Una storia a base di corruzione e di negligenze tra il Governo italiano e l’Unione europea, con contorno di tangenti: la Procura della Repubblica di Milano sta indagando sul caso dopo il via libera del Tribunale del Riesame. La vicenda è quella dell’area ex polo chimico Sisas di Pioltello-Rodano, ed è una storia che puzza di bruciato con oltre 300.000 tonnellate di rifiuti, in gran parte nerofumo contaminato da mercurio, idrocarburi policiclici aromatici e ftalati alle porte di Milano e molti punti interrogativi sulle operazioni di bonifica.
È dal 1986 che lo stabilimento ex Sisas deve fare i conti con la bonifica delle discariche e, dopo la condanna del Tribunale di Milano, la questione è passata direttamente in mano alla Commissione europea che nel 2004 ha, a sua volta, stabilito una condanna per la mancata bonifica.
Per evitare la maximulta che l’Italia avrebbe dovuto pagare per la mancata applicazione della sentenza del 2004, dal gennaio 2011 hanno operato quotidianamente sull’area da bonificare centinaia di camion che trasportavano il nerofumo misto a terra in siti nazionali ed esteri.
I lavori di svuotamento e trasferimento del nerofumo si sono svolti in gran fretta e in assoluta segretezza.
Una storia che i principali attori pensavano di aver insabbiato il 28 marzo dell’anno scorso, con una conferenza stampa dai toni trionfali. L’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo annunciava infatti insieme al Governatore di Regione Lombardia Roberto Formigoni, al Commissario alla bonifica Pelaggi (attualmente sotto indagine per una sospetta tangente di 700 mila euro) e al Commissario europeo per l’Ambiente Janez Potocnik, la chiusura dei lavori di bonifica nell’area industriale ex Sisas, tra i Comuni di Pioltello e Rodano, nella periferia est del capoluogo lombardo. La Commissione europea ha approvato senza discussioni il resoconto del governo italiano, evitando – in extremis – di multare l’Italia con una sanzione di oltre 400 milioni di euro per mancata bonifica. Greenpeace, invece, da tempo denunciava che gli aspetti da chiarire erano ancora tanti. Così lo scorso 27 giugno, ultimo atto, ha consegnato alla Commissione europea una denuncia formale che dimostra come la Commissione abbia fatto il gioco delle Autorità italiane sulla bonifica della ex Sisas, che i lavori di bonifica sono proseguiti bel oltre il 28 marzo, per la precisione fino al 30 dicembre 2011. Un “prolungamento” che ha coinvolto circa 30mila tonnellate di rifiuti, più della metà pericolosi.

Le incognite del Lobo C
Nella denuncia Greenpeace produce, tra l’altro, i bandi di gara relativi alla rimozione di fusti interrati contenenti rifiuti pericolosi che sono stati scoperti – non è chiaro quando – a margine delle discariche precedentemente vuotate, nel cosiddetto “Lobo C”. Queste “operazioni aggiuntive”, sono   avvenute tutte sotto il naso della Commissione Europea.
Il “Lobo C” è una zona a margine delle discariche B e C, oggetto dei lavori di bonifica e come affermato dal Commissario alla bonifica l’avvocato Luigi Pelaggi durante l’audizione dello scorso ottobre di fronte alla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, in quella zona erano stati seppelliti “fusti con materiale pericoloso e, poiché le analisi non erano positive, abbiamo proceduto a scavare sempre più”.
Le questioni dolenti non si limitano però alle tempistiche. Non è noto quali siano stati i criteri della caratterizzazione dei rifiuti – pericolosi e non pericolosi – presenti nelle discariche; non è nota la destinazione finale di parte dei rifiuti; non si conosce dove è stata smaltita la frazione di rifiuti pericolosi più contaminata da mercurio (ovvero diverse migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi).

 

La pista spagnola
Ma andiamo avanti, alla spedizione di 25 mila tonnellate di rifiuti dalla ex Sisas alla discarica spagnola di Nerva, in Andalusia. Un impianto già tristemente noto per diversi episodi di inquinamento, dove Greenpeace ha documentato fotograficamente lo scarico dei rifiuti italiani senza l’obbligatorio trattamento di stabilizzazione fisico-chimico, e dove i rifiuti di origine italiana hanno magicamente preso fuoco – per ben due volte – nel giro di pochi mesi. Peccato che la Commissione abbia ritenuto opportuno chiudere anche quest’aspetto delle “indagini” nonostante il trasferimento si configura come una spedizione illegale ai sensi del Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 sull’esportazione dei rifiuti.
Pare esserci una sola certezza, la bonifica della ex Sisas si conferma un caso esemplare dell’inadeguatezza delle “gestioni emergenziali” delle bonifiche, con il consueto alone di mistero che ancora oggi avvolge parte delle attività svolte, assieme a quella che sembra la tendenza di una parte delle istituzioni, italiane ed europee, a chiudere gli occhi di fronte all’evidenza.
Non è ora di far uscire la verità?

Greenpeace Rifiuti-illegali-made-in-italy

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