Si può passeggiare nell’orto dell’imperatore Augusto, rinfrescarsi in prossimità dei ninfei dei Flavi o ancora, riposare all’ombra dei giardini Farnesiani; si può godere di petunie, verbene, rose, cotogne, pervinche ornanti i giardini palatini, la stessa vista di cui godevano gli antichi romani. Sul colle Palatino, fulcro dell’antica Roma e sede della fondazione romulea, è stata allestita una mostra suggestiva quanto particolare.
Attraverso le fonti letterarie e iconografiche, la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma ha infatti ricreato gli antichi giardini che a partire dalla prima età imperiale abbellivano il più autorevole dei colli. La mostra, visitabile sino al 14 ottobre, si snoda lungo un percorso articolato in otto stazioni: il giardino della casa di Augusto, il ninfeo ellittico, la Casina Farnese, la fontana ottagona, i peristili della Domus Augustana, lo Stadio, il vivaio Farnesiano e i limitrofi orti. Ricostruire i giardini ha significato non solo ricostruire l’impatto visivo dell’epoca, ma anche ripercorrere le tappe dell’introduzione di alcune specie vegetali provenienti dai Paesi di recente conquista e oggi comunemente diffuse nel nostro paese. Va altresì detto che non è possibile oggi conoscere le specie esatte usate per decorare i peristili delle dimore imperiali, dal momento che il colle è stato nei secoli oggetto di numerosi rifacimenti che rendono vane tutte le indagini scientifiche eseguibili sui terreni. Per questo motivo si è deciso di rendere l’immagine dei ninfei situati nei peristili utilizzando fioriture che richiamassero il marmo che li rivestiva (fiori bianchi) e l’acqua (fiori nelle tonalità blu-azzurro). Le specie utilizzate sono state scelte in base alla presenza di strutture archeologiche, delle condizioni climatiche e dei tempi di fioritura.
Frutta e piante medicinali
Fin dalla fondazione di Roma (753 a.C.) il verde occupava una parte consistente del colle Palatino. Plutarco racconta che verso il Circo Massimo, fino al tempo di Cesare, esisteva un corniolo nato dall’asta lanciata da Romolo dall’Aventino (Romolo, 20).
Nell’età arcaica esisteva l’hortus, uno spazio verde coltivato con piante utili all’economia della famiglia (alberi da frutta, fichi, uva, ortaggi), piante medicinali (malva, papavero, camomilla, salvia), piante da usare per fare le corone usate nei riti e nelle cerimonie (mirto, alloro). L’ortolanus era il comune giardiniere.
In età repubblicana sul colle si trovavano alcune case private. Sappiamo infatti che nel 330 a.C. la casa del ricco Vitruvio Vacco fu dichiarata suolo pubblico, a seguito della sua condanna: venne così a costituire la prima area verde del colle.
È solo nel II secolo a.C., dopo la conquista della Grecia, che a Roma si diffonde il concetto di “giardino” inteso come luogo verde decorato e abbellito da statue, piante e fiori di ogni tipo. Il giardino è simbolo di una nuova concezione della natura intesa, non più come un qualcosa da sfruttare, ma come un qualcosa da ammirare e in cui trovare sollievo. I ricchi iniziano a costruire sul colle lussuose dimore, caratterizzate da aree verdi situate nei peristili, all’interno delle loro case. Il I secolo a.C. vede il trionfo di queste abitazioni, dove l’elemento vegetale diventa un elemento fondamentale e di pregio: nascono i “giardini ornamentali”e i roseti (Plinio, Storia naturale, 18, 242). Cicerone racconta che la sua casa aveva un viale per passeggiare (Ad Attico, 2, 4, 7) e “offriva tutti i piaceri che possono dare i giardini” (Al fratello Quinto, 3, 1, 4). Lodando l’abilità del suo giardiniere, ci dà notizia dell’uso di strutture sagomate in diverse forme e rivestite con piante rampicanti (edere e pervinche). Simili giardinieri erano chiamati topiarii ovvero decoratori di giardini. Le fonti dicono inoltre che la casa dell’oratore Licinio Crasso era tanto famosa per i suoi imponenti bagolari che Domizio Enobarbo avrebbe offerto sei milioni di sesterzi per acquistarla. Una cifra considerevole per l’epoca. Questi alberi sopravvissero fino al drammatico incendio neroniano (Plinio, Storia naturale, 17, 3-6). Il giardino era ormai diventato parte integrante dell’architettura, legato di conseguenza alle diverse attività che si svolgevano in casa.
L’arte di potare le piante
Secondo Plinio sarebbe stato Gaio Mario, amico di Augusto, ad inventare l’arte di potare le piante dandogli diverse forme come figure umane, scene di caccia, immagini navali, animali (Storia Naturale, 12, 13). Le piante maggiormente usate a tal fine erano l’alloro, il cipresso , il mirto e il bosso.
