“Le monete potranno anche essere in circolazione da prima dell’Impero romano, ma il Canada sta cercando di farle scomparire”: così Bloomberg Businessweek ha riassunto, in un articolo del 15 aprile scorso, le recenti intenzioni del governo nordamericano riguardo al proprio sistema dei pagamenti.
Alla fine di marzo Jim Flaherty, ministro delle Finanze, ha annunciato il graduale ritiro del penny, la storica moneta da 1 centesimo, la cui produzione costava al singolo pezzo 1,5 centesimi di dollari canadesi, molto più quindi del suo stesso valore. Si calcola di riuscire a recuperare tutte le monetine presenti sul mercato entro la fine del 2012; per facilitare l’operazione, il governo federale ha suggerito alle associazioni no profit di organizzare raccolte di pennies da cambiare in banca per finanziarsi. Anche se la Bank of Canada ha assicurato che l’impatto dell’eliminazione del penny sull’economia canadese sarà del tutto “minimo o inesistente”, la decisione ha lasciato disorientati venditori al dettaglio e ristoratori che aspettano indicazioni più precise al riguardo. Per il momento, il governo ha autorizzato ad arrotondare per eccesso prezzi (cosa che non interesserà invece le transazioni con carta di credito).

 

L’ultimo penny e le mini transazioni
Non sarà l’unica rivoluzione introdotta quest’anno. La Zecca canadese, ad una settimana di distanza dall’annuncio della “fine” del penny, ha lanciato il progetto MintChip: denaro virtuale garantito dallo Stato. L’idea è quella di un microchip, installato nel telefono o dentro una chiavetta Usb, che permetta anonimamente di pagare importi fino a 10 dollari. La Zecca ha invitato i costruttori di software a progettare l’applicazione che userà MintChp (http://developer.mintchipchallenge.com/index.php). Per il momento al contest sono iscritti 500 partecipanti; tra ferragosto e i primi di settembre, la rosa selezionata dalla Zecca sarà sottoposta al voto del pubblico e per il 24 settembre verrà annunciato il programma vincitore, che si aggiudicherà 50.000 dollari canadesi (tangibili) e un lingotto d’oro.
Già a dicembre scorso un rapporto governativo aveva auspicato un cambiamento del sistema dei pagamenti, sottolineando come quello attuale fosse “superato” per un contesto mondiale particolarmente competitivo e in costante evoluzione. Secondo Interac, una cooperative venture fondata dalle cinque maggiori banche canadesi, il valore delle transazioni sotto i 20 dollari si aggira attorno ai 90 bilioni di dollari e il suo portavoce, Caroline Hubberstey, in un’intervista recente ha avvertito il governo canadese che, qualora il mercato dovesse aprirsi al digitale, “le società private piccole e grandi che operano già nel settore ne vorranno una fetta”. In effetti, esistono già dei circuiti simili, smartcard garantite da Visa, Mastercard e Interact stessa, che permettono piccoli pagamenti presso pompe di benzina e supermarket, i “digital wallets” di PayPal, Google e Visa, un’applicazione disponibile per smartphone, collegata al conto corrente, che tramite un sensore permette di pagare avvicinando semplicemente il cellulare al sistema di pagamento del negoziante. Questo sistema non prevede alcuna percentuale sulle transazione per l’erogatore del servizio, come avviene con la carta di credito, ma i guadagni provengono per buona parte dai dati che si possono accumulare sul comportamento dei consumatori. Con MintChip si va dunque oltre questi sistemi, poiché rispetta la privacy del cittadino e non richiede l’accesso a internet; restano però irrisolti per il momento molti dettagli importanti: come e chi potrà caricare i soldi sul chip, come riuscirà lo Stato a rendere profittevole questa tecnologia, come proteggerla dagli hacker. Tutte questioni non da poco, considerando anche che esiste una consistente fascia della popolazione canadese che contrae debiti senza essere capace di saldarli e che rappresenta “il maggiore rischio interno dell’economia del Canada” secondo il governatore della Bank of Canada, Mark Carney.

 

Una scommessa impegnativa
È difficile anche fare previsioni su come il pubblico recepirà questa sostituzione del contante, che diventa quasi drastica se accostata alla scelta del ritiro del penny. Secondo Bill Maurer, il direttore dell’Irvine Istitute for Money, Technology & Financial Inclusion dell’University of California intervistato da Bloomberg Businessweek, se da una parte, “i prodotti digitali come Google Wallet non hanno ancora decodificato un’azione antichissima come il pagare con le monete”, dall’altra il momento storico in cui viviamo, segnato dalla rivoluzione digitale e dalla crisi economica, mantiene vivo l’interesse delle persone su questi argomenti e in effetti, ha fatto notare l’autrice dell’intervista, l’articolo del Bloomberg Businessweek sull’eliminazione del penny è rimasto per ben due settimane nella classifica dei articoli più letti.

