Vittorio Sgarbi, grande conoscitore d’arte e di parolacce, pluricondannato per diffamazione, assenteismo e ingiurie. Noto per la sua capacità di ripetere lo stesso insulto almeno otto volte al secondo (tra i più gettonati: capra, ignorante, culattone raccomandato), è parte integrante del panorama politico-televisivo come una mosca sulla cacca.
Fattore positivo per l’economia, prosegue nel suo impegno per dare lavoro agli studi legali di tutta la penisola, favorendo cause inutili che si concludono quasi sempre a suo svantaggio. A volte è ateo e va al Gay-Pride, altre volte è cattolico e omofobo, stamattina è comunista, a mezzogiorno è monarchico e di sera è con Berlusconi.
Emblema della banderuola nella tempesta, riesce sempre a ottenere consensi per via del suo eloquio a metà tra il professore frustrato e un hooligan appena scarcerato. Nella sua testa la laurea gli dà il diritto di offendere chiunque gli capiti a tiro, come una licenza di sfanculamento approvata dalle autorità.
L’immagine dello sfigato piegato sui libri mentre gli altri andavano al mare lo ha perseguitato fino alla tarda età quando, una volta raggiunto il palcoscenico, è riuscito a vomitare tutta la repressione arretrata e di tanto in tanto anche ad agguantare qualche paia di tette.
La sua cafoneria è inversamente proporzionale alla tolleranza verso le altrui risposte, come dimostra l’ultimo episodio a Rosolini (Siracusa).
Durante un suo comizio un ragazzo è sbottato a ridere, un subito imbufalito Sgarbi ha apostrofato il passante come un drogato e gli efficientissimi vigili del luogo hanno subito portato via il ragazzo. Da oggi ghignare in faccia a un simile personaggio è un reato, mandarlo a cagare è un dovere.