Gli affreschi della casa di Livia mostrano chiaramente giardini caratterizzati da aiuole delimitate da canne e decorate con specie autoctone (rose, cotogne, oleandri, melograni, viburni). È solo con la diffusione dell’impero che iniziano ad arrivare a Roma nuove piante, come limoni, ciliegi e peschi.
In età augustea ogni casa importante aveva un giardino. Era quasi una regola. Le pareti delle case erano inoltre affrescate con scene paesaggistiche i cui elementi principali erano fiori e piante di ogni specie. È questa la cosiddetta pittura di giardino il cui inventore, secondo Plinio, sarebbe un certo Studius (o Ludius) (Storia Naturale, 12, 13 e 35, 116). Nella casa di Augusto c’è la stanza dei festoni di pino che presenta pigne e rami disposti tra gli elementi architettonici, mentre nella casa di Livia sono dipinte colonne e strutture lignee su cui sono appesi festoni di frutta e foglie.
La casa di Augusto presentava peristili ornati di ogni specie di piante e fiori, aveva inoltre una terrazza detta “Siracusa” dove secondo Svetonio amava appartarsi (Augusto, 72). Anche intorno il tempio di Apollo doveva trovarsi un boschetto (Solino, 1, 8).
Nel peristilio occidentale della casa di Augusto si è deciso quindi di riprodurre (in scala 1:1) la struttura del giardino raffigurato nelle pitture della Casa di Livia sita in via Flaminia e di usare le specie vegetali qui dipinte: il giardino è stato quindi diviso da due grillages e abbellito da melograni, cotogne, rose, cipressi, oleandri, pervinche. Sono stati piantati anche pini, abeti e platani, alberi non autoctoni e forse di recente introduzione, tanto che si è ipotizzato che con questi dipinti se ne sia voluta celebrare l’introduzione. Dipinto e riproduzione permettono di apprezzare quel clima di serenità che l’ordine e la giustizia del principato augusteo avevano garantito.
I ninfei Giulio-Claudi
Sotto Tiberio si colloca l’introduzione delle serre. Negli anni successivi fu aggiunto un nuovo elemento architettonico nei peristili: il ninfeo. Questo oltre a rendere l’aria più fresca e piacevole, garantiva un meraviglioso effetto scenografico creato dagli zampilli d’acqua e dalle lastre di marmo che lo rivestivano. Tutt’intorno fiori e piante. Il colpo d’occhio era favoloso. È in questo periodo che i giardini iniziano ad avere dimensioni maggiori.
Un ninfeo è stato rinvenuto sul piano nobile della Domus Tiberiana. Sembrerebbe stato costruito sotto Tiberio e utilizzato sino a Claudio. Questo dimostrerebbe che furono i giulio-claudi a monumentalizzare con giardini e fontane il palazzo imperiale. A conferma di ciò, Flavio Giuseppe narra che Erode Agrippa sarebbe stato legato ad un albero sito di fronte la Domus Tiberiana. Esistono anche iscrizioni in cui si nominano giardinieri e addetti alla cura del verde. Svetonio parla di un padiglione con un giardino riparato dal sole mediante una tenda (Vita di Claudio). Altre fonti nominano degli addetti alle tende all’interno dei palazzi palatini. Intorno al ninfeo si sviluppa un peristilio porticato. I vani sottostanti sono stati impermeabilizzati mediante una intercapedine isolante. Si trattava di un giardino pensile, la cui continuità d’uso è accertata sino ad Adriano, ma anche dopo questa zona continuerà ad essere occupata da giardini testimoniando una lunga continuità d’uso.
Sotto Nerone i giardini raggiungono i massimi livelli di sontuosità, sacralità e maestosità delle architetture. Erano il mezzo per impressionare il popolo e giustificare il potere assoluto del princeps. Giardini pensili e terrazze adorne di verde erano così diffuse da suscitare lo sdegno di Seneca (Lettere a Lucilio, 122, 8). La Domus transitoria, prima residenza di Nerone sul Palatino, doveva essere piena di giardini e ninfei, così come la Domus Aurea i cui giardini, secondo Svetonio, occupavano gran parte della città (Nerone, 31).
I giardini del palazzo Flavio
Marziale rimase impressionato dalla grandezza dei giardini del Palazzo Flavio ai tempi di Domiziano: “possedeva intere selve di allori, platani e pini” (XII, 50, 1 ss.).
La Domus Flavia era la parte pubblica del palazzo. Il peristilio era caratterizzato da un giardino con al centro una fontana ottagonale a forma di labirinto sita vicino al triclinio chiamato Coenatio Iovis. La fontana era circondata da portici e da una serie di ambienti dai quali si poteva ammirare il giardino. Nei canali che formano l’ottagono scorreva l’acqua. Ai lati del triclinio del palazzo si trova un ninfeo ellittico. In origine era decorato da nicchie contenenti sculture dalle quali uscivano zampilli. Ne esisteva un gemello simmetrico, oggi non visibile perché coperto dal Museo Palatino. Il triclinio era deputato a cene luculliane e raffinate, durante le quali si beveva nettare e il miglior vino, dove si mangiavano i cibi più prelibati. I commensali si gustavano la cena sdraiati e dalle finestre potevano ammirare i giochi d’acqua e la vegetazione del giardino.