 

Meno rapine più cyber reati
Si tratta dunque di una scelta azzardata e per questo, isolata. Anche se molti Paesi hanno già abolito le monete di piccolo taglio (Israele, Svizzera, Brasile e Nuova Zelanda, addirittura dal 1980), ben pochi altri hanno spostato così totalmente l’accento sulla valuta digitale. Solo fa eccezione la Svezia, dove il cash sembra essere in vistoso declino anche negli scambi quotidiani: per esempio, nella Karl Gustav Church di Karlshamn è stato da tempo installato a grande richiesta dei fedeli un terminale Pos per le donazioni, un tempo raccolte a fine messa nel classico cestino di vimini. La produzione di banconote e monete rappresenta solo il tre per cento della economia svedese, contro il nove per cento di quella dell’eurozona e il sette per cento di quella americana. Il passaggio alle transazioni virtuali sembra aver fatto bene anche alla sicurezza pubblica: le rapine in banca sono passate da 110 l’anno a 16 tra il 2008 e il 2011 e anche gli assalti alle porta valori sono notevolmente diminuiti. Fa da controparte l’aumento di “cyber reati”: secondo il Consiglio nazionale per la prevenzione del crimine, il numero di frodi telematiche per il 2011 è di 20.000 casi su una popolazione di nove milioni di abitanti.

 

La lobby dello zinco
Quello della moneta corrente è un problema molto sentito dai governi, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime. L’aumento del costo dello zinco, secondo un rapporto della zecca americana, ha fatto schizzare a 116,7 milioni di dollari la perdita causata dalla produzione di monete da uno e cinque centesimi nel 2011 (era di 42,6 milioni del 2010).Per realizzare una moneta da un centesimo, composta al 97,5 per cento da zinco, servono ben 2,4 centesimi. Già nel 2008, quando costava “solo” 1,7 centesimi, il segretario al Tesoro Henry Paulson aveva proposto senza successo la sua abolizione. “È da un po’ di tempo che cerchiamo di eliminare la moneta da un centesimo, ma non ci siamo ancora riusciti; voglio scoprire chi sta facendo lobby per tenerlo in circolazione”, aveva detto l’allora senatore Barack Obama. La risposta è Jarden Zinc, il fornitore principale di zinco per la zecca americana: solo per i rifornimenti del 2011 la sua società ha incassato 48 milioni di dollari e ne ha investito uno nelle sue relazioni bipartisan con i senatori del Congresso (la legge statunitense prevede l’attività di lobbying su queste “questioni di utilità nazionale”). Gli Stati Uniti però hanno bisogno più che mai di ridurre al minimo il rosso in bilancio per sostenere la lenta ricrescita, e le scelte operate dal vicino e prosperoso Canada non potranno che influenzare il prossimo governo.

 

Il modello Bitcoin e la tracciabilità del denaro
Jon Matonis, editorialista di Forbes dalla George Washigton University, ha però espresso le sue riserve proprio su MintChip. Il punto, secondo Matonis, è che per creare un libero mercato di moneta digitale non basta digitalizzare la valuta nazionale. Nel modo prospettato dal governo canadese infatti solo selezionati intermediari potranno vendere smartcard con cui caricare il microchip, lasciando così adito a problemi di monopolio. Il modello auspicato è quello di Bitcoin, la valuta virtuale pensata per le compravendite che si svolgono su internet. L’utente registra il suo indirzzo bitcoin, compra la “moneta” generata da un software open source, che impedisce la sua falsificazione, e la spende sui numerosi siti di e-commerce che la accettano, come Amazon. La privacy della transazione è garantita e anche la stabilità del tasso di cambio, visto che nessuno può controllarne il valore. È anche vero però che Bitcoin è utilizzata, proprio per la non tracciabilità delle operazioni, soprattutto dal “deep web”, marketplace per droga, armi e video pedopornografici. La sfida, in pratica, è quella di istituire un sistema pubblico che garantisca la legalità dei sistemi tracciabili e contemporaneamente la democraticità del web.

Moving Canada into the Digital Age

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