“I boss volevano mettere le mani sul film Gomorra” diceva Roberto Saviano nel 2008, ed era lo stesso scrittore nonché sceneggiatore del film a dichiarare che in quel film sparavano “attori che hanno spesso sparato pure nella vita reale” e che “avevano difficoltà a distinguere la loro vita dalla finzione filmica”. E poi, in una lunga intervista rilasciata al Corsera, a mitraglietta sputa fuori una serie di considerazioni filosofico-letterarie sullo sparare e sui litigi immortalati anche nelle scene del backstage, quando gli attori si contendevano un omicidio “scenico”: “Si spara di fretta e senza alcuna belluria estetica – si legge nell’intervista del Corriere della Sera – le armi sono brutte, hanno rumori secchi senza eco, si conservano addosso senza fondine tra le mutande, tirate su con l’elastico degli slip(….) C’è una scena del backstage molto bella, gli attori iniziano a litigare su chi deve ammazzare in una scena. Un attore blocca tutto “li devo uccidere io”, e l’altro “no, Matteo avevi deciso che li dovevo ammazzare io”.

La partecipazione al film di pregiudicati o comunque di soggetti più che contigui al crimine organizzato locale è stata quindi presentata come una ricerca di realismo, e il regista Garrone si sarebbe comportato un po’ come Pasolini che reclutava gli attori per strada.
Ma secondo la versione offerta da un collaboratore di giustizia (finora ritenuto attendibile per altre sue dichiarazioni), Oreste Spagnuolo, per girare Gomorra sarebbero stati pagati 20mila euro alla camorra, e quelle recitazioni di delinquenti, insieme alle canzoni neomelodiche che costituiscono la quasi totalità della colonna sonora, non sarebbero casuali… Insomma non ci sarebbero solo velleità neorealistiche spinte alle estreme conseguenze, ma una ipocrita inerzia per quel film uscito nel 2008 e prodotto da Fandango insieme a Rai Cinema e al Ministero dei beni culturali (oltre a “Sky” che ha annunciato per quest’anno l’inizio delle riprese di una miniserie con la collaborazione di Paolo Sorrentino e Saviano sulla falsariga del film). Inerzia o tolleranza che tra l’altro sarebbe stata goffamente ammorbidita, se dovesse essere confermata la versione del collaboratore di giustizia, “pizzo”, dalle dichiarazioni di Garrone interrogato dai magistrati (ha ammesso di aver incontrato una persona, ma ha negato di aver mai pagato alcunché).
Il regista, che si apprestava nei giorni scorsi a presentare il film “Reality” con la partecipazione di un detenuto che la sera tornava in cella a riprese terminate, ha inoltre affermato che è tutto un complotto per rovinare la presentazione del nuovo film: per questo “il Fatto Quotidiano” lo ha accostato a Berlusconi accogliendolo, metaforicamente, nel club dei complottisti.

libro_daniela_de_crescenzoA CASA DI ALESSANDRO ‘O SERGENTE
Non era una novità che dei soggetti legati alla malavita avessero partecipato al film, tra i quali per esempio l’ormai noto “Zi Bernardino” (Bernardino Terracciano che ha recitato anche in un altro film di Garrone, “L’imbalsamatore”, intascando 8000 euro sempre secondo le dichiarazioni di Spagnuolo, e che poco dopo il film Gomorra si è beccato anche una condanna a 8 anni per associazione per delinquere di stampo mafioso). Si tratta di persone collegate in particolare alla camorra casertana e quindi all’orbita dei casalesi (e ancora più specificamente alla fazione sanguinaria setoliana di cui fa parte anche il killer che ora è “pentito”, cioè che collabora con la giustizia, che ha raccontato la sua versione dei fatti in un libro firmato dalla giornalista del Mattino Daniela De Crescenzo).
Spagnuolo afferma che Garrone si sarebbe recato a casa di Alessandro Cirillo, detto ‘O Sergente, quello che faceva parte del commando, guidato proprio dal boss Setola, responsabile della strage di Castelvolturno, per accordarsi sulla tangente. Successivamente sarebbero stati “spediti” 20mila euro. Circostanza smentita dalla produzione e da Garrone, che però ha ammesso il suo incontro dichiarando di non sapere di entrare nella casa di una persona ai domiciliari, di essere stato portato lì proprio da “Zi Bernardino” e di aver avuto l’impressione di trovarsi di fronte “a uno un po’ camorrista”.

Ma ci sarebbe una connessione, che nella confusione che fa la stampa in questi giorni non è stata quasi ricordata, con un clan della zona di Secondigliano, delle cosiddette “Vele”. Così recita un’informativa dei carabinieri di Castello di Cisterna diffusa da “Il Giornale” e ripresa da altre testate meno note: “In occasione delle riprese per la pellicola Gomorra Matteo Garrone, per girare nel quartiere di Scampia, ha dovuto chiedere autorizzazione al clan competente nel territorio, che individuava in Raffaele Stanchi, nato a Napoli il 30.4.1972   -e ammazzato a Napoli lo scorso gennaio nonché famoso capo piazza della base di spaccio nota come “case dei Puffi” ndr- , detto “Lelluccio Bastone”, la persona referente per detta circostanza, che tra l’altro, asseriva la fonte, gode di spiccate conoscenze nell’ambiente televisivo tanto da essere spesso invitato a numerose trasmissioni”.
Partecipava alle trasmissioni televisive, come il boss attaccato da Saviano a febbraio scorso perché seduto in prima fila su Raidue a guardare la figlia cantare. In quell’occasione lo scrittore partenopeo attaccò la Rai dicendo che aveva onorato uno scissionista, ossia un appartenente ai clan “ribelli” di Secondigliano. Quando si dice due pesi e due misure!

