Nell’èra della comunicazione veloce, del qui e ora, della diffusione delle tecnologie, i cortometraggi sembrano essere destinati ad avere uno spazio sempre più importante. Alexandre Astruc ai tempi della Nouvelle Vague ipotizzava l’uso della caméra-stylo, una macchina da presa portatile come una penna per ogni regista che avesse voluto fare dell’arte cinematografica una nuova forma espressiva.
Oggi si gira in pellicola (16 o 35mm), in super8, in HD, miniDv e persino con i palmari con risultati davvero notevoli. Il 58° Festival internazionale dei cortometraggi di Oberhausen diretto da Lars Henrik Gass ha offerto un interessante spaccato delle produzioni più recenti realizzate in tutto il mondo.
Grande merito della rassegna – che quest’anno festeggiava il cinquantenario della nascita del Manifesto redatto da un gruppo di giovani cineasti capitanati da Alexander Kluge e Edgar Reitz, destinati a rinnovare il cinema tedesco -, è di non aver trascurato alcun aspetto del mondo dei cortometraggi: dai generi (musicali, di arte, di fiction, documentaristici, di animazione) alle questioni produttive, fino alla fruizione del pubblico (bambini e adolescenti compresi) e alla distribuzione che in Germania vede attivamente coinvolte emittenti specializzate come Arte e generaliste come Zdf.
La durata dei filmati offre inoltre spunto per altre due considerazioni. La prima è relativa alla formazione, alla possibilità cioè che gli allievi di cinema possano imparare praticamente a girare. I cortometraggi rappresentano così la loro palestra ma anche il loro primo approccio col pubblico e con gli addetti ai lavori. Se, come diceva François Truffaut, bisogna guardare i primi dieci minuti di un film per scoprire un autore, ecco che proprio attraverso i corti possono emergere e farsi spazio nuove leve. Non a caso il Festival di Oberhausen ha destinato un’ampia sezione a tutte le scuole cinematografiche tedesche. La seconda considerazione riguarda il budget: in tempi di crisi economica, con il taglio dei finanziamenti pubblici effettuati a danno della cultura e dello spettacolo, i cortometraggi rappresentano delle opere a tutti gli effetti e possono essere programmati in televisione o sul grande schermo. Anche da questo punto di vista, Oberhausen ha dimostrato che l’intesa siglata da anni con Arte e Zdf funziona eccome e che la proiezione in sala di 5/7 filmati (si va dai 3 ai 30 minuti) per una durata complessiva di 90/100 minuti è molto efficace. D’altronde, il pubblico tedesco (pagante) è accorso in massa.
La neve di Hebron
Il film che si è aggiudicato il Gran Premio della città di Oberhausen è stato Snow Tapes di Mich’ael Zupraner (Israele/Territori Palestinesi, 2011,13’ 30’’ sec, HD), ambientato a Hebron in casa di una famiglia palestinese dove un uomo e alcuni ragazzi guardano e commentano dei vhs girati mesi prima, all’indomani di una fitta nevicata. Le immagini, riprese da una delle finestre dell’appartamento protetta da inferriate, mostrano un gruppo di israeliani riunito in strada e intento a lanciare palle di neve proprio contro l’abitazione dei vicini. È in quelle azioni degli israeliani che rimandano a un gioco infantile e nei commenti taglienti dei palestinesi che sembrano un gruppo di tifosi dinanzi alla diretta di una partita che si manifesta il clima di un conflitto che necessita di cittadini adulti per essere risolto. La giuria formata da Steve Anker, Birgit Hein, Karina Karaeva, Kawai Masayuki e Roee Rosen ha premiato anche Reframing the Artist di Sascha Pohle (Olanda 2010, 35’ HDV), un omaggio al cinema che ha messo in scena la pittura (con citazioni che vanno dalla Belle noiseuse di Jacques Rivette a La ragazza con l’orecchino di perle di Peter Webber) attraverso le storie e le testimonianze di un gruppo di pittori cinesi specializzato nella riproduzione di capolavori come La Gioconda di Leonardo o I girasoli di van Gogh e che non disdegna di cimentarsi con l’iconografia del potere, da Putin a Deng Xiaoping. Di taglio squisitamente documentaristico l’altro film premiato, Ten Five in the Grass di Kevin Jerome Everson (Usa 2012, 32’, DV), su una comunità di afroamericani, novelli cow-boy che trascorrono il tempo ad allenarsi con lazos e sagome di vitello in attesa di un rodeo che forse non ci sarà. Il premio messo a disposizione da Arte per il miglior corto europeo è stato assegnato invece a Marian Ilmestys della finlandese Eija-Liisa Ahtila (2011, 37’ 30’’, DCP), una ricostruzione dell’Annunciazione attraverso una recita di gruppo e il confronto di ognuno del cast con i dubbi che può suscitare quell’avvenimento religioso. Due menzioni speciali sono andate a Sounding Glass della tedesca Sylvia Schedelbauer (2011, 10’, Digibeta) e a Tic Tac dell’austriaca Josephine Ahnelt (2011, 2’ 30’’, 35 mm/Super 8).
