noi credevamo
regia di Mario Martone, Italia/Francia 2009, dvd edizione speciale + cd musicale 01 Distribution, dur. 195`, 19 euro
È una Meglio gioventù d’antan, un affresco rivoluzionario dell’Italia risorgimentale quello realizzato da Mario Martone per la prima volta alle prese con un monumentale film in costume. È una storia di ideali e di lotte, ma anche di opportunismi, disillusioni e fallimenti che hanno caratterizzato la nascita della nazione e ne hanno condizionato la crescita, fino ad oggi, 150 anni dopo. Martone coniuga la forza di ideali come libertà, uguaglianza, unità con la ribelle determinazione giovanile da una parte e con i pensieri e le strategie politiche dei padri della patria dall’altra. Nemico comune è quella monarchia retrograda e repressiva – Stato Pontificio compreso – che dal Nord sabaudo fino al Sud borbonico si è spartita l’Italia. Tre ragazzi del Cilento a Sud di Napoli, in seguito alla feroce repressione borbonica dei moti che nel 1828 vedono coinvolte le loro famiglie, decidono di affiliarsi alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Attraverso quattro episodi che corrispondono ad altrettante pagine oscure del processo risorgimentale, le vite di Domenico, Angelo e Salvatore verranno segnate tragicamente dalla loro missione di cospiratori e rivoluzionari, sospese come saranno tra rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e delusioni politiche. Fra avvenimenti ed episodi storicamente documentati, si giungerà all’unificazione del Paese nel 1861. Dovrebbe essere una vittoria, ma invece l’Unità ha il sapore amaro del disinganno. Per l’Europa mazziniana dovrà trascorrere un altro secolo, per una sostanziale unità italiana (questione meridionale inclusa) i lavori sono ancora in corso. Da questo punto di vista Martone eccede nell’inquadrare nel finale uno scheletro di palazzo in cemento nell’Aspromonte garibaldino. Non si tratta di un errore storico, ovviamente, ma di una simbologia che risulta superflua data la forza del film. Molto bella e significativa infatti è la sequenza di Domenico, interpretato da un ottimo Luigi Lo Cascio, che passeggia ormai anziano nei corridoi del Parlamento mentre in aula si discute del Paese finito nelle mani di Francesco Crispi. L’edizione speciale, in cofanetto, propone la versione integrale del film più lunga di 25 minuti rispetto a quella presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso anno e, oltre a numerosi extra, comprende anche un cd con la colonna sonora.
Venere nera
regia di Abdel Kechiche, Fra/Ita/Bel 2010, dvd Medusa Video, dur. 166’, euro 14,99
Parigi, 1817, Accademia Reale di Medicina. Dinanzi al calco del corpo di Saartjie Baartman l’anatomista Georges Cuvier dichiara: “Non ho mai visto testa umana più simile a quella di una scimmia”. Un parterre di distinti colleghi applaude. È il prologo-epilogo scelto da Abdel Kechiche per raccontare la storia, realmente accaduta, che ha segnato l’esistenza della giovane donna sudafricana. Tutto ha inizio sette anni prima. L’afrikaner Caezar sbarca nel vecchio continente con un “magnifico esemplare” di femmina di colore. Le sue particolari caratteristiche morfologiche – steatopigia e l’inusuale conformazione dei genitali esterni chiamata il “grembiule otentotto” – la fanno diventare oggetto di studi di anatomisti e pittor. Il corpo della giovane donna finisce subito in pasto al pubblico londinese di Piccadilly Street, quello delle fiere e degli zoo umani. Fra residui illuministi, rivoluzioni industriali e maschilismo imperante, il greve popolano, l’ipocrita borghese e lo sprezzante aristocratico si trovano riuniti ad applaudire meravigliati e intimoriti le esibizioni di Saartjie. Anche per gli intellettuali, di buono la selvaggia non ha nulla. Così di performance in performance, da Londra a Parigi, la “Venere