C’è un limite a ciò che si può condividere su un social network? Probabilmente no. Dopo foto, pensieri e informazioni di ogni genere, l’ultima condivisione possibile su Facebook sarà quella dei propri organi. Dal primo maggio, infatti, tutti gli utenti inglesi e statunitensi del popolare social network hanno la possibilità di condividere pubblicamente sul proprio profilo la scelta di diventare donatori di organi.
L’iniziativa è stata messa in piedi dal social network di Palo Alto in collaborazione con Donate Life America per gli Usa e Nhs per il Regno Unito, i gruppi no-profit che lavorano nei rispettivi paesi per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa delicata tematica. Spuntando l’opzione sul proprio profilo ci si potrà iscrivere negli appositi registri ufficiali tramite un link diretto come ha spiegato Mark Zuckerberg, il ventisettenne creatore di Facebook: “Voglio che sia una cosa facile , in modo che nel Paese dove si risiede, ci possa essere più vicinanza tra la lista dei donatori e quella ufficiale di chi ha bisogno dei trapianti. Facebook – secondo Zuckerberg – è un luogo in cui ci si comunica storie personali. E io penso che la gente possa concretamente aiutare a diffondere la cultura della donazione”.
Un’idea “made in Italy”
Se inizialmente sembrava che l’iniziativa fosse stata ispirata al giovane patron di Facebook dalla vicenda umana dell’amico Steve Jobs, sopravvissuto per anni grazie a un trapianto, da notizie più recenti, invece, sembra che l’idea sia in realtà tutta italiana. A rivendicare la paternità dell’iniziativa, svelando il retroscena, è stato il dottor Antonio Gasparrini, ordinario di gastroenterologia alla Cattolica di Roma e presidente della Fire (Federazione ricerca in epatologia), che ha ideato l’iniziativa assieme a Pubblicità Progresso:
“L’idea ci è venuta un anno fa, e abbiamo scritto a Zuckerberg che l’ha fatta sua – ha spiegato Gasparrini – ora siamo in contatto con Facebook Italia che ci sta lavorando”. Certo in Italia l’iniziativa non avrebbe valore legale, per via delle normative sulla privacy e delle procedure differenti rispetto a Usa e Gran Bretagna, tuttavia Gasparrini ha sottolineato il notevole contributo che può dare per sensibilizzare l’opinione pubblica : “E’ una possibilità che ci si offre di salvare delle vite, una magnifica possibilità che purtroppo non sempre viene percepita come tale”. I dati parlano chiaro: “L’Italia è una grande realtà nel mondo dei trapianti, un’eccellenza mondiale, ma ha un numero non adeguato di donatori”.
È finita l’era della privacy?
Avviare, o meglio spostare la discussione pubblica su un tema così importante come la donazione degli organi su Facebook può, certamente, essere un ottimo modo per informare e sensibilizzare le persone, sopratutto più giovani, tuttavia, i dubbi che un’iniziativa del genere solleva non sono pochi. Se molti, sopratutto in ambito medico, hanno salutato la notizia con entusiasmo esultando per le nuove possibilità che prospetta, altri continuano a chiedersi se sia giusto mettere in piazza una decisione così personale e delicata condividendola con 800 milioni di persone, la maggioranza delle quali sono e saranno per sempre dei perfetti estranei. A questa domanda Zuckerberg ha dato già una risposta nel 2010 quando, per rispondere alle proteste degli utenti dopo i cambiamenti delle impostazioni di Facebook che rendevano pubbliche molte informazioni fino ad allora private, dichiarò: “Ormai gli utenti condividono senza problemi le informazioni personali online. Le norme sociali cambiano nel tempo. E così è anche per la privacy”. Una vera è propria dichiarazione di fine della privacy che fu costretto però a ritrattare ben presto perché fu sommerso dalle proteste di milioni di utenti.
