Nonostante l’acuirsi della crisi economica, l’altalena dello spread, i conti dello Stato di nuovo sotto pressione e le elezioni in Francia che promettono di cambiare gli equilibri in Europa, è bastata un’udienza del processo Ruby e la pubblicazione di qualche intercettazione al riguardo per monopolizzare l’attenzione di tutti i media italiani per un’intera settimana.
La vicenda giudiziaria è nota: l’ex premier Silvio Berlusconi nell’ambito di alcune feste nella sua casa di Arcore avrebbe, secondo l’accusa, avuto dei rapporti sessuali con l’allora minorenne marocchina Karima El Mahroug, in arte Ruby e l’avrebbe poi ricompensata con somme di denaro per comprarne il silenzio nei confronti della stampa e dei magistrati. Tutto ciò mentre Berlusconi era presidente del consiglio. La vicenda, all’epoca, occupò abbondantemente le prime pagine di tutti i giornali e i principali talk-show per interi mesi, appassionando l’opinione pubblica italiana intenta a capire se il capo del Governo si fosse macchiato di un reato grave come, appunto, il favoreggiamento della prostituzione minorile. Ma dopo mesi di proliferazione in Tv e sui giornali, Ruby e le altre ragazze delle feste di Arcore sembravano essere, finalmente, tornate nell’anonimato, trascinate nell’ombra dall’uscita di scena di Berlusconi e del suo governo dimissionario a causa della crisi. La faccenda sembrava destinata a proseguire solo nelle aule del tribunale, almeno fino ad una sentenza.
Il ritorno del gossip
Nel frattempo tutti noi dopo qualche mese di governo dei tecnici ci eravamo oramai abituati allo stile sobrio di Mario Monti e del suo esecutivo, meno “brioso” ma sicuramente più adatto alla drammatica fase storica del Paese. Tutto questo fino a qualche giorno fa, quando, aprendo i giornali, ci siamo trovati catapultati indietro nel tempo di circa 6 mesi, come se ad un certo punto qualcuno avesse riavvolto il nastro di una vecchia cassetta. Accantonati in un attimo il dibattito sul lavoro, sul futuro istituzionale del Paese e sulle tasse, i mass-media di ogni ordine e grado sono stati di nuovo colonizzati da un’orda di ballerine, cene, vallette, spogliarelli e burlesque come se nulla fosse successo. Causa dell’inatteso “rewind” è stata la pubblicazione su un noto quotidiano, delle conversazioni intercettate, per altro già note da tempo, della solita Ruby con alcune sue amiche. Ecco allora tornare alla ribalta la giovane marocchina e le altre “ragazze di Arcore”: i loro discorsi nuovamente e minuziosamente analizzati su tutti i giornali nazionali. Dai soldi che dichiarano di aver ricevuto, alle volte che raccontano di essersi “concesse” o meno al Cavaliere , il tutto torna ad essere argomento di dibattiti infiniti, ricostruzioni e ipotesi pronte a invadere il dibattito pubblico e a riaccendere lo scontro politico. Se l’attenzione spasmodica alle vicissitudini sentimentali/giudiziarie del Cavaliere poteva avere un senso qualche mese fa, all’epoca in cui era presidente del consiglio, oggi sembra quanto meno fuori luogo.
Conoscere i comportamenti (soprattutto quelli in odore di reato) degli uomini che ricoprono incarichi pubblici è un diritto dell’opinione pubblica, tuttavia costringere un intero paese a spiare dal buco della serratura per mesi quando i fatti in questione non hanno più rilevanza politica è un errore. Oggi parlare di questa vicenda finché non ci sarà stata una verità giudiziaria è solo gossip . Ma allora perché i principali mezzi di informazione italiani sembrano letteralmente ossessionati da questo tipo di vicende?
Sesso e potere: un binomio inscindibile
Di certo le storie di sesso e potere, come il cosiddetto “Ruby-gate” (e qui ci vorrebbe un altro articolo per raccontare della stupida mania di aggiungere il suffisso “gate” come sinonimo di scandalo), esercitano un’attrazione atavica su tutti noi. Da Giulio Cesare chiamato “il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti”, alla condotta tutt’altro che pudica di Papa Alessandro VI Borgia nel XVI sec., fino ad arrivare ai più recenti casi dei presidenti americani: Kennedy e Clinton, gli scandali a luci rosse di cui sono protagonisti i potenti hanno sempre trovato ampio spazio nelle cronache di tutti i tempi.
Ma la fascinazione esercitata dal binomio sesso/politica non può, da sola, spiegare il fatto che vicende di questo genere possano diventare terreno di scontro al di là delle implicazioni prettamente politiche dei fatti. Una tendenza che sembra decisamente più spiccata in paesi come l’Italia o la Francia, dove il gossip non si limita a occupare gli spazi dei tabloid e dei giornali scandalistici, come avviene sui media anglosassoni, ma sempre più spesso nasce sui media principali e invade tutto lo spazio del discorso pubblico.