ottentotta” diventa l’icona dei bassifondi, sacrificata al miraggio di un’ascesa dorata. Kechiche fa coincidere la vera storia di Saartjie Baartman col racconto delle sue esibizioni e delle sue esposizioni Attraverso la messa in scena degli spettacoli ma anche del processo che si celebra nella capitale inglese, Kechiche mostra la violenza degli sguardi e le catene che questi possono imporre. Saartjie non è solo straniera, è principalmente l’estranea, è sola e deve vedersela contro tutti: padroni, spettatori, scienziati, umanisti. Kechiche orchestra sapientemente la tensione e ben lungi dal voler cogliere lo spettacolo della realtà, riesce attraverso la rappresentazione a portare sullo schermo la sofferenza della realtà. Venus noir, la Venere nera interpretata da una bravissima Yahima Torres, trascorse l’esistenza prigioniera dei pregiudizi della civiltà europea senza aver avuto mai l’occasione di essere presa in considerazione come donna. Di vivida intelligenza, con un’ottima padronanza di lingue a lei totalmente estranee come l’olandese, Saartjie Baartman finì i suoi giorni miseramente a 25 anni dopo essere stata costretta anche a prostituirsi.
The conspirator
regia di Robert Redford, Usa 2011, dvd 01 Distribution, dur. 118’, 14,99 euro
Il film di Robert Redford è ambientato nel 1865, lo stesso periodo della parte finale di noi credevamo di Mario Martone. Certo, qui siamo a Washington, Stati Uniti, ma c’è una sottile linea rossa che lega questi due film molto diversi stilisticamente tra loro. Si tratta delle contraddizioni che possono trasformare una nazione democratica in un claustrofobico Paese dai diritti negati. La giustizia è uno dei parametri principali per stabilire l’indice di democrazia e il tribunale è uno di quei luoghi dove meglio viene rappresentata. Anche qui, come nell’Italia risorgimentale, il Paese si sta rifondando, è da poco uscito dalla guerra di secessione e i frutti – nel bene come nel male – diventeranno i semi della storia futura. Frederick Aiken, ufficiale dell’esercito nordista, avvocato in tempo di pace, è chiamato a difendere davanti a un tribunale militare Mary Surratt, accusata di complicità nell’assassinio di Abramo Lincoln. Con lei sono stati arrestati sette uomini. La donna è proprietaria di una pensione che, secondo l’accusa, è il luogo della cospirazione. Il ventottenne Aiken (James McAvoy), accetta controvoglia l’incarico, ma durante il processo resistendo alla requisitoria e ai metodi poco ortodossi del pubblico ministero si convince sempre più dell’innocenza della sua cliente, e ritiene che sia stata usata come capro espiatorio nel tentativo di riuscire a catturare l’unico cospiratore scampato all’arresto: il giovane figlio John. L’opinione pubblica è contro la donna, e la ricerca della verità nel rispetto della Costituzione condotta dal giovane legale lo porterà ad alienarsi gli amici e a scoprire i nemici in un Paese ancora debole al punto da non volere accettare la verità. In un rimando tra realtà e finzione, passato e presente, cospiratori di ieri e terroristi di oggi, Redford svela quella che per lui è l’illusione democratica, puritana e liberale del “giusto processo”. E se ancora oggi può essere difficile negli Stati Uniti essere sottoposto a giudizio vedendo sempre garantiti tutti i propri diritti (per i detenuti accusati di terrorismo per esempio non viene applicata la Convenzione di Ginevra), l’unica possibilità di cambiare le cose resta la denuncia per far aprire gli occhi ai cittadini. Non a caso, il giovane avvocato finirà col diventare un city editor del Washington Post, lo stesso quotidiano dalle cui colonne Bob Woodward e Carl Bernstein (Robert Redford e Dustin Hoffman in Tutti gli uomini del presidente di Alan Pakula) sveleranno nel 1972 il Watergate, lo scandalo che portò alle dimissioni Richard Nixon.