, profuma di libertà.