La pubblicità, si sa, unisce sempre l’utile al dilettevole. È quello che devono aver pensato all’agenzia di marketing Bartle Bogle Hegarty (BBH), quando hanno deciso di trasformare tredici senza tetto in altrettanti punti di accesso a internet in carne e ossa e, per di più, itineranti.

L’iniziativa si chiama ”Homeless Hotspot” ed è stata ideata in occasione del South by Southwest Interactive (SXSW) di Austin, Texas: uno dei maggiori festival di film, musica, tecnologia e innovazione d’America. Equipaggiati con tanto di dispositivo 4G-to-Wi-Fi e maglietta con nome, numero di telefono e scritta “Sono un hotspot 4G”, gli homeless, hanno fatto la spola fra tutti i padiglioni e gli spazi del festival, offrendo ai passanti la possibilità di connettersi e navigare in rete in tempo reale, al modico prezzo di due dollari ogni quindici minuti. Altro che banda larga! Per i tredici coinvolti nell’iniziativa non si è trattato però, né di una trovata di marketing né, tanto meno, di una sperimentazione, bensì di un vero e proprio lavoro: 20 dollari al giorno di base per 4 ore o addirittura 50 se le ore di lavoro diventavano 6. Inoltre i clienti del servizio erano liberi di versare, al momento del pagamento tramite carta paypall, una bella mancia al fortunato barbone. 

 

Sono un hotspot 4G
Appena la notizia si è diffusa in rete e sulla stampa, ha suscitato subito roventi polemiche che, da una settimana a questa parte, non accennano ancora a placarsi, rimbalzando dai social network alla carta stampata. Ad aprire il fuoco di fila contro l’iniziativa è stato il New York Times con un breve articolo di David Gallagher dedicato allo SXSW, in cui il giornalista americano si chiede se la scritta sulle magliette con la dicitura “Sono un hotspot 4G”, non sia disumanizzante e, sopratutto, si domanda se è lecito trasformare le persone in infrastrutture. A seguito del post del NYT, la polemica si è scatenata sui blog e su Twitter e molti hanno giudicato l’iniziativa “vergognosa” chiedendosi a che punto si sia ormai giunti negli Stati Uniti. Ma dalla Bartle Bogle Hegarty, gli autori della campagna parlano di un’iniziativa umanitaria , messa in piedi con l’associazione no profit Front Steps per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei senza fissa dimora. Un problema che raramente finisce sotto i riflettori nonostante le schiere dei senza tetto si siano considerevolmente ampliate di recente a causa della crisi economica in corso.

Immersi nelle onde
Due punti di vista diametralmente opposti dunque: chi ritiene l’iniziativa lesiva della dignità umana degli homeless, usati per fini commerciali che niente hanno a che fare con l’azione sociale in loro favore, e chi al contrario ritiene quest’esperienza un’ottima occasione di coinvolgimento sociale, oltre che un’opportunità, per chi è in difficoltà, per emanciparsi tramite il lavoro. La verità è probabilmente nel mezzo e le polemiche suscitate dall’iniziativa rappresentano il successo di una campagna pubblicitaria andata, a conti fatti, a buon fine. Tuttavia non si può certo parlare, come si è fatto in questi giorni, di un lavoro pericoloso per la salute: ci sono sicuramente lavori più usuranti rispetto al fare l’antenna umana per un numero limitato di ore. Il rischio legato alle onde radio poi, non può essere enfatizzato dal momento che viviamo costantemente immersi, h24, nelle onde emesse dai molteplici strumenti tecnologici che ormai ci portiamo dietro (smartphone,tablet, notebook, e-rider ecc). Come lavoro, in conclusione, non è più degradante di quello svolto quotidianamente da molte persone in tanti call-centre nostrani.
Che dire poi dell’indignazione scatenata dall’uso pubblicitario dei senza tetto? Sicuramente non è un esempio perfetto di comportamento etico, tuttavia non è l’unico caso in cui ci si dimentica di trattare l’essere umano come un fine piuttosto che come un mezzo e, forse, non è neanche il più grave. Siamo oramai abituati a convivere con l’invadenza della pubblicità, anima del commercio, anche in tempi di crisi: da un po’ di tempo a questa parte,ci stiamo trasformando, tutti o quasi, in una pubblicità vivente. Man mano che i loghi delle marche colonizzano i nostri oggetti di vita quotidiana, stiamo giungendo al paradosso di diventare noi stessi un vero e proprio cartellone pubblicitario ambulante ospitando, dietro compenso, gli spot direttamente sulle nostre auto o, addirittura sulla nostra stessa persona.