La Domus Augustana era la parte privata del palazzo. Aveva un peristilio inferiore con al centro una grande fontana con un motivo a quattro pelte (scudi delle Amazzoni) separate da canali semicircolari. È probabile che la fontana fosse alta originariamente qualche metro e che il getto centrale fosse di notevole altezza. Il peristilio era arricchito da vaschette per pesci, aiuole e sculture. Tutta l’area aperta doveva essere arricchita da ninfei e sale per soggiornare. Secondo alcuni studiosi questa parte del palazzo Flavio fu di ispirazione per la costruzione di Villa Adriana a Tivoli. Il peristilio superiore invece presentava un giardino con un grande vasca rettangolare al centro della quale si innalzava un tempietto su podio. Un piccolo ponte permetteva di raggiungere il tempietto. Non è chiaro se si tratti di un sacello, o di un impianto ad acqua o di un luogo di ritiro dell’imperatore. Ai lati del peristilio sono stati individuati resti di vasche e di una terrazza porticata, mentre dal peristilio provengono resti di sculture. L’ambiente aveva chiara connotazione idillico-sacrale.
Sempre a questa parte del palazzo apparteneva lo “Stadio”, che in realtà era un grande giardino circondato da un portico. Dello stadio aveva solo la forma. Aveva un emiciclo ad un’estremità ed un viale ad anello destinato al passeggio a piedi, in lettiga o in carrozza, da cui partivano viali più piccoli decorati da aiuole. Era decorato da così tante statue che si suppone fosse una galleria d’arte. Canalizzazioni portavano l’acqua sino al centro dello stadio. Al centro di uno dei lati lunghi sta una grande esedra dalla quale si poteva ammirare il meraviglioso giardino.
Il giardino era ormai divenuto strumento di potere: con la sua magnificenza contribuiva a legittimare la sacralità del potere assoluto dell’imperatore.
Gli orti farnesiani
Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, doveva essere a conoscenza della specificità di gran parte del Palatino ad accogliere lussuose aree verdi, quando decise di impiantare i suoi giardini sulla parte settentrionale del colle sopra la Domus Tiberiana e la Domus Flavia. Questi erano su più terrazze collegate da tre ordini di scale, e ancora rampe, viali, ninfei, criptoportici. Il tutto creava un effetto scenografico impressionante e consentiva uno dei più bei panorami della città. Il giardino superiore era costituito da siepi disposte geometricamente.
I Farnese costruirono sul Palatino un orto botanico secondo un criterio collezionistico: vi esposero tutte le nuove specie arrivate dalle Americhe come la yucca e l’agave, la passiflora e la mimosa, pomodoro, tabacco e fico d’india. Il valore scientifico dell’opera fu ritenuto eccezionale da subito, tanto da essere considerato il primo orto moderno.
Una volta estinti i Farnese, il giardino fu dato in affitto e trasformato in azienda agricola. Le specie piantate furono sostituite da viti e piante di carciofo. Scomparvero alberi e siepe. Le costruzioni furono trasformate in pollai o depositi.
Con i grandi scavi del Lanciani, nel 1870 il complesso fu trasformato in parco archeologico subendo sostanziali modifiche e sbancamenti.
La storia e la collezione degli orti è ricostruita nella Casina Farnese, riaperta al pubblico per l’occasione, attraverso l’esposizione di stampe. La Casina era destinata a brevi soggiorni, non aveva una vera funzione abitativa, era utilizzata per colloqui segreti, appuntamenti galanti e sicuramente per finalità panoramiche. Il recupero degli orti Farnesiani non è invece possibile. Nell’aera dove sorgeva il vivaio, sono state piantate le specie vegetali raffigurate nelle tavole seicentesche del Ferrari e dell’Aldini.
Antichi romani ed estremo oriente
Agli inizi del Novecento Giacomo Boni, a conclusione delle campagne di scavo da lui condotte su Palatino e Fori, allestì sugli orti Farnesiani un giardino all’italiana realizzando aiuole delimitate da siepi di bosso che riproponevano le antiche partizioni. Piantò specie tipiche della flora romana ma usò anche specie importate dall’Oriente a seguito dell’espansione inglese, quali peonie, ortensie e camelie. L’intervento del Boni, che nel suo giardino fu seppellito, significò la distruzione degli orti Farnesiani.
Oggi sul Palatino convivono piante arrivate da ogni parte del mondo a seguito dei diversi interventi che si sono susseguiti nel corso dei secoli. L’attuale roseto risale agli anni Sessanta sebbene sia stato proprio in occasione della mostra rinvigorito con esemplari ottocenteschi.