Ma prima ancora dell’informativa di gennaio e delle dichiarazioni di Spagnuolo ai magistrati e alla cronista de “Il Mattino” che ne ha ricavato un libro, era stato un gruppo rap ora disciolto, quello dei “Co’ Sang’” (“Con il Sangue”) ad anticipare il possibile versamento di una tangente e altre “malizie” sul film.

DA MARIANELLA A SAN BASILIO
Loro, i “Co’ Sang”, vengono dall’ VIII municipalità, da Marianella ai confini con Scampia, il quartiere che insieme all’entroterra casertano costituisce lo sfondo delle vicende raccontate da Saviano. Nell’album intitolato “Vita Bona”, uscito nel 2009, sulle note del beat di “momento di onestà” avevano lanciato un duro attacco non tanto a Saviano, quanto al “fenomeno” creato intorno a Gomorra “fenomeno che inizialmente era interessante ma poi è diventato da baraccone”. Criticavano la colonna sonora del film e denunciavano che poteva essere un regalo all’industria neomelodica e, di riflesso, alla camorra, che notoriamente finanzia questo business legale e diffonde le proprie idee sulla vita. E non è un caso che molti neomelodici, come “Alessio” autore di una delle canzoni rese famose da Gomorra in tutta Italia, abbiano problemi con la giustizia, al pari di tanti cantanti della scena rap. Inoltre i due rapper si chiedevano: “come hanno fatto a girare un mese intero nelle vele?”.

Una denuncia così non poteva che arrivare dall’ambiente hip-hop,da quel duo napoletano che sin dal loro primo e oramai famosissimo singolo, “Int’ O’ Rione” (“nel quartiere”), così attaccava il mondo neomelodico: “ci sono stato ai matrimoni in cui si uccide l’arte –alludendo ai neomelodici assoldati per suonare alle cerimonie delle famiglie del crimine organizzato – e ancora: “si sentono a D’Alessio e poi fanno l’occhio cattivo. Li schifo a tutti quanti e tutta la coca che si tirano”.
In effetti l’osservazione dei rapper che, come spiegano nella canzone arriva anche da fonti “personali”, era quasi scontata: per esempio a San Basilio, periferia della capitale d’Italia e base di spaccio che punta molto sulla vendita al “dettaglio” come i supermarket della droga di Secondigliano e che sarebbe governata dalle ‘ndrine, mentre si girava nel 2010 un nuovo film con Tomas Milian, sullo stile della saga poliziesca di “Er Monnezza”, un uomo, come è normale nella logica criminale, andò a minacciare in via Corinaldo la troupe con una mitraglietta, con annesso effetto neorealista forse non adatto al tipo di pellicola… Le riprese, con tanto di macchine della polizia degli anni ’70, davano fastidio. Bisognava accordarsi prima!

Purtroppo la critica principale che si può fare a Gomorra non viene presa in considerazione dalla massa: non è un prodotto neorealista e tantomeno un’opera contro la camorra o un qualcosa che aiuti a capire Napoli, ma solo un film destinato ad essere equivocato dai giovani dei luoghi e delle storie che rappresenta e a fuorviare chi vuole trovare antieroi, un po’ come “Il capo dei capi”, il film che creò scalpore per come era stata “disegnata” la figura di Provenzano.

copertina_audiobookSecondo Roberto Saviano, e secondo quanto dichiarò nell’intervista citata all’inizio di questo articolo, invece il film avrebbe un altro merito: “rispetto al romanzo il film racconta l’aspetto antropologico, le stanze, gli odori, i massacri. È una apocalisse. Nella Gomorra di Garrone non c’è l’ossessione del business come nel libro. C’è il vivere in guerra, una guerra a qualche kilometro da Roma. Non dimentichiamo che la camorra ha ucciso 4mila persone da quando sono nato. Il terrorismo in tutti gli anni di piombo ne ha ammazzate 600…”.

Certo, dopo 200 ore di monologhi e disquisizioni varie almeno una parolina, sulle… amicizie pericolose di questo modo di fare cinema, avrebbe dovuto essere spesa… Poi non si venga a dire che si getta fango: è vero che a volte c’è chi vuole screditare con pretesti (si è giunti perfino ad attaccare Nichi Vendola non per gli scandali della sanità ma per una sua casta foto di cinquanta anni fa su una spiaggia nudista), ma altre volte nel fango ci si finisce da soli. A Napoli c’è un detto popolare: “hai fatto ‘a palla ‘e fango” (per negligenza o disattenzione hai commesso una sciocchezza che avresti potuto evitare).

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