Gassman, Tognazzi, De Sica, nomi che evocano i fasti lontani del cinema italiano, oggi infangati dagli indegni eredi che, mossi da uno spiccato istinto kamikaze, si mettono a confronto con gli immortali nomi dei padri.
Qui da noi la carta più facile è sempre quella della parentela, soprattutto quando campare di rendita non basta più. Nemmeno la musica viene risparmiata e in questi anni abbiamo assistito al moltiplicarsi di nuove proposte dai nomi eccellenti e dal talento non pervenuto. Prima la triste meteora di Cristiano De Andrè, poi la stirpe del male di Zucchero che continua con Irene Fornaciari e non dimentichiamo i disastrosi figli dei Pooh: Francesco Facchinetti, Daniele Battaglia e Chiara Canzian, tutti lanciati con forza sul palcoscenico musical-televisivo. Nella speranza che atterrino di faccia, non tardiamo a scoprire che le catapulte dal cognome famoso preannunciano un nuovo stormo di progenie in picchiata.
I discendenti, nel vero senso della parola, ci piombano addosso e se non stiamo attenti ci beccano in testa causando irreparabili traumi cerebrali. I figli d’arte non sono una piaga in esclusiva al nostro Paese e per una volta possiamo condividere una grande sfiga anche con altri stati. L’inutile Jakob Dylan non ha resistito alla tentazione e approfittando di una amnesia momentanea del padre Bob si è andato a schiantare dritto nella classifica del dimenticatoio musicale. Proprio dove si trova da anni il disco di Kelly Osbourne, poco sopra a tutti i singoli di Lisa-Marie Presley.
Ma il peggio del peggio doveva ancora arrivare e in tempo per i 45 anni di “Sgt. Pepper”, anche i figli dei Beatles vogliono dissacrare il mito di famiglia, riunendosi in un gruppo che già adesso puzza di apocalisse sonora. Cambiare nome o cambiare mestiere? Questo è il problema.