Nell’immaginario comune il coraggioso ha un cuore impavido, ovvero senza paura, agisce senza timore delle conseguenze, niente lo ferma, non teme la morte né il dolore, agisce e basta. A ben guardare sembra la descrizione di un supereroe, per il quale niente è impossibile e per il quale non vi saranno conseguenze; ma poiché i supereroi così come sono descritti da film e fumetti non esistono, questa definizione sembra più adattarsi ha una forma di incoscienza piuttosto che di coraggio, più simile all’immortalità presunta dei pensieri giovanili.
Ma in una convinzione di incolumità dove si può collocare il coraggio? E’ assente.
L’importanza della paura
Se non si ha paura o se si è decisamente invincibili, si è davvero coraggiosi nella messa in atto delle proprie incredibili azioni? No, il coraggio esiste solo se accompagnato da paura, il coraggio è proprio l’agire, o talvolta il non agire, nonostante la paura che si prova.
In un mondo immaginario popolato da uomini e supereroi credete abbia più significato l’azione di un superman che si espone al pericolo per lui inesistente, o quella di un uomo qualunque che si espone al pericolo reale nonostante ne sia perfettamente cosciente?
Ma in questa realtà dove il pericolo esiste e i supermen no, non aver paura non è quindi avere coraggio, ma è essere incoscienti, inconsapevoli del pericolo; così come mettere in atto azioni fintamente ardite, come la prepotenza verso i più deboli, non potrà che essere paragonato alla viltà e alla codardia.
La paura ha quindi una grande importanza, essa non va temuta, non va nascosta e non va denigrata: nascondere la paura vuol dire nascondere il proprio coraggio; denigrare la paura vuol dire denigrarlo.
La paura invece è l’unico terreno dal quale il coraggio può emergere e nel quale trova significato, dando valore alle nostre azioni ed esaltandole.
Coraggio, incoscienza e prudenza.
Prima di procedere sembra quindi giusto fare una nitida distinzione tra coraggio e incoscienza, infatti essere coraggiosi non vuol dire affatto mettere in atto comportamenti incoscienti, l’incosciente non ha paura, non si rende conto del pericolo e quindi difficilmente riesce a scansarlo, l’incosciente deve solo sperare nella fortuna.
Il coraggioso invece ha paura, ha coscienza del pericolo e questo lo aiuta ad evitarlo, e il suo comportamento può definirsi coraggioso proprio perché nato nella paura, inoltre il suo gesto è nobile ed è messo in atto solo se necessario, in modo valoroso, ma al tempo stesso prudente.
Inoltre non bisogna dimenticare che spesso è la prudenza ad essere una vera forma di coraggio: di fronte ai diversi stimoli provocatori e dinanzi alla paura di fare una brutta figura con gli amici o con il pubblico in genere, è spesso l’atteggiamento prudente quello più coraggioso. Ad esempio un ragazzo che decide di essere se stesso e di non farsi plagiare dalla massa è sicuramente coraggioso; lo è non guardare gli stessi programmi che guardano gli amici; non dover dimostrare di essere fighi perché si fuma o si assumono sostanze (pensate un ragazzo che ha avuto la grande forza di dire di no, con tutte le conseguenze che ne derivano, ha avuto sicuramente un grande coraggio). E’ coraggioso non dover dimostrare di essere falsamente temerari correndo in macchina (pensate che coraggio deve avere chi si prende gli insulti di tutti gli automobilisti indiavolati, senza protestare, rispettando i propri valori).
Tipi di coraggio
Nei dizionari il coraggio viene descritto come l’impresa che affronta pericoli, o come una forza d’animo nell’affrontare le difficoltà. Da questa definizione non soltanto si nota come la coscienza del pericolo e l’esistenza delle difficoltà sia una condizione essenziale, ma si può notare anche come il coraggio possa consistere sia nell’agire che nel non agire; il coraggio può dunque essere definito sia come audacia, sia come tenacia.
Il coraggio può essere quindi dinamico o attivo, nella messa in atto di imprese temute; o può essere statico o passivo, nella resistenza a ciò che si teme. Audace è colui che si butta in un fiume in piena per salvare la vita del figlio, il tenace è colui che resta vicino ad una persona sofferente nonostante il dolore che prova e le paure.
Ovviamente bisogna fare attenzione perché essere audaci lì dove si dovrebbe essere tenaci o essere tenaci li dove bisognerebbe essere audaci, non può essere definito un atteggiamento coraggioso, piuttosto il suo inverso.
Ad agire quando si dovrebbe resistere si rischia addirittura di trasformarsi in vili: è l’esempio di quei genitori che picchiano i figli per ogni piccola ribellione con la scusa di educarli.
Al contrario, a resistere quando si dovrebbe agire si rischia di diventare falsi, come accade quando ci si nasconde dietro una finta resistenza per la paura di agire. E’ l’esempio di quelle donne che sopportano mariti violenti per la paura di agire e prendere in mano la loro vita. Il futuro è una delle più grandi paure dell’uomo, e quando la paura diviene troppo grande invece di crearselo, il futuro, ci si… lascia vivere.
Il vero coraggioso è quindi colui che è audace quando serve e tenace quando deve, come un guerriero che combatte sul campo di battaglia e non crolla di fronte alla sofferenza.
