Quello che in molti si inventano perché hanno sia le idee giuste sia gli strumenti – anzi lo Strumento per eccellenza, la rete – per farlo, oltre che, dettaglio non da poco, il talento. Colloquio con Raffaele Mauro di Annapurna Ventures
Il lavoro ce lo s’inventa perché non c’è oppure lo si crea dal nulla perché in effetti della ricerca del posto fisso poco importa. E’ necessario però che alle buone idee seguano le buone pratiche e soprattutto che il processo venga seguito fino alla sua realizzazione. E’ per questo che esistono società di venture capital che identificano e supportano progetti innovativi che diventano imprese. Annapurna Ventures è una di queste e attraverso Raffaele Mauro, che nella società si occupa proprio della gestione degli investimenti, abbiamo cercato di saperne di più su come operano e quali sono i loro ambiti di intervento.
«Le startup, e in particolare quelle supportate dal venture capital, sono le società che creano più posti di lavoro qualificato» – ci ha tenuto a precisare Raffaele Mauro che, a supporto della sua tesi, ha citato lo Studio della Kauffman Foundation. «Lo studio sulla creazione di posti di lavoro negli USA da imprese esistenti e da startup ha dimostrato che negli ultimi anni sono state le nuove aziende e non quelle consolidate, a creare più opportunità di impiego. Anche in Italia, se pensiamo per esempio alle centinaia di assunzioni degli ultimi anni di Groupon, Amazon, Facebook, Google e altre società tecnologiche che hanno investito in Italia, questa analisi è altrettanto valida».
D. L’innovazione è fondamentale per la crescita e questo è un dato di fatto. Ma perché il nostro paese sembra sempre arrancare, anche nel settore dell’economia digitale, rispetto agli altri paesi nostri competitor?
R. «Non è esattamente così. E’ vero che siamo indietro non solo rispetto alla Silicon Valley ma anche rispetto ai paesi limitrofi,
D. Qual è la filosofia di Annapurna Ventures? A livello pratico, sostenete i progetti e su quali basi li scegliete?
R. «Sono tre parole chiave su cui si fonda la nostra filosofia di lavoro: persone, tecnologia, mercato. Una startup di valore è fatta da persone di valore, questo significa che supportiamo le idee ma soprattutto la qualità delle persone che devono portarle avanti. Lo startupper è una professione in cui la meritocrazia è fondamentale. Tecnologia è l’altra parola chiave perché è l’innovazione che fa la differenza e ci occupiamo essenzialmente di progetti che riguardano internet e il settore mobile. Per fare un altro esempio di una storia di successo, abbiamo supportato AppsBuilder che è una piattaforma che opera nel mercato delle applicazioni per il telefonino, creata da Daniele Pelleri e Luigi Giglio, due studenti di ingegneria del Politecnico di Torino, che sta crescendo enormemente.
Infine il mercato, che è in crescita e nel quale bisogna saper competere.
A livello pratico, quello che facciamo è analizzare proposte che ci arrivano, conosciamo l’imprenditore e se c’è l’intenzione di investire, verificata la fattibilità, andiamo avanti. Noi diamo una quota di capitale in cambio di una quota di società (è lo stesso processo che ha fatto nascere, tra l’altro, Google)».
D. Lo scopo della venture capital è quindi quello di supportare economicamente un progetto. Quant’è rischioso e, soprattutto, in che modo costituire una startup può essere un antidoto per fronteggiare la crisi?
R. «Dar vita a una startup nel settore web, per esempio, costa poco, esclusi i costi legali elevati e, se funziona può rendere veramente tanto, creando opportunità di lavoro e possibilità di crescita notevoli. Ma la startup è come se fosse un esperimento scientifico e come tale è rischioso. Un fondo di venture capital fronteggia il rischio, fa dei rischi calcolati, cioè investe su cose più rischiose che però hanno un alto potenziale di crescita. Se si vuole investire in innovazione è giusto che sia così. E’ chiaro che nel momento in cui decidiamo di investire su un determinato progetto è perché abbiamo fatto delle valutazioni a monte sulla sua fattibilità. Fallire fa parte del rischio, è ovvio. Le opportunità di lavoro che vengono dal mondo delle startup sono tantissime e ci sono molti imprenditori che riescono a costruire dal nulla delle cose straordinarie. Conosco imprenditori “seriali” che creano continuamente nuove realtà».
D. Cosa bisogna fare per incentivare il settore?
R. «Bisogna sostenere i processi innovativi. Ci sono aziende che lo fanno individualmente, nel sistema paese ci sono ancora delle lacune e devono cambiare molte cose, ma la ristrutturazione e il cambiamento collettivo personalmente credo che siano in atto. Quando mi confronto con degli imprenditori di 25 anni che arrivano con idee nuove e un grande talento, mi accorgo che il loro modo di pensare è totalmente diverso dall’imprenditore che ci immaginiamo, non ragionano in termini di cooptazione o secondo logiche passive, spesso il loro obiettivo non è quello di trovarsi un lavoro ma di creare lavoro. Il clima generale del paese, con la fiducia ritrovata all’estero e con i segnali positivi che arrivano dal Governo anche su queste tematiche (a partire dalla banda larga), fa ben sperare che si stanno facendo dei passi in avanti.
Del resto, come diceva lo storico dell’economia Carlo Cipolla, “l’Italia prospera quando sa produrre cose che piacciono al mondo”. E’ importante che le nostre eccellenze vengano promosse al meglio nel mondo attraverso strumenti innovativi. Non c’è contrapposizione tra il passato e l’innovazione. La differenza sono le opportunità in più che ci offre il mercato globale. Un esempio per tutti: il nostro olio continua ad essere un prodotto tradizionale di qualità, la differenza è che con le nuove opportunità offerte dal mercato globale l’olio può essere anche un prodotto di successo».