Non ci dobbiamo meravigliare dunque se leggendo di burlesque, cortigiane e intrighi di palazzo ci sentiamo come se ci trovassimo ancora ai tempi dell’ Ancien Régime, alla corte dei Borbone o nella Francia dei Valois. È proprio così…almeno per quel che riguarda alcuni atteggiamenti culturali di fondo. Mentre paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna (in cui la monarchia ha ormai un valore solo formale), confinano le storie cortigiane nell’informazione popolare dei tabloid, noi ne facciamo argomento di dibattito su tutti i mezzi di informazione. Solo pochi giornali scandalistici nei paesi anglosassoni parlano degli scoop a luci rosse in modo morboso: il rapporto fra Kennedy e Marilyn o le scappatelle di Clinton con Monica Lewinsky ad esempio, sono stati commentati sui media principali solo fintantoché hanno avuto una valenza politica. Stessa cosa per le vicende della famiglia reale inglese: dopo qualche commento iniziale il gossip diventa appannaggio esclusivo dei tabloid. Da noi invece si parla degli scandali finché non si giunge a conseguenze politiche. Anzi probabilmente il fine dell’eterno ritorno di questo tipo di notizie è proprio quello di provocare delle conseguenze politiche. Da questo punto di vista noi italiani (ma la stessa cosa accade in Francia, come nel caso Strauss-Kahn, e negli altri paesi neo-latini), siamo rimasti ancora al tempo delle monarchie e continuiamo a trattare queste vicende come “vicende di corte”.
La libertà di stampa e il potere
In verità i rapporti fra stampa e potere non sono mai stati facili. Fino al XVII secolo l’informazione è stata completamente assoggettata al potere che la gestiva in modo discontinuo e opportunistico. Con la diffusione della stampa e la circolazione delle nuove idee della Rivoluzione scientifica, iniziarono in Inghilterra le prime lotte per la libertà di stampa. Il primo a intraprendere questa importante battaglia fu John Locke, padre del liberalismo, convinto che una stampa libera potesse garantire la libertà dell’individuo dall’élite politica dominante. Nel ‘700, secolo dei lumi, la stampa si diffuse in tutta l’Europa e in Francia Voltaire riuscì a segnare i primi punti a favore della libertà di stampa: nella sua opera “Trattato sulla tolleranza” , l’illuminista francese ristabilì la verità storica su alcuni casi di cronaca giudiziaria del tempo, riabilitando la memoria delle persone ingiustamente accusate. Lo stesso successo ottenne, più o meno un secolo dopo, Émile Zolà con il caso Dreyfus.
Modello anglosassone e modello latino: due modi diversi di intendere l’informazione
La libera stampa nata da queste vicende ha però intrapreso, con l’andar del tempo, due strade diverse: da un lato il giornalismo anglosassone si è concentrato sull’esattezza del fatto e sull’oggettività della narrazione degli eventi, dall’altro l’informazione dei paesi neo-latini, diretta discendente delle infuocate pubblicazioni della Rivoluzione Francese, ha privilegiato lo scopo della notizia a scapito della sua precisione. Ogni dibattito nei giornali di impronta latina è rappresentato dall’aggressività che prevale sull’esattezza, e dai toni spesso accesi e veementi. Un giornalismo che mira a innanzitutto a suscitare emozioni forti e parla al lato emotivo piuttosto che a quello razionale delle persone. In Italia questa tendenza si accentuata a partire dalla nascita della seconda Repubblica negli anni ’90.
La stampa italiana negli ultimi anni è stata il megafono dello scontro in atto tra poteri dello Stato ma non ha avuto un ruolo attivo nella ricerca della verità. Troppo spesso si è limitata a pubblicare i documenti (e le intercettazioni) provenienti dalle procure, abdicando al suo ruolo di indagine e di ricerca. A differenza degli scandali americani che, spesso, nascono da inchieste giornalistiche (come il caso Clinton, leggendario il Watergate – l’unico caso in cui “gate” era giusto) a cui fa seguito un’azione giudiziaria, da noi negli ultimi anni si è assistito al fenomeno opposto: le inchieste nate dall’iniziativa della magistratura sono poi esplose sui media.
Non ci resta che sperare in una rinuncia ai toni scandalistici da parte della stampa neo-latina. La notizia urlata e la ricerca dei fuochi pirotecnici non contribuisce a una buona informazione ma, probabilmente, ne mina la credibilità e l’autorevolezza. Credibilità e autorevolezza sono proprio le qualità di cui ha bisogno il mondo dell’informazione nell’era di internet per poter selezionare, valutare e approfondire le notizie in quel mare di informazioni, non tutte attendibili, rappresentato oggi dalla rete.