Diverse forme di coraggio
L’esperienza ci insegna che chi è coraggioso in alcune circostanze non lo è necessariamente in tutte. Una prima differenza è ottenuta proprio dalla differenza tra gli audaci e i tenaci.
Ad esempio un pugile che ha il coraggio di salire sul ring, non sempre ha il coraggio di parlare in pubblico, chi ha il coraggio di parlare in pubblico, non sempre ha il coraggio di seguire i propri sogni, chi ha il coraggio di seguire i propri sogni non sempre ha il coraggio di salvare qualcuno. Perché accade questo? Com’è possibile che una persona che ha il coraggio di rischiare di farsi male o addirittura di morire, non ha il coraggio di affrontare il pubblico, che potrebbe sembrare cosa assai più semplice? O come è possibile che un soldato pronto a farsi torturare dal nemico senza cedere, non riesca poi a resistere ai semplici sfottò dei suoi amici?
La risposta è che in realtà quello che per noi vuol dire avere coraggio non sempre coincide con il reale coraggio di quella determinata persona. Se infatti abbiamo messo come condizione del coraggio l’avere paura, se una persona è cresciuta in una palestra di boxe, può avere avuto paura e quindi coraggio le prime volte, ma arriverà ad un punto in cui non avrà più paura a boxare e dunque non sarà più segno di coraggio il suo salire sul ring, ma piuttosto capacità, abitudine o anche desensibilizzazione a quel tipo di paura. Allo stesso modo il soldato può essere stato addestrato a resistere alle torture e quindi esserne desensibilizzato, ma può ancora avere paura della sua immagine sociale e offendersi gravemente per degli scherzi.
Ancora una volta il coraggio si ha lì dove si affrontano le proprie paure, non lì dove si sia già abili nell’affrontare una situazione.
Perché non siamo coraggiosi
Se è quindi la paura a renderci coraggiosi, perché non si sfruttano sempre queste occasioni per dimostrare il proprio coraggio? Eppure sicuramente spesso si prova questa sensazione.
Ciò che blocca, che impedisce di far emergere il coraggio dalle proprie paure è il timore del fallimento che rischia di diventare un brutto colpo per la propria autostima. Questa paura rende quindi fuggitivi: sfuggendo a ciò che si teme, non si sarà mai costretti ad affrontarlo; o di contro inattivi: se non si prova, non si rischia di fallire e la propria autostima è salva.
Ovviamente si metteranno in atto meccanismi di difesa per non costringersi a certi comportamenti o per crearsi giustificazioni per evitarne altri. La mente se li spiega con pensieri del tipo “è meglio così”, “ho cose più importanti da dover fare (o a cui pensare)”, “adesso non è il momento” ecc. In questi casi bisognerebbe chiedersi se in effetti non ci sia una paura da poter usare come terreno di prova del proprio coraggio. E ci si dovrebbe rendere conto che la vera autostima dovrebbe nascere dall’averci provato (a fare o resistere): è proprio nell’evitare la prova di coraggio che essa dovrebbe sentirsi lesa.
Si può quindi sostenere che il primo atto di coraggio è superare la paura di ledere la propria autostima e la considerazione che si ha di sé, accettando la possibilità del fallimento, ma nonostante questo provarci.
Il coraggio di interrompere il circolo vizioso
Difesa dalle giustificazioni, spesso la propria sensazione di valore e di coraggio è protetta dal circolo vizioso che ne deriva. Non provare a fare una cosa per paura di sbagliare, fa sì che si usino sempre la stesse motivazioni per difendersi da quella paura.
Per fare un esempio concreto, un uomo che decida di non andare a lavorare per paura di affrontare gli insuccessi, ma che si difenda da questa svalutazione del proprio sé giustificandolo con un “è colpa dello Stato”, rischia di non mettere in atto i comportamenti idonei alla ricerca del lavoro perché “tanto sono inutili”. Un altro esempio può essere un bambino che non fa i compiti per paura di non esserne capace, ma che si difenda da questa valutazione negativa giustificandolo con una ribellione al mondo degli adulti. Costoro rischiano di non uscire più dai loro circoli viziosi, in quanto hanno trovato una falsa soluzione alle loro reali paure.
Per uscirne l’unico passo sarebbe ammettere la motivazione che ha portato a tali atteggiamenti, e decidere di affrontare la probabile sconfitta, non di perpetuare una falsa vittoria. Per fare questo bisogna avere il coraggio di ammettere i propri errori (coraggio purtroppo spesso raro, anche per le questioni più semplici), bisognerebbe quindi ammettere di aver preso fino ad ora la decisione sbagliata, facendo così un primo atto di grande coraggio, cambiando un comportamento protratto fino a quel momento, il quale dovrà portare anche ad una rivalutazione di se stessi.
Se ovviamente l’adulto dovrà essere guida per se stesso, il bambino potrebbe avere bisogno di una guida: nella prossima puntata parleremo di entrambi questi argomenti, come aiutare se stessi e come aiutare i nostri figli ad essere coraggiosi.
Per ora abbiate coraggio nel rimettervi in discussione dopo aver letto questo articolo. (fine prima parte)