L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nasce nel 1960 a Parigi dalle ceneri di un’altra istituzione, l’OECE (Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea).

L’obiettivo iniziale di questo organismo era di mettere i paesi europei in condizione di gestire al meglio la ricostruzione post-bellica, anche attraverso la corretta distribuzione dei fondi provenienti dal piano Marshall. In seguito alla costituzione della Comunità Europea, con il trattato di Roma del 1956, l’istituto ha gradualmente perso la propria caratteristica di organo di programmazione economica, diventando sostanzialmente un centro studi in grado di supportare le politiche dei paesi membri. Per essere ammessi all’OCSE è necessario che gli Stati abbiano un regime democratico ed un’economia di mercato: per questo motivo alcuni sono subentrati dopo la caduta del muro di Berlino, come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.

I settori d’interesse dell’OCSE sono riassumibili in tre macroaree: economia, sviluppo e sociale. All’interno di questi ambiti si portano avanti studi e ricerche, partendo sempre dalla fase statistica di raccolta dati. Si possono dunque consultare dossier in merito alla performance dei mercati, al commercio, alla disoccupazione, al livello medio di preparazione scolastica (i famosi test PISA). Sul piano operativo l’istituto punta a metter in evidenza le criticità di ciascun paese, in modo da individuare le barriere in grado di frenare lo sviluppo: nel caso in cui queste presentino radici comuni, l’OCSE può rappresentare il luogo in cui proporre nuove soluzioni, che dovrebbero sfociare in un accordo internazionale, ma questo accade raramente. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’istituto emette delle raccomandazioni specifiche per singolo paese, sulla base di uno studio mirato. I governi nazionali devono dunque rapportarsi con l’OCSE, che ha il potere di gettare buona o cattiva luce sull’operato di un esecutivo. L’Economic Outlook, ovvero il dossier sulle previsioni economiche che viene pubblicato due volte l’anno, rappresenta la pubblicazione più conosciuta dell’OCSE, che viene spesso utilizzata sul piano politico per attaccare una parte o per giustificare determinati interventi.

Le critiche che vengono mosse nei confronti dell’istituto sono molteplici. In primis molti ritengono non più procrastinabile una riforma dei criteri di partecipazione che includa paesi come l’India, la Cina ed il Brasile, la cui esclusione implica una forte perdita di credibilità istituzionale. Inoltre il meccanismo di finanziamento rischia di indirizzare la ricerca scientifica verso risultati predeterminati, in base alla volontà dei principali finanziatori (USA, Giappone, Germania, Regno Unito e Francia) di appoggiare o sfiduciare un governo. (luigi borrelli)

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