"Not Heaven But Sky" di Fine Kwiatkowski e Willehad Grafenhorst

“Il vecchio cinema è morto. Noi crediamo in uno nuovo”. Così concludevano il manifesto stilato a Oberhausen nel febbraio del 1962 una trentina di giovani registi tedeschi capitanati da Alexander Kluge, Bernhard Dörries, Peter Schamoni, Ferdinand Khittl ed Edgar Reitz. Un testo di una pagina per rivendicare maggiore autonomia artistica e nuovi spazi produttivi, per criticare duramente uno status quo, per definire nuovi ambiti e alzare lo sguardo verso orizzonti più ampi partendo dalle opere brevi: i cortometraggi.

La cittadina della Renania Settentrionale-Vestfalia, nella Germania del Nord-Ovest, ospitava l’ottava edizione di una rassegna dedicata proprio ai corti e i giovani registi erano giunti in massa per presentare i loro lavori. Ed effettivamente sarà la maggior parte di loro a rinnovare sostanzialmente il cinema nazionale. manifest-7_01Lo si capisce fin da subito che questo gruppo di giovani ha uno sguardo diverso, più attento e profondo, poco avvezzo ai formalismi. Basta guardare Brutalität in Stein (Brutalità nella pietra, 1961) di Alexander Kluge e Peter Schamoni sugli aspetti disumani dell’architettura nazista, Es muß ein Stück vom Hitler (Quella dovrebbe essere una pièce di Hitler, 1963) di Walter Krüttner, Die Parallelstrasse (Strade parallele, 1962) di Ferdinand Khittl, vera e propria anticipazione dei mercati globali, Das Unkraut (Le erbacce, 1962) il cartone animato di Wolfgang Urchs su un efficiente sistema sociale mandato in crisi dall’espandersi di un rampicante selvatico, Kommunikation, sulle tecnologie utilizzate nelle poste e telecomunicazioni girato nel 1961 da Edgar Reitz per cogliere la forza espressiva di queste nuove leve.


3021648_1_manifest-1L’attualità del Manifesto
“Ad oggi il Manifesto di Oberhausen è indubbiamente il più importante documento di gruppo relativo al cinema tedesco”, spiega Lars Henrik Gass, direttore artistico dell’Internationale Kurzfilmtage Oberhausen. “Lo stile e ciò che ne conseguì, non solo in Germania, sono stati spesso al centro di discussioni e dibattiti molto animati. Non c’è mai stato però in tutti questi anni uno studio attento e sistematico su ciò che determinò quel testo di denuncia e di rottura e su quanto sia ancora di grande attualità”. È nata così l’idea di mettere in piedi un cantiere intitolato Provoking Reality. The Oberhausen Manifesto and Its Consequences che è stato aperto proprio in questi giorni a Oberhausen nel corso della 58esima edizione del festival in programma fino al primo maggio. Inoltre, la maggior parte dei filmati realizzati dai firmatari del Manifesto saranno riproposti anche in altri festival come quelli di Vienna, di New York e alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro (25 giugno/2 luglio).

 

Reitz_KlugeDai corti a Heimat
“Il Manifesto”, sostiene Edgar Reitz “è oggetto di interpretazione”, una sorta di nucleo denso e multiforme che egli stesso ha successivamente sviluppato fino a realizzare Heimat (Patria), la monumentale trilogia sulla Germania del Novecento che per coralità e intreccio drammaturgico è opera di rara intensità. Ribadire la centralità dei cortometraggi per affrontare l’attuale crisi produttiva e per scoprire nuove forme espressive può sembrare ovvio per una rassegna giunta alla 58esima edizione, ma in realtà nel vedere il programma appare subito evidente che quello portato avanti dal Festival di Oberhausen è un discorso a tutto tondo in grado di tessere un’intricata rete che spazia dall’omaggio ai talentuosi ribelli di ieri fino alle recenti realizzazioni di filmaker, giovani registi e cineasti alle prese con documentari, fiction, animazione, videoarte e video musicali. E non solo. La rassegna è il momento di incontro della maggior parte delle realtà produttive (scuole e università di cinema incluse) e distributive tedesche con le principali realtà internazionali. (Nella foto, da sinistra Alexander Kluge, Edgar Reitz e Günther Rohrbach)

 

Linda_ChristanellI Mu Vi film e le magnifiche 4
Dei 4.595 corti presentati provenienti da 98 Paesi, il Festival ne ha selezionati 57 (35 le nazioni rappresentate) per il concorso. Si tratta di opere della durata che varia da pochi minuti a una ventina. Una sezione a parte è interamente dedicata alla Germania con 569 titoli in 35mm, 16mm e in digitale; un’altra è dedicata ai film per bambini con 41 corti tra fiction e animazione e una serie di incontri tra cui uno pedagogico sull’approccio creativo dei giovanissimi spettatori. I Mu Vi film (musical video) selezionati sono 10 degli oltre 200 presentati nella sola Germania a cui si vanno ad affiancare quelli provenienti dagli altri Paesi. La retrospettiva su cinquantenario del Manifesto comprende anche un omaggio a quelle cinematografie che tra la fine degli anni Cinquanta e i Settanta hanno saputo radicalmente rinnovarsi: dalla Francia alla Gran Bretagna, dall’Ungheria agli Stati Uniti, dal Giappone al cinema svedese. E ancora, videoarte, serie realizzate per il web, film vincitori di altri festival, le novità delle principali case di distribuzione internazionali e, in Profili, l’omaggio a quattro registe che hanno fatto del corto il loro metro artistico: la ceca Vera Neubauer, la viennese Linda Christanell (nella foto), la finlandese Iippo Pohjola e l’israeliana Roee Rosen. Numerosi anche gli incontri e le tavole rotonde, tra cui quella sulla programmazione dei corti nelle sale, in tv e in altri circuiti come i musei d’arte contemporanea. Un archivio, di puro interesse artistico-culturale, consente infine a chiunque sia interessato di visionare i corti presentati nelle varie edizioni presso tutte le sedi del Goethe Institut.

 

Per saperne di più http://www.kurzfilmtage.de
Nella foto d’apertura una scena di Not Heaven But Sky di Fine Kwiatkowski e Willehad Grafenhorst

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