In vigore dal 18 luglio 2012, la Riforma Fornero rinnova il contratto a termine apportando molteplici modifiche al D.Lgs. 368/2001. Il senso e la finalità della riforma di questa tipologia contrattuale sono chiari ed evincibili innanzitutto dalla lettura del comma 01, introdotto all’art.1 del decreto 368/2001 ed anteposto al rinnovato comma 1 del medesimo articolo, che prevede letteralmente che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”: evitare l’utilizzo improprio del contratto di lavoro a termine contrastando l’aspetto patologico del fenomeno della reiterazione dei rapporti di lavoro a termine tra le stesse parti, responsabile della precarizzazione.
Le imprese dovranno quindi orientarsi preferibilmente verso le assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato e potranno ricorrere al lavoro a termine solo se sussistono le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, riferibili anche all’ordinaria attività del datore di lavoro, che possono oggettivamente giustificare l’apposizione del termine al contratto di lavoro; purché le ragioni stesse vengano esplicitate e specificate per iscritto nella lettera/contratto di assunzione. Non dovranno, invece, esplicitare le motivazioni dell’apposizione del termine al contratto di lavoro se il contratto è il primo rapporto di lavoro a termine intercorrente tra le parti (cioè la prima esperienza lavorativa a legare il datore ed il lavoratore) e se lo stesso ha una durata non superiore a 12 mesi.
Fatta eccezione per tale ultima ipotesi di contratto a termine “acausale” di 12 mesi, la riforma ha confermato la possibilità per le imprese di prorogare e rinnovare i contratti a termine nonché di far proseguire i rapporti stessi oltre la scadenza del termine inizialmente fissato laddove ci sia l’esigenza per l’azienda di completare le lavorazioni e le attività che resero necessaria l’assunzione a tempo determinato.
In particolare, mentre la disciplina della proroga è rimasta sostanzialmente invariata nella previsione della possibilità riconosciuta alle imprese di prorogare il contratto a termine – cioè senza soluzione di continuità e quando il primo rapporto è quindi ancora in corso – per una sola volta e per una durata complessiva di 36 mesi, quella del rinnovo e della prosecuzione “di fatto” del rapporto oltre la scadenza del termine inizialmente fissato risulta irrigidita in quanto in quanto tali istituti sono ritenuti più direttamente responsabili del fenomeno della reiterazione impropria dei rapporti a termine. Difatti, è stato ampliato l’intervallo di tempo che deve intercorrere tra la scadenza di un contratto e la sottoscrizione di quello successivo – 60 o 90 giorni con riferimento al primo contratto di durata fino a sei mesi ovvero superiore a sei mesi in luogo degli attuali 10 o 20 giorni – ed è stato introdotto l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare preventivamente al Centro per l’impiego la volontà di proseguire il rapporto nonché la nuova data di scadenza dello stesso a fronte di un contestuale ampliamento del periodo di prolungamento consentito (fino a 50 giorni in luogo degli attuali 30 giorni).
Infine, per scoraggiare le imprese da un utilizzo “abusivo” del contratto a termine, il nuovo legislatore ha previsto l’aumento, a decorrere dal 2013, dell’1,4% dell’aliquota contributiva dovuta per i contratti a termine con restituzione parziale della stessa alle aziende in caso di successiva trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.