La sentenza della Cassazione (che trovate in allegato a questo articolo) segue –d’accordo con la Procura Generale- un ragionamento di indubbio rigore logico estendendo anche al delitto di cui all’art. 609 octies il canone interpretativo che la Consulta aveva reso noto nella sua sentenza n.265 del 21 luglio 2010 a proposito dei reati di cui agli art. 600bis, 609bis, 609quater del codice penale, cioè i cosiddetti “reati sessuali”.

Conviene partire dall’art.275 del codice di procedura penale: in esso si dice che nel disporre la misura cautelare il giudice deve tener conto della specifica idoneità di essa in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, e che la custodia cautelare in carcere va disposta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata.

Ma con la legge 38 del 23 aprile 2009 il legislatore disse che per determinati reati andava comunque disposta la carcerazione a meno che mancassero le esigenze cautelari. ( Per esempio, donna con figlio di età inferiore ai tre anni, persona ultrasettantenne, soggetto malato di AIDS, ecc.). Quei determinati reati, per il discorso che qui interessa, erano l’art.575 del codice penale ( omicidio volontario ), gli artt.600bis, 609bis, 609quater, 609octies dello stesso codice,(reati sessuali), l’art.74 della legge sugli stupefacenti ( associazione a delinquere per spaccio di droga).

La Corte costituzionale, investita del problema sulla compatibilità di questa innovazione con l’artt.3 della Carta (tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge) si espresse negativamente con la sentenza 265 del 21 luglio 2010, con la quale dichiarò la illegittimità costituzionale del terzo comma dell’art.275 cod. proc. Pen. nella parte in cui introduceva sostanzialmente la custodia in carcere obbligatoria per i reati di cui agli artt.600bis, 609bis e 609quater del codice penale, eliminando l’ipotesi in cui fosse possibile disporre misure cautelari di altra natura. Dunque, ha annullato quel rigo del terzo comma dell’art.275 c.p.p.,ripristinando per intero la regola contenuta all’inizio di quello stesso comma,per la quale la custodia in carcere può essere disposta solo quando ogni altra misura risulti in adeguata.

Torniamo dunque a ciò che si era detto all’inizio di questa nota: la Cassazione non ha fatto altro che proseguire il ragionamento della Consulta, applicandolo anche al reato di cui all’art.609octies: se per tre dei quattro “reati sessuali”è stata ritenuta illegittima una norma sopravvenuta, perché mai non dovrebbe esserlo anche per il quarto reato, essendo tutti della stessa indole?

E che questo fosse lo sviluppo consequenziale di quella impostazione stanno lì a dimostrarlo altre due sentenze della Corte costituzionale, entrambe del 2011, la 164 del 12 maggio e la 231 del 22 luglio: la stessa sanzione di incostituzionalità della modifica dell’art.275 c.p.p. ha riguardato sia l’art.575 cod. pen. che l’art.74 della legge sugli stupefacenti. Per tutti questi reati, dunque, è stata ripristinata la regola di fondo dell’art.272 c.p.p.: la custodia in carcere può essere disposta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata: quindi il giudice dovrà motivare la ragione per la quale riterrà la detenzione in carcere come la misura più idonea da disporre nel caso concreto.

In riferimento al caso concreto, infine, la Cassazione ha precisato che la sentenza, sebbene di annullamento con rinvio, non costituisce titolo per la scarcerazione.
Cassazione, sezione terza penale, sentenza 4377 depositata il 1° febbraio 2012

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