Le frontiere del marketing
Questa volta è toccato invece a 13 senza tetto essere usati dalla pubblicità che tutto fagocita: cosa ci scandalizza tanto in questo avvenimento? Forse in realtà credevamo, o speravamo, che almeno loro, completamente (o quasi) estranei al mondo del consumo e del mercato, potessero salvarsi dalla pubblicità. Invece no. Abbiamo scoperto, grazie a questa vicenda, che neanche il mondo dei clochard è al riparo dalle manipolazioni del marketing. Il cortocircuito, in atto da tempo, fra mercato, cultura e pubblicità, per sopravvivere a se stesso deve continuamente incentivare, sempre più intensamente, effetti e prodotti scioccanti. Ecco dunque gli homeless wi-fi. Altro che la vecchia logica della provocazione delle avanguardie! Forse siamo giunti al momento in cui stiamo per trasformarci tutti in punti di accesso ambulanti alla rete . Forse tutto ciò è inevitabile e fa parte delle trasformazioni imposte dal nuovo capitalismo digitale: da lavoratori a operai, da operai a consumatori e da consumatori a punti di accesso a internet: tutto sommato un lavoro come un altro.

Uomini o infrastrutture?
In ogni caso però, la domanda del New York Times – “È lecito trasformare gli esseri umani in infrastrutture?”- ha sicuramente senso. Mentre i barboni diventano antenne wireless in Texas,infatti, i neuroscienziati di tutto il mondo stanno studiando un modo per applicare delle porte usb nel cervello, in modo da connetterci tutti direttamente alla rete, come nel film Matrix, e poter arrivare un giorno al grande risultato di poter scaricare tutto il contenuto della nostra scatola cranica su un pc. Certo non tutti sognerebbero di continuare a vivere guardando il mondo da un monitor, ma tuttavia ci avviciniamo di gran lena al momento in cui la tecnica, più che aiutare l’uomo a migliorarsi e a convivere con i propri limiti fisici, lo sostituirà con qualcosa di altro da sé, non più umano, post-umano. Il problema non è quello del rapporto fra naturale e artificiale, ma quello della distinzione tra uomo e ambiente, tra uomo e mondo dell’uomo. Se questa distinzione diventa impossibile, come nel caso dei barboni-antenne, allora ne va dell’identità umana. L’Uomo vive manipolando con la tecnica l’ambiente in cui vive: ora sta diventando, egli stesso, l’oggetto delle sue stesse manipolazioni. Un giorno avremo degli uomini-macchina votati ad uno scopo specifico: uomo wifi, uomo-cellulare ecc? La domanda ad un certo punto sarà: dobbiamo custodire e proteggere l’essere umano tradizionale? E perché mai?

Un patrimonio dell`umanità
La tecnica è nata dall’esigenza di migliorare la vita umana, ma, se affidiamo solo ad essa tutte le nostre speranze di salvezza, dovremmo sacrificare una caratteristica essenziale della nostra identità: il pluralismo delle forme del bene umano. Probabilmente prima o poi giungeremo al paradosso di tutelare la specie umana, come già facciamo con altre specie, in quanto “patrimonio dell’umanità” e trattarla alla stregua dei panda o dei grandi mammiferi a rischio estinzione. L’umanità a quel punto diventerebbe patrimonio di se stessa. Fantastico, se non fosse che ,una volta diventati patrimonio di noi stessi, non si capirebbe più di chi è questo patrimonio, chi lo custodisce, chi lo apprezza e lo definisce tale. La tutela dell’identità umana è cosa ben più complessa rispetto alla tutela di altre specie perché non è composta solo del dato biologico ma anche, e sopratutto di quello culturale. L’identità umana è indispensabile per definire, in base ad essa, il valore e i valori, delle altre specie, animali e vegetali. Senza umano dunque, non ci sarebbe umanità e sparirebbero con lei i giudizi di giusto e ingiusto, bene e male, variabili come i contesti a cui di volta in volta, sono applicati, caratteristici di esseri attratti da una pluralità di beni non riducibili al calcolo della scienza e della tecnica. Esseri votati a una pluralità di visioni.

Sviluppi informatici
Se qualcosa ci turba sul serio in questa vicenda degli homeless trasformati in antenne wifi, non è certamente l’uso che il marketing fa delle persone (siamo abituati da tempo), né la paura per un lavoro degradante o pericoloso; ma è piuttosto il timore delle trasformazioni della tecnica. Gli sviluppi informatici, stanno coinvolgendo l’uomo del nostro tempo in una vera e propria rivoluzione, integrandolo sempre di più in un mondo ipertecnologico, in cui il rischio è un legame sempre più stretto fra l’uomo e l’ambiente in cui egli opera . Fusione dell’essere umano con l’ambiente digitale che esso abitualmente crea attorno a sé per mezzo della tecnica e scomparsa della persona umana come siamo abituati a conoscerla. Fortunatamente per noi non siamo ancora giunti a questo punto e, per ora, ci accontentiamo ben volentieri dei nostri punti di accesso wireless che, almeno, hanno il vantaggio di non coinvolgerci in snervanti inseguimenti mentre vanno a spasso per la città con il rischio di lasciarci senza rete.

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