Con questo termine si indica una situazione economica peculiare, caratterizzata dalla presenza contemporanea di inflazione (aumento dei prezzi) e stagnazione del PIL, ovvero mancanza di crescita.

La stagflazione ha fatto la sua comparsa verso la fine degli anni ’60, mettendo in seria discussione l’impianto economico keynesiano, che aveva guidato il mondo nel periodo post-bellico. Tale teoria, infatti, presuppone che ad un tasso d’inflazione sostenuto corrisponda un aumento dell’occupazione e quindi del prodotto di un paese: se il mercato non riesce a raggiungere l’equilibrio, l’intervento del settore pubblico può colmare il gap attraverso le politiche di spesa. L’avvento della stagflazione ha dunque generato le teorie economiche attuali, di matrice liberista, che vedono proprio nell’intervento pubblico eccessivo la causa delle distorsioni macroeconomiche.

In un periodo di scarsa crescita economica i prezzi possono crescere sostanzialmente per due motivi. Può verificarsi un cosiddetto “shock” dal lato dell’offerta, per cui ad esempio aumentano i prezzi delle materie prime per cause esterne ad una economia (una guerra in medio oriente potrebbe far esplodere il prezzo del petrolio), quindi l’inflazione aumenta e la crescita peggiora. D’altra parte la causa può derivare da politiche economiche inflattive: la presenza di monopoli, specialmente sui grandi sistemi a rete (come le forniture di luce, gas o carburanti), fa gonfiare i prezzi per massimizzare i profitti, ma frena la crescita complessiva. Anche le banche centrali possono influire sull’inflazione, lasciando crescere troppo l’offerta di moneta, ovvero la quantità di denaro circolante.

Per combattere la stagflazione i governi possono adottare un approccio keynesiano, dove l’aumento della spesa pubblica spinge i consumi e quindi il reddito, stimolando l’occupazione. Il rischio è che le rigidità del sistema “neutralizzino” gli effetti positivi: potrebbe infatti attivarsi una cosiddetta spirale “prezzi-salari”, per cui le aziende aumentano i prezzi prevedendo l’aumento degli stipendi, spinti dalle pressioni sindacali. Tale meccanismo porta ad un peggioramento della stagflazione, in quanto i prezzi al consumo crescono ed i costi eccessivi portano le imprese a delocalizzare la produzione. Il secondo approccio, di stampo liberista, punta sulle liberalizzazioni del mercato: la maggior competizione, stimolata dalla rimozione di limiti e vincoli, dovrebbe generare una riduzione dei prezzi ed un aumento dei posti di lavoro, mettendo in modo un circolo vizioso positivo. Gli ostacoli principali a queste politiche sono sia le lobby, che premono per mantenere “chiusi” i mercati e possono allearsi per stabilizzare i prezzi, sia le strategie di mercato, in grado di estromettere nuovi concorrenti attraverso la riduzione dei costi produttivi. (luigi borrelli)

 

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