Jackpot
Una sequenza duplicata a specchio mostra due file di maiali che avanzano in un corridoio ricavato in un grosso capannone per l’allevamento fino a scomparire in una pozza d’acqua. La parte centrale dello schermo crea un effetto caleidoscopico molto simile anche alla parte convergente delle macchie di Rorschach. A ritmo sostenuto le immagini si triplicano, confluiscono in un unico quadro per poi frammentarsi ancora. È Slot Machine della taiwanese Wu Chang-Jung (2010, 3’, DV), un brillante lavoro sulla produzione globalizzata raffigurata in una delle forme visive più diffuse, il gioco d’azzardo, che si è aggiudicato il premio della giuria del Ministero per la famiglia, la gioventù, la cultura e lo sport del Nord Reno – Westfalia composta da Christiane Heuwinkel, Kyra Scheurer, Ruth Schiffer, Ulrike Sprenger. Una menzione speciale è andata a Applied Theories of Expanding Minds di Lena Bergendahl, Jennifer Rainsford, Rut Karin Zettergren (Svezia/Kenya 2011, 33’, DV), singolare documentario su una comunità di kenioti che capta i suoni emessi dalla terra e vive alla ricerca di un equilibrio cosmico, a contatto allo stesso tempo con i cinesi (e gli oggetti da loro prodotti) che da stanno popolando in massa l’Africa.
Il premio internazionale della critica Fipresci è stato assegnato dalla giuria composta tra gli altri da Donald James e Doris Khun a Café Regular, Cairo di Ritesh Batra (Egitto/India 2011, 11’, HDCAM), brillante cortometraggio girato con grande senso di leggerezza e buona dose di ironia, che vede una giovane donna islamica al tavolo di un bar intrattenersi con un amico. Nucleo della discussione è la decisione della ragazza di voler fare l’amore senza aspettare né l’uomo della vita né il matrimonio. L’amico con cui sta dialogando andrebbe bene purché sia per il giorno successivo quando lei avrà a disposizione un appartamento. In un continuo rivolgimento di luoghi comuni e acute riflessioni, la donna in modo deciso prende nelle sue mani il proprio destino. Odete di Clarissa Campolina, Ivo Lopes Araújo e Luiz Pretti (Brasile 2012, 16’, HDCAM) si è aggiudicato invece il premio ecumenico assegnato da Irina Grassmann, Theresia Merz, Dominique Schneider, Eberhard Streier. Storia conflittuale tra madre e figlia di intensità più estetica che etica.
Ai monitor del Goethe Institut
Da segnalare, sullo stesso tema, anche il poetico film d’animazione del russo Andrei Ushakov (2011, 13’ Beta), Mother an Son; il visionario Malody del canadese Philip Barker (2012, 12’ HDCAM) dall’atmosfera lynchiana; il suggestivo Shluq (Scirocco) di Hizram Bizri (una coproduzione egitto-statunitense 2011, 15’ HDCAM), ritratto in bianco e nero di un egiziano dinanzi ai resti misteriosi della storia del proprio popolo; e la crisi di una coppia raccontata in Diario de Pamplona dall’argentino Gonzalo Egurza (2011, 16’ 30’’ HDCAM) molto bravo nel ricostruire gli episodi utilizzando con sapienza gli spazi vuoti e quelli pieni, i filmati di repertorio e quelli di attualità, la trasformazione dei ricordi e della pellicola che può perdere l’emulsione e persino bruciare. Da segnalare infine che i film presentati al Festival di Oberhausen possono essere visti in tutte le sedi del Goethe Institut.