Il giudizio della rete
Più informazioni personali si condividono sul proprio profilo più c’è il rischio di sottoporsi al giudizio della rete. Nel caso specifico, quanto ci metterebbe la comunità di Facebook a dividere i “buoni” che scelgono di donare gli organi dai “cattivi” che decidono invece di non spuntare la casella Organ donator? Si creerebbe un’evidente discriminazione sociale per una scelta etica che non può che essere personale. Per non parlare poi delle possibili discriminazioni in campo lavorativo: sono sempre più numerose le aziende che assumono dipendenti valutando il profilo facebook e si moltiplicano i casi di licenziamento per esternazioni o comportamenti emersi sul popolare social network. Facebook raccoglie ormai tantissime informazioni sulle persone: informazioni facilmente consultabili da chiunque o quasi. È giusto che un social network, per quanto diffuso, possa raccogliere una mole di dati così ampia su un individuo? Ormai il campo di azione della creatura di
Zuckerberg, non si limita più solo alla sfera del tempo libero e della comunicazione ma si è allargato fino a intercettare le scelte più serie e delicate della vita della persona. Ma perché l’azienda di Palo Alto si interessa improvvisamente al sociale e addirittura alla bioetica?
La pubblicità a caccia di dati personali
Facebook, la piattaforma di social networking più famosa al mondo è oramai uno strumento di informazione globalizzata, capace di reperire dati sull’individuo in un ambito sempre più vasto facendo così concorrenza ai motori di ricerca tradizionali, come Google. Tutti questi dati e queste informazioni che descrivono minuziosamente il comportamento dell’individuo, rappresentano una vera e propria miniera d’oro per la pubblicità. Pur volendo dare per scontata la buona fede di Zuckerberg e del suo improvviso interesse umanitario, il rischio di una violazione della privacy è molto forte, per non parlare di quello di uno sfruttamento per fini commerciali e pubblicitari di dati così sensibili come, appunto, la scelta di donare gli organi. Fortunatamente la normativa europea in materia di trapianti è molto stringente: la direttiva del Parlamento Europeo n.45 del 7 luglio 2010, ( http://www.salute.gov.it/cnt/cntDirettive.jsp?id=38&area=cnt-generale&menu=menuPrincipale&sotmenu=normativa&label=norm ), prevede che i dati forniti dal soggetto, in questo caso il donatore ma anche il ricevente, siano custoditi nella massima riservatezza e sicurezza in modo da tutelarne la rispettiva identità.
“Dio dimentica la rete no”
Per ora dunque la nuova applicazione di Facebook difficilmente potrà avere successo nel rendere pubblici i dati in questione nel nostro Paese, tuttavia il problema esiste e riguarda sopratutto il ruolo di internet e dei social network nella nostra società, specialmente in rapporto ai dati personali degli individui. Ormai il 26.22% della popolazione mondiale è su Facebook che se fosse uno Stato, sarebbe il terzo al mondo per numero di abitanti. Ma questo ipotetico “Stato virtuale” sarebbe terribilmente simile al “Big Brother”, che tutto conosce dei suoi sudditi/cittadini, descritto da George Orwell nel libro 1984. “Dio perdona e dimentica, la rete no”, ha dichiarato più volte il commissario europeo alla privacy Viviane Reding. Risulta sempre più urgente dunque una adeguata regolamentazione in grado di tutelare la privacy degli utenti sulla rete e la normativa sul cosiddetto “diritto all’oblio in rete” potrebbe essere una soluzione. L’UE sta infatti preparando un corposo provvedimento per legiferare sulla privacy in rete, che prevede, tra le altre cose, che i dati degli utenti non vengano conservati per sempre. Certo regolamentare il web non è facile perché oltre al diritto alla privacy c’è anche quello all’informazione e il dibattito per approvare una nuova legge a riguardo potrebbe durare ancora a lungo.
Nel frattempo si spera che l’operazione avviata da Zuckerberg possa realmente tornare utile alle persone bisognose di un trapianto rendendo più agevole per i medici reperire gli organi necessari. Tuttavia una campagna di sensibilizzazione sarebbe stata forse più utile se svolta in altri modi perché una scelta così forte e importante come quella di diventare donatori, merita di essere tenuta al riparo dalla confusione e dalle chiacchiere, spesso